Chiesa di Santa Maria d’Aurìo. Surbo (Le)

Il sito di Surbo

“Di origine medioevale, il feudo di Surbo è documentato per la prima volta in un diploma del normanno Tancredi d’Altavilla datato 1180, in cui il re cede terre e casali al monastero dei Santi Niccolò e Cataldo di Lecce. Tuttavia il territorio circostante fu abitato sin dall’antichità; i ritrovamenti di alcuni oggetti in bronzo (ora conservati presso il Museo nazionale archeologico di Taranto), risalenti alla prima metà del XII secolo a.C., testimonierebbero i contatti tra gli Iapigi e il mondo egeo. Nel 1190 il casale di Surbo, facente parte della contea di Lecce, viene ceduto da Tancredi alla zia Emma, badessa benedettina del convento di San Giovanni  Evangelista in Lecce (le quali fino al secolo XIX hanno riscosso le decime sulle olive pertinenti al feudo di questo comune, decime che fino al 1849 ammontavano a ben 813 tomoli). Successivamente il potere laico della città di Lecce si rafforzò sempre di più e Surbo divenne feudo dei Sindaci di Lecce fino al XVI secolo. Costituì a tutti gli effetti un “casale de corpore” della città, dalla quale dipendeva amministrativamente ed economicamente.
Dal 1528 si succedono vari feudatari fino al 1806 anno in cui Giuseppe Bonaparte promulgò le leggi eversive della feudalità, con le quali abolì il feudalesimo nel Regno di Napoli.” (fonte Wikip.)

 Alle origini del romanico salentino

“Nella Puglia le mode decorative e strutturali che caratterizzarono l’arte romanica vennero espresse in maniera originale e con spirito ben diverso di quello che si riscontra nelle altre regioni d’Italia.” (..)
“lntorno all’anno mille dell’era cristiana il monachesimo basiliano operava nel Salento. Nel 1040 i Normanni sono già presenti nelle estreme propaggini di Puglia avendo riportato strepitose vittorie sui Bizantini. L’arte di questo periodo nel Salento risente fortemente degli avvenimenti storici e dell’incontro di diverse civiltà. Elementi artistici bizantini, divulgati dai monaci iconoduli (a), si fondono in maniera unica ed originale con l’architettura romanica, che in terra d’Otranto non fu quella pura della Puglia marittima. Le testimonianze romaniche del Salento costituiscono, pertanto, una sintesi di elementi architettonico decorativi di derivazione orientale, bizantina ed araba, nonché di elementi posti in relazione con la nuova arte dell’XI secolo.
Per la sua posizione geografica il Salento ha subito le incursioni saracene che hanno distrutto molti centri abitati con i loro monumenti antichi e dell’epoca. Restano perciò scarse le vestigia dell’arte romanica nella provincia di Lecce, tuttavia esse meritano una particolare attenzione per l’originalità fornita da quella sintesi artistico-culturale che abbiamo appena accennato.” (1)

Foto d’epoca (1916) rinvenuta sul sito catalogo.beniculturali.it (vedi QUI)

La Torre dei Cavallari

“Di fronte alla chiesa si staglia la Torre dei Cavallari. La strada che separa la torre dalla chiesa segna il confine tra il territorio comunale di Surbo e quello di Lecce. Fu realizzata nel XVI secolo e faceva parte del sistema difensivo che comprendeva le torri costiere e le masserie fortificate. Ha una forma cilindrica leggermente rastremata verso l’alto e termina con un ballatoio. Fu probabilmente sede di una guarnigione di guardie a cavallo (i “Cavallari”) che avevano il compito di controllare il territorio dalle incursioni turche.” (fonte Wikip.)

Sul muro di fianco all’entrata è incisa la Croce simbolo dei Cavalieri Templari.

La chiesetta romanica di S. Maria d’Aurìo

Tra le scarse vestigia dell’arte romanica salentina resta pressoché sconosciuta ai più la chiesetta di Santa Maria d’Aurìo, che sorge nella campagna di Lecce, a circa tre km. a nord-est della città e a circa un km. da Surbo. Al tempio si giunge, partendo dal capoluogo Salentino,imboccando la strada che conduce verso la chiesa di S. Oronzo fuori le mura (capu te Santu Ronzu), oltrepassata la quale si imbocca la via che porta a Surbo, a sinistra, indi a poche centinaia di metri, a destra,in un campo, troviamo il monumento che costituisce un emblematico esempio dell’arte fiorita dopo l’anno mille.

Sorto nel XII secolo nel casale d’Aurìo, il tempio appare citato, da alcuni diplomi normanni. Del casale oggi non restano neanche i ruderi, tutto il sito vien detto di Tarìo con la masseria che sorge nei dintorni, ove cave, depositi di immondizie e materiali edili di risulta deturpano vergognosamente l’ambiente.
Il luogo dovette essere interessato dall’insediamento degli inconoduli, del resto se dobbiamo accreditare il significato toponomastico di Aurìo che deriverebbe dalla voce greca Layrìon (piccolo cenobio), dubbi non dovrebbero esserci, considerato anche il fatto che la non lontana abbazia di S. Maria di Cerrate, presso Squinzano, era un fervido centro di rito e di cultura bizantina, che estendeva non poca influenza sul territorio circostante.
Realizzato nel XII Secolo, quindi in epoca normanna, il Tempio di S. Maria d’Aurìo venne eretto con conci probabilmente recuperati da altra coeva costruzione sacra. Di ciò ne fa probante testimonianza una serie di anomalie architettoniche che si riscontrano nella parete esterna sinistra, ove in basso si notano alcuni archetti pensili di coronamento che, per essere ivi posti, non hanno alcun senso.

Se gli archetti pensili di coronamento della parte cuspidale della facciata hanno tutti uguale dimensione, ciò non si riscontra, invece, per gli archetti che compaiono sulla parete esterna destra.

Forse le maestranze, come abbiamo detto, utilizzarono conci già decorati, per cui ci sembra impensabile che esse non abbiamo avuto abilità ed accortezza, nonché buon gusto, nel realizzare compiutamente l’opera, che appare costruita, a tratti, con conci di dimensioni diverse.

Il tempietto, monocuspide, è tutto realizzato in pietra leccese, tratta probabilmente dalle vicine cave. Il prospetto della chiesa possiede un portale fiancheggiato da due leoni marmorei, assai corrosi dal tempo, privi delle colonne alle quali facevano da basamento per la strutturazione di un piccolo protiro.

Il portale è ornato da un’architrave a fregio geometrico, sulla quale appare una lunetta che un tempo doveva contenere una immagine sacra a fresco, di cui oggi nulla resta, se non lo strato assai rovinato della sottostante sinopia (b), che appare illeggibile.

Analoga lunetta, in identiche condizioni, appare sulla porta che si apre sul lato destro della chiesetta.

È molto evidente che nei secoli questa chiesa ha subito notevoli  rifacimenti. Infatti per ragioni statiche furono costruiti i due piedritti (c)  al lato del portale ed altri due furono posti a sostegno del muro a sud, al quale si addossa un vano a pianta quadrangolare (m. 4,50 x m. 4) che svolse probabilmente la funzione di sacrestia.

Questo ambiente, con sicurezza, è stato costruito in epoca posteriore alla chiesa. Di ciò ne fa testimonianza probante un tratto degli archetti decorativi che appaiono, in alto, sul muro destro del tempio, che oggi in parte è incluso dalla sacrestia.
Se le due costruzioni fossero state coeve, le maestranze non avrebbero realizzato questo elemento decorativo.
La sacrestia, chiamiamo così l’ambiente che sì addossa alla chiesetta, possiede una volta a botte. Ad esso ci si immette sia dal tempio e sia da una porticina che si apre dall’esterno.
Dirimpetto alla porta che introduce nella chiesa sì apre, in alto, una finestrella, realizzata sicuramente per dare luce al vano.

L’interno della chiesa è a tre navate con quattro colonne monolitiche libere e quattro a pilastro addossate al corpo della fabbrica.

Le colonne, tutte di pietra leccese, presentano tracce di iscrizioni in greco graffite sulla pietra.

 ll capitello della colonna a destra presenta scolpìta in alto una piccola croce, in basso quattro pesci e motivi floreali.

Quello a sinistra, invece, presenta in rilievo un motivo decorativo costituito in alto da volute ed in basso da piccoli archetti.

I capitelli delle quattro colonne libere, che per fattura sì esemplano a quelli della non lontana Abbazia di S. Maria di Cerrate, in agro di Squinzano, non possiedono uguali motivi decorativi.


Quelli che ornano le due colonne a destra sono più elaborati e rappresentano figure simbolìche di chiara marca medioevale.

 Gli altri due, invece, appaiono più classicheggianti, essendo la decorazione floreale assimilabile allo stile corinzio.

Le colonne sostengono degli archi acuti a sesto rialzato, e nelle absidi laterali sono aperte finestrelle a strombo, ora chiuse.

 Un oculo, poi, si apre sulla cuspide della facciata e proietta la luce sull’abside centrale della chiesa,

Semicolonne con capitello addossate alla controfacciata

che possiede un altare di medie dimensioni, rovinato, tutto di pietra leccese.

 Alla chiesa si accede, oltre che dalla porta principale anche, come dicevamo, da una porticina che sì apre sul lato destro, sulla cui architrave appare un fregio sovrastato da una lunetta che, un tempo, era sicuramente  affrescata.

Nel secolo scorso Cosimo De Giorgi, visitando la chiesetta, così  scrisse: “. .. Le antiche pitture a fresco, che decoravano le pareti interne, furono tutte imbiancate ed in parte ridipinte nel 1656.

Nel retrospetto della facciata, sulla porta, vi è una tavola divisa in sette compartimenti e dipinta nel sec. XV.

Nel mezzo si vede la Vergine col Putto e nei due lati di essa quattro santi e due sante. Il dipinto meriterebbe esser tolto da quel posto per conservarlo, essendo molto sciupato dall’umidità e dalle tignuole. Sulla facciata noteremo infine un fregio bellissimo sulla porta e gli archetti romanici sul frontone, i quali si ripetono anche nella parete estema volta a levante e sulle tre absidi su mentovate”(Il De Giorgi vide il polittico del Vivarini (1493) che ora, restaurato, trovasi presso la Pinacoteca Provinciale di Bari).
ll trascorrere del tempo e l’incuria degli uomini col passare degli anni hanno rovinato soprattutto l’interno della chiesetta di S. Maria d’Aurìo. Era intanto caduto il tetto spiovente a capriate, ricoperto da embrici, realizzato in tal maniera come in altre analoghe costruzioni romaniche. Le acque meteoriche, i pastori, i contadini che avevano adibito il tempio a rifugio e a deposito di strumenti e masserizie, il vandalismo, ancora, hanno vieppìù degradato la chiesa che è ormai priva di affreschi, i cui residui, però, vengono ancora ricordati da non poche persone di media età.
E la morbida pietra leccese ha consentito ad antichi ignoti di graffirla, disegnando con una punta metallica o con una pietra acuminata e, precisamente, sui piedritti che affiancano il portale.

Altri graffiti, anche di datazione recente, appaiono sia all’interno che all’esterno della chiesetta.


Sul lato opposto della facciata, in alto a destra, si erge il piccolo campanile della nostra chiesetta. La Struttura è tipicamente romanica, a spiovente, ma da tempo immemorabile è privo della campana che un tempo scandiva la vita delle genti del contado, le chiamava alla preghiera ed alla celebrazione dei sacri riti.

Il 22 novembre 1971 l’ultimo possessore della chiesetta di S. Maria d’Aurìo, la contessa Maria Peluso, vedova Franco, donò lo stabile e le relative pertinenze all’Amministrazione Provinciale di Lecce”.
Riteniamo utile e doveroso pubblicare integralmente la lettera con la quale, in data 15 giugno 1971, la contessa Franco esprimeva al Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Lecce la volontà di donare la chiesetta di S. Maria d’ d’Aurìo:

“La sottoscritta Maria Peluso ved. Franco con la presente manifesta la volontà di donare all’Amm.ne Provinciale di Lecce la chiesa di d’Aurìo (volgarmente di “Tarìo”) di proprietà della stessa donante, distante poco più di tre chilometri da Lecce e meno di un chilometro da Surbo.
Fiduciosa della alta sensibilità culturale della Amministrazione Provinciale, in specie del Suo Presidente, la sottoscritta si augura che tale donazione renderà possibili gli opportuni e tempestivi lavori di restauro, finanziati dalla Soprintendenza ai Monumenti, atti a salvaguardare il prezioso manufatto del XII secolo che sotto alcuni importanti aspetti rimane l’unica testimonianza della più deliziosa manifestazione d’arte che sia fiorita in Terra d’Otranto.
ln attesa di un Suo cortese riscontro molto distintamente saluta”.
L’offerta di donazione, venne accolta dall’Ente provinciale e venne rogato l’atto notarile.
La chiesetta era in uno stato veramente pietoso, poco più di un rudere, e le fotografie d’epoca ce ne danno probante testimonianza, occorreva procedere con immediatezza ai lavori di restauro, prima che altre rovine compromettessero l’edificio, soggetto alle inclemenze delle intemperie e allo scempio dei vandali.
La chiesetta già in data 18 giugno 1968 aveva ricevuto un riconoscimento di particolare interesse storico-artistico dal Ministro della Pubblica lstruzione, onde ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089 veniva sottoposta a tutte le disposizioni di tutela. L’importanza del monumento, poi, venne ribadita da una breve ma inequivocabile relazione redatta dalla dott.ssa Giovanna Delli Ponti, direttrice del Museo Provinciale di Lecce.

Nel maggio 1973, finalmente, l’Amministrazione Provinciale di Lecce ricevette una comunicazione dall’on. Oscar Scalfaro, Ministro della Pubblica lstruzione, il quale in accoglimento delle istanze inoltrate dall’Ente provinciale tramite la Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie della Puglia, aveva disposto lo stanziamento di quindici milioni per i restauri della chiesa di S. Maria d’Aurio.

La somma appariva superiore di un terzo alla perizia di spesa effettuata dalla Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie di Bari”.
Con questa cifra venne effettuato il consolidamento ed il ripristino delle strutture murarie, la copertura a tetto con capriate lignee, gli infissi e le pavimentazioni in pietra locale del tempio d’Aurìo, che nel gennaio 1977 appariva ormai restaurato, tant’è che il 12 dello stesso mese il dott. Renato Penna, Soprintendente ai Monumenti e Gallerie della Puglia, del neo Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, disponeva la consegna dell’edificio all’Amministrazione Provinciale di Lecce, la quale firmava il verbale che la impegnava: “a non alterarne lo stato di consistenza e ad assumersi l’onere della futura manutenzione in perfetta osservanza delle norme, in quanto applicabili, previste dalle Leggi 1° giugno 1939, n. 1089 e 1° marzo 1975, n. 44, sulla protezione del patrimonio storico-artistico nazionale”.

l restauri  ci hanno restituito la chiesetta in uno stato decoroso, priva però di affreschi, che se sulla parete destra hanno lasciato qualche illegibile traccia,

altrove, come sulla parete sinistra mancano del tutto, sicché lo strato di intonaco bianco che interamente la ricopre testimonia quanto irrimediabilmente è andato perduto.

L’interno, oggi, si presenta così!

Ringraziamenti:

All’amico Mario Carlucci che ha collaborato con me nella ripresa delle immagini.

Al Rettore per aver aperto la chiesa e alla nostra Guida sig.ra Osvalda Scalinci che, in maniera colta e professionale, ci ha illustrato tutti i particolari descritti nell’articolo e si è anche  resa disponibile ad ulteriori visite previo contatto al seguente indirizzo email: osvaldascalinci@alice.it.

Note:

(a) Chi difese il culto delle immagini sacre durante le lotte dell’iconoclastia.

(b) La sinopia è la fase dell’affresco consistente nel disegnare con della terra rossa -in origine proveniente da Sinope, sul Mar Nero –  un abbozzo preparatorio per l’affresco eseguito subito dopo l’arriccio.

(c) Il piedritto è un elemento architettonico verticale portante, che sostiene cioè il peso di altri elementi.

Bibliografia

La descrizione e le notizie relative alla “Chiesetta di S. Maria d’Aurìa” sono state liberamente tratte dall’opuscolo (consegnatoci dalla nostra guida sig.ra Osvalda Scalinci):

La chiesetta romanica di S. Maria d’Aurìo, di Mario De Marco. Tipografia F. Scorrano – 73100 Lecce, con introduzione di Don Mario Calogiuri, illustrazioni grafiche di Piero Pascali e foto di Giuseppe Martella.

0 commenti

  1. Grazie dell’articolo

    Stefania.

    1. Grazie a te che continui a seguirmi. Ciao.
      Francesco

  2. […] edifici vicini come ad esempio nell’agro di Lecce, la chiesa di Santa Maria d’Aurio (vedi QUI) o l’abbazia di Santa Maria a Cerrate (vedi QUI e QUI) innalzate nel XII secolo, mentre l’uso […]

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