Chiesa di Sant’Anna – Brindisi

photo.phpDa pochi giorni è stata inaugurata la sede del Centro studi per la storia dell’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni. Il centro ha dimora presso quella che era una delle più antiche chiese di Brindisi: la chiesa di Sant’Anna. L’inaugurazione si è svolta alla presenza dell’arcivescovo di Brindisi e Ostuni, monsignor Domenico Caliandro, ed è stata l’occasione per conoscere ed ammirare questa antica chiesetta e gli affreschi che custodisce.

Cenni storici

“Rimane ancora sconosciuta la data di fondazione della cappella, sita nei pressi della chiesa di San Benedetto. Il toponimo “Sancta Anna”, citato in un documento del 1343 contenuto nel Codice Diplomatico Brindisino, non costituisce una inoppugnabile prova circa l’esistenza della chiesa: un valido termine cronologico permettono però di stabilire gli affreschi superstiti, databili tra gli ultimi anni del sec. XIII e la prima metà del XIV secolo. La chiesa subì probabilmente dei lavori di riadattamento nella prima metà del sec. XVIII allorchè, in seguito all’incendio che aveva danneggiato nel 1694 il monastero e la chiesa di San Benedetto, le funzioni religiose di quest’ultima furono trasferite nella cappella che funzionò poi come parrocchia fino al 1886. Non si conosce quale sia stata la portata di tale intervento nella chiesa (..), l’unico residuo della decorazione scultorea è l’architrave in marmo dell’ingresso principale: frammento di reimpiego, decorato sul lato esterno con motivi vegetali (pigne e palmette) e nell’intradosso con una serie di formelle quadrate costituite da nastri a tre capi intrecciati e includenti rosette, esso è databile tra la fine dell’XI e il XII secolo e confrontabile con un frammento d’archivolto (probabile “ resto del primitivo portale centrale, forse proveniente da San Benedetto, conservato presso il Museo Provinciale Ribezzo –  Treccani.it”).” (1) A tal riguardo si noti la somiglianza tra l’architrave marmoreo della chiesa di S. Anna, la monofora sul lato destro della chiesa di S. Benedetto e il frammento custodito presso il Museo Prov. Ribezzo.

Via S. Benedetto
Chiesa di S. Anna in Via S. Benedetto
Ingresso principale della chiesa di S. Anna
Ingresso secondario chiesa di S. Anna
Architrave in marmo dell’ingresso principale.
Particolare dell’estradosso
Particolare dell’intradosso
Frammento d’archivolto probabilmente proveniente dalla chiesa di S. Benedetto, attualmente depositato presso il Museo Prov. Ribezzo
Monofora della chiesa di S. Benedetto

“La serie di riquadri iconici (probabilmente attribuibile ad un unica fase decorativa) che attualmente ricopre le pareti del piccolo vano di accesso alla chiesa rivela un linguaggio che, pur legato alla tradizione bizantino-adriatica, già è informato dei più recenti fatti napoletani. Il ciclo non sarebbe perciò collocabile prima del Principato di Filippo d’Angiò (1294-1331) durante il quale Taranto diviene importante centro di attività artistica cui fanno capo Rinaldo (che a Brindisi firma il Giudizio Universale in Santa Maria del Casale) e Giovanni, pittore operoso anche a Napoli la cui presenza è attestata in Puglia da un documento del 1304, alla cui attività la critica ha ricondotto gli affreschi della chiesa di Sant’Anna.” (1)

Affreschi lato sud

Affreschi lato sud

Santo Vescovo in trono, affresco lato sud, fine sec. Xlll – prima metà sec. XIV

“ll dipinto, molto rovinato, è tagliato a sinistra da un muro divisorio posticcio. ll Santo Vescovo è raffigurato entro un archetto trilobato decorato con racemi e poggiante su un esile colonnina: egli ha il capo coperto da una bassa mitra latina infulata, indossa un piviale rosso su cui sono individuabili decorazioni a forma dì freccia e l’omophorion crocesignato, regge con la mano sinistra il pastorale. Il trono, che occupa l’intera larghezza dell’arcata, ha una spalliera rettangolare e cuscino appuntito ai lati e decorato con motivi romboidali. Il volto del santo, dal naso allungato e gli occhi rotondi segnati sulla palpebra inferiore da un’ombra bruna, la bocca piccola e la profilatura bianca lungo il contorno del manto, sono elementi che denotano la medesima origine del San Domenico raffigurato a fianco, così come il particolare del panneggio del manto che ricade in una morbida piega sulla veste richiama il medesimo passaggio nel riquadro della Vergine con Bambino. Nel dipinto, riconducibile ai numerosi esemplarì di “iconismo pugliese” diffusi nelle chiese rupestri e sub divo tra Due e Trecento, si introduce però un nuovo, più moderno linguaggio all’interno del consueto modulo iconico: al gusto decorativo proprio della pittura a fresco del Duecento pugliese si aggiunge infatti una più attenta e consapevole ricerca spaziale. Il dipinto si inserisce così, nell’ambito del contesto artistico brindisino, come anello tra la pittura iconica del XIII secolo (v. gli affreschi della chiesa sup. di S. Lucia – per saperne di più clicca QUI)) e i successivi esemplarì in Santa Maria del Casale, tra i quali si ricorda il Santo Vescovo raffigurato in trono nella zona presbiteriale (identificabile con S. Erasmo da Gaeta) nel quale già si definisce il linguaggio gotico, pienamente trecentesco. Cronologicamente perciò collocabile tra la fine del XIII e, più presumibilmente, la prima metà del sec. XIV, il dipinto rivela il carattere votivo nell’ormai illegibile iscrizione deprecatoria in basso a destra dove sono ancora individuabili le tracce di una figuretta orante inginocchiata. Pochi resti rimangono pure in alto a destra dell’iscrizione esegetica: A. /C.. EP — (Archiepiscopus?).” (1)

Santo vescovo
Santo vescovo (part.)

 San Domenico, affresco lato sud, fine sec. XIII – prima metà del sec. XIV

“Raffigurato stante su fondo a fasce giallo e blu, il santo indossa l’abito dell’ordine costituito dalla tonaca bianca, scapolare e mantello scuro con cappuccio che in parte copre il capo tonsurato; solleva la mano destra benedicente e regge con la sinistra il libro. Il volto allungato, molto simile a quello del S. Vescovo leggibile a sinistra, è ombreggiato da una rada barba; gli occhi grandi sono segnati sotto la palpebra da un’ombra bruna. La raffigurazione del San Domenico stabilisce un termine post quem e precisamente il 1234 (anno della canonizzazione) per il dipinto che rese noto la Sciarra sottolineandone la “fluidità e finezza”, sintomo di una cultura che superava gli schematismi bizantini. Un’interessante ipotesi sul dipinto, che fa parte comunque dello stesso strato d’intonaco del S. Vescovo, la Madonna con Bambino ed i due santi raffigurati sulla parete sud, è stata avanzata negli ultimi anni da M.S. Calò Mariani: una relazione potrebbe istituirsi tra i dipinti brindisini, e in particolare il S. Domenico, e l’attività del pittore Giovanni da Taranto, la cui presenza è attestata in Puglia in un documento del 1304 e a cui F. Bologna ha attribuito l’icona della Vergine proveniente da Palazzo Venezia a Roma (Pinacoteca Provinciale di Bari) e l’icona agiografica di S. Domenico, conservata a Capodimonte. Nel S. Domenico, così come negli altri dipinti del ciclo, si avvertono infatti i segni dell’introduzione di un linguaggio aggiornato in cui si riscontrano gli echi d’arte occidentale, in particolare napoletana. ll ciclo non sembrerebbe perciò collocabile prima del principato di Filippo d’Angiò (1294-1331), durante il quale Taranto diviene importante centro d’attività artistica cui fanno capo Rinaldo (che firma il Giudizio Universale nella chiesa di S. Maria del Casale) e Giovanni, che dà origine a una “…corrente pittorica (…) tributaria della tradizione bizantina e insieme informata dei più recenti fatti napoletani” (Calò Mariani, 1984, p. 191). Oltre all’iscrizione esegetica, S DOMI /NICUS, tracce di una probabile iscrizione deprecatoria rimangono in basso a destra: …TO/…X. E/…E. (Bibliografia: Sciarra, 1970, p. 102; Pace, 1980, p. 391; Calò Mariani, 1984, p. 191; Sciarra, 1985, p. 431.)” (1)

San Domenico
San Domenico (part.)

Madonna con Bambino, Santo anonimo e S. Maria (Maddalena?), affresco lato sud, fine sec. XIII – prima metà sec. XIV

“Il precario stato di conservazione degli intonaci rende difficile la lettura dei riquadri: a partire da sinistra, entro un’arcatella trilobata simile a quella in cui è raffigurato il Santo Vescovo, si individua una Madonna con Bambino. La Vergine non indossa il consueto maphorian: la testa è coperta da un velo bianco che arriva all’altezza delle spalle, fermato sulla testa da un copricapo a forma di cuffia; siede su un trono dal cuscino appuntito ai lati ed indossa una veste azzurra su cui ricade in panneggi fitti, oggi molto rovinati, un manto rosso. ll Bambino, sorretto dal braccio sinistro della Madre, indossa una tunica bianca, solleva le braccia e la testa in un movimento che appare scomposto afferrando con entrambe le mani il seno della Vergine: si tratta infatti di una versione della Galaktotrophousa, unico esempio di “Madonna del latte” conservatosi nella pittura murale brindisina; tale iconografia, che ha forse origini orientali, si diffuse soprattutto a partire dal XIII secolo, perchè più confacente ad una “religiosità più umana e affettuosa”. La Vergine ricorda, per la forma del volto e del naso e per le lunghissime braccia piegate, la S. Margherita perduta che si trovava al centro del pannello agiografico sulla parete sinistra (vedi Archivio Fot. della Soprintendenza per i Beni AA. AA. AA. SS. della Puglia BA n. 1607/B). ll dipinto appartiene al medesimo strato d’intonaco del rovinatissimo dittico a destra”: sul fondo a fasce blu e gialle è solo parzialmente leggibile, a sinistra, la testa cinta da aureola perlinata del santo. Egli indossa una veste azzurra su cui ricade, dalla spalla sinistra, un manto rosso in fitti panneggi, costituiti da linee parallele. Sul libro, che solleva con la sinistra, si scorgono solo poche lettere: …N/IP…/…RV. La santa a destra ha un volto che si allarga leggermente, assumendo una forma triangolare, il naso lungo il mento arrotondato e la bocca piccola; tutti elementi che sottolineano la stretta affinità con la Vergine Kyriotissa raffigurata sulla parete nord. Con la mano sinistra sollevata ella regge forse un vaso portaunguenti: ciò conforterebbe l’identificazione con Maria Maddalena, avallata d’altronde dall’iscrizione leggibile a sinistra …T…/.RIA.” (1)

Madonna con Bambino
Madonna con Bambino (part.)
Madonna con Bambino (part.)

Santo anonimo
Santo anonimo (part.)
Santo anonimo (part.)
Santo anonimo (part.)
S. Maria (Maddalena?)
S. Maria (Maddalena?) – Part.

Affreschi sulla controfacciata

Santo Cavaliere, affresco controfacciata, a sinistra dell’ingresso, fine sec. XIII – prima metà del sec. XIV

“La caduta del colore ha portato alla luce il disegno preparatorio del dipinto raffigurante un santo che indossa una cotta metallica e una clamide rossa, in sella a un cavallo pomellato gradiente a destra. Poche tracce rimangono del volto del cavaliere mentre ancora individuabile è la mano destra che impugna dall’alto la lancia conficcata nelle fauci del drago dal corpo anguiforme disteso in basso, tra le zampe del cavallo. La rappresentazione del santo si aggiunge quindi al cospicuo numero di affreschi raffiguranti Santi Cavalieri in area meridionale (in particolare costiera) e, nella stessa città di Brindisi, al palinsesto di S. Giovanni al Sepolcro e al dipinto nella chiesa superiore di S. Lucia (per saperne di più clicca QUI): una tradizione iconografica sviluppatasi soprattutto in concomitanza al movimento crociato. Al S. Demetrio nella chiesa Superiore di Santa Lucia il dipinto pare riconducibile sia per il medesimo gusto calligrafico (v. la muscolatura sulle zampe del cavallo) che per i particolari dell’abbigliamento e l’impostazione della figura. Il confronto, che a causa dello stato di conservazione di entrambe le pitture non permette di ipotizzare l’attribuzione a comuni maestranze, testimonia comunque l’appartenenza ad uno stesso arco cronologico situabile tra la fine del sec. XIII e la prima metà del sec. XIV.

Bibliografia Sciarra, 1970, p. 102; Sciarra, 1975, p. 431″ (1)

Santo Cavaliere
Chiesa di S. Lucia – S. Demetrio
Particolare che potrebbe rappresentare le spire del drago tra le zampe del cavallo
Particolare del cavallo

 

Albero della Croce (o Albero della Vita) affresco controfacciata, a sinistra dell’ingresso (nota a)

Anche in questo caso il dipinto è pressochè illeggibile, ma  sono molte le rassomiglianze con l’analogo affresco presente nella chiesa di S. Maria del Casale, (per approfondire leggi QUI).

Albero della Croce (o Albero della Vita) ?
Particolare dell’Albero della Croce o della Vita che potrebbe essere il nido di pellicano presente anche nell’affresco in S.M. del Casale
Albero della Croce (o Albero della Vita) presente nella chiesa di S. Maria del Casale
Particolare evidenziato dal colore presente nell’Albero della Croce (o Albero della Vita) della chiesa di S. Maria del Casale
Particolare

San Michele Arcangelo, affresco controfacciata, a destra dell’ingresso, fine del sec. XIII – prima metà del sec. XIV

“San Michele (iscrizione esegetica: ARChA/GeLUS/ MlChAEL) è raffigurato olosomo, su un fondo a fasce blu e gialle. Indossa il “loros” di colore rosso decorato con preziosi motivi quadrettati e perlinature su una tunica azzurrina; una stola che si avvolge attorno alla vita ricade dal braccio sinistro in fitti panneggi lumeggiati di bianco. ll santo impugna con la mano destra la lancia che si conficca nelle fauci del drago dalla testa canina ed il corpo anguiforme ricoperto da scaglie. Il dipinto è attribuibile al medesimo strato del S. Domenico e della Madonna con Bambino: a  quest’ultima l’Arcangelo si accosta per particolari fisiognomici quali il naso lungo, la bocca piccola, la forma dell’occhio segnato da un’ombra bruna, il mento rotondo, la testa leggermente triangolare; comune è inoltre la maniera di rappresentare in primissimo piano le figure, che sembrano quasi debordare dalle cornici. B. Sciarra ha pubblicato il dipinto sottolineando la coincidenza della tipologia dell’Arcangelo con il medesimo soggetto in Sant’Angelo in Formis e tutta una serie di riquadri iconici esistenti nei santuari rupestri pugliesi e del brindisino; recentemente esso è stato ricondotto dal Pace a “testimonianze certamente pugliesi che dalle aree greche emanano solo un riflesso e suggestive tangenze”. L’affresco si distanzia effettivamente dalle rappresentazioni più prossime alla matrice culturale bizantina e, pur nell’ambito di un linguaggio che non può prescindere da tale tradizione, introduce vaghi echi di nuovi rapporti culturali e preannuncia soluzioni stilistiche e passaggi della più antica decorazione di S. Maria del Casaie (v. in particolare il Giudizio Universale di Rinaldo da Taranto).

Bibliografia Sciarra, 1970, p. 102; Pace, 1982, p. 475; Sciarra, 1985, p. 431.” (1)

San Michele Arcangelo
San Michele Arcangelo (part.)
San Michele Arcangelo (part.)
San Michele Arcangelo (part.)
Particolare evidenziato di scudo con gigli all’interno, di probabile epoca succesiva (vedi nota sotto)
San Michele Arcangelo (part.) Graffito – Scudo con gigli (vedi nota b)

 S. Simeone, affresco controfacciata, a destra dell’ingresso, fine del sec. XIII – prima metà sec. XIV

“ll santo, raffigurato su un fondo tripartito blu e giallo, si dirige verso sinistra (di chi guarda ndr) sollevando il Bambino con entrambe le mani. Ha il volto magro e solcato da rughe, il naso sottile, la barba lunga e appuntita bianca come la capigliatura che ricade fluente sulle spalle. ll Cristo, che indossa un pallio bianco sulla tunica rossa e solleva la mano destra benedicente, sembra muoversi agitando le esili gambe. Decise pennellate scure disegnano i contorni, le ciocche della barba e della capigliatura, il panneggio del manto del Bambino e, sul viso di San Simeone, approfondiscono le rughe e danno rilievo agli zigomi e al naso. ll dipinto appartiene probabilmente ad una fase decorativa coeva al San Michele Arcangelo anche se taluni particolari sembrano testimoniare l’intervento di una mano differente: comuni sono infatti nei due riquadri le gamme cromatiche e le lumeggiature dei panneggi rese con decise pennellate chiare sui colori scuri che creano la profondità delle ombre; più schematici risultano invece i tratti del volto di S. Simeone rispetto ai morbidi passaggi sull’incarnato di San Michele Arcangelo. La Sciarra, che ha definito l’iconografia dell’opera brindisina “un’originale abbreviazione della Presentazione di Gesù al Tempio”, ha avvicinato il dipinto, per “l’allungarsi delle forme e la magistrale tessitura cromatica”, alla Presentazione al Tempio nella cripta della Candelora a Massafra (TA). Tale rapporto sembra comunque esaurirsi nella somiglianza del soggetto e una vaga prossimità cronologica essendo ben evidente, al confronto, la maggiore durezza dei tratti nell’affresco brindisino che appare una schematica e parziale riproposizione di un modello, traendo forse spunto da un’icona o da un cartone. ll dirigersi a sinistra del Santo non avrebbe infatti un senso se non esistesse, in corrispondenza, un altro personaggio, cioè la Vergine. Una tale  rappresentazione sembrerebbe del resto troppo distante dalla tradizione iconografica locale, che avrebbe presumibilmente interpretato la figura secondo il consueto iconismo.

Bibliografia Sciarra, 1970, p. 102; Sciarra, 1985, p. 431″ (1)

S. Simeone
S. Simeone (part.)
S. Simeone (part.)
“Presentazione al Tempio” nella cripta della Candelora a Massafra (Ta). (2)

Affreschi lato nord

Madonna con Bambino, affresco lato nord, a sinistra dell’ingresso laterale, fine sec. XIII — prima metà sec. XIV

“La Vergine è raffigurata secondo l’iconografia della Kyriotissa: seduta in posizione frontale, sostiene con entrambe le mani il Bambino che solleva la mano destra benedicente e regge il rotolo con la sinistra. Maria indossa sulla veste azzurra un maphorion di color rosso-terra decorato sugli omeri da un sottile motivo a intreccio. ll Cristo è ricoperto da una tunica azzurrina, segnata da pennellate blu scuro che creano la profondità dei panneggi e bianche lumeggiature, e un manto rosso che si avvolge attorno al busto coprendo la spalla sinistra. ll trono giallo, privo di spalliera, ha un cuscino rosso appuntito alle estremità. Un immediato confronto sarebbe istituibile tra il dipinto e l’Arcangelo Michele nella stessa chiesa: ritorna infatti l’uso di profilare i contorni con una sottile pennellata bianca (ciò si riscontra anche nel riquadro raffigurante San Domenico) così come si ripropongono particolari fisiognomici quali il volto allungato che si allarga nella parte superiore e gli occhi grandi dalla palpebra pesante, segnata da un’ombra scura. Identiche sono le piccole bocche che sembrano accennare un sorriso e comuni i leggeri passaggi chiaroscurali sul collo sotto al mento arrotondato. Dal punto di vista iconografico è immediato il riferimento alla più antica Kyriotissa nella chiesa inferiore di S. Lucia: benchè sia diversa la posizione delle braccia del Bambino vari elementi, quali il panneggio del maphorion che ricade sulle gambe della Vergine, la posizione della mano sinistra e in generale tutta l’impostazione della figura in Sant’Anna, sembrano dimostrare come il pittore ben conoscesse il dipinto in Santa Lucia. Tale anonima personalità artistica recuperava perciò, tra la fine del sec. XIII e più probabilmente nella prima metà del XIV, le duecentesche tipologie peculiari dell’iconismo pugliese, interpretandole però secondo un linguaggio non privo di una certa personale eleganza che già preannunciava le soluzioni stilistiche del pieno Trecento. La Vergine Kyriotissa nella chiesa Superiore di Santa Lucia alla quale il dipinto in esame è assimilabile anche per l’identica posizione del Bambino, è un ulteriore confronto proponibile per la Madonna di Sant’Anna: una relazione spiegabile con ogni probabilità sulla base dell’identità del modello. L’affresco era un tempo nascosto da un successivo strato d’intonaco su cui l’iconografia della Vergine in trono si riproponeva in una forma pienamente occidentale (forse cinquecentesca). Unica testimonianza rimasta di tale dipinto è la foto datata marzo 1941 (Archivio Fot. della Soprintendenza per i Beni AA. AA. AA. SS. della Puglia – Bari, reg. 1607 Cat. B). Bibliografia Sciarra, 1970, p. 102; Sciarra 1983, p. 431.” (1)

Madonna con Bambino

Cripta di S. Lucia – Kyriotissa
Madonna con Bambino e S. Michele Arc. – Chiesa di S. Lucia

Storie di Santa Margherita, affresco lato nord, a sinistra dell’ingresso laterale, fine sec. XIII – prima metà sec. XIV

Del dipinto raffigurante le storie di Santa Margherita rimane oggi solo la parte sinistra, costituita da quattro scenette. Originariamente esso era strutturato secondo la consueta organizzazione dei pannelli agiografici, con il santo al centro ed i riquadri ai lati, dei quali rimangono in Puglia ancora numerosi esempi sia nella pittura a fresco che su tavola. Unica testimonianza dell’originale sistemazione è una foto (Archivio Fot. della Soprintendenza per i Beni AA.AA.AA.SS. Ba neg. 1607 cat. B-3/4l) in cui è ancora leggibile la figura di Santa Margherita dal capo coronato: raffigurata stante, la Santa Martire indossava un abito impreziosito da girali perlinati e un manto sulle spalle; la vita stretta ed il braccio sproporzionatamente lungo ripiegato sul petto ricordano vagamente le Sante Lucia e Caterina raffigurate nella cripta della Buona Nuova a Massafra – TA.

Del pannello si conservano quindi cinque riquadri: l’ordine di lettura non doveva però aver inizio (come avveniva nelle icone agiografiche) a partire da sinistra in alto e proseguendo orizzontalmente a sinistra e a destra del pannello centrale, ma verticalmente su entrambi i lati.

Nella prima scena in alto, entro un paesaggio costituito da scoscese alture color ocra e pochi scheletrici arbusti, Santa Margherita, che si distingue per la testa nimbata ed un manto rosso sulla veste azzurra, custodisce il gregge assieme a due vergini. A destra il Prefetto Olibrio, che cavalca un destriero grigio pomellato, indossa una veste rossa decorata con perle lungo il collaretto ed ha sulla testa un basso copricapo. La scena narra l’incontro tra la vergine antiochena ed il Prefetto Olibrio che, colpito dalla bellezza della giovane, ordina che venga portata a corte. ln alto sono individuabili due iscrizioni: SC.. ARGA/RITA a sinistra e OLIBRIUS a destra.

Nel riquadro sottostante la vergine, che indossa l’abito azzurro e un manto rosso bordato da una fascia dorata ed ha sulla testa una cuffia, viene condotta da un altro personaggio al cospetto di Olibrio che, vestito con un prezioso loros, siede su un trono entro arcatella sovrastata da monofore. Nell’intradosso dell’arco è leggibile l’iscrizione bianca su fondo blu: OLIBRIUS e, in alto a destra SC…A /…ITA.

Terzo riquadro: la parte sinistra è simile a quella della scena soprastante ma la figura di Olibrio è molto rovinata. A destra la santa è rinchiusa nella prigione: una specie di torre dal paramento murario costituito da grossi conci e che si apre nella parte superiore lasciando scorgere Margherita in preghiera. Sono leggibili un altro personaggio fuori dalla torre e l’ìscrizione esegetica a destra della santa: SC M..gA/Rl.. Grosse tracce d’intonaco sovrapposto non permettono la lettura del quarto riquadro che narra probabilmente la flagellazione della Santa raffigurata a sinistra, legata alla colonna assieme al frammento d’iscrizione: …TA.

L’ultima scena in basso risulta illegibile a causa delle lacune. La componente occidentale del dipinto, probabilmente tardo duecentesco o dei primi anni del secolo successivo, è stata sottolineata dal Pace e dalla Milella Lovecchio che ravvisava nell’opera una componente stilistica vicina alle scene agiografiche pugliesi (S. Maria della Croce a Casaranello) e lucane (S. Margherita a Melfi): si può infatti individuare, nel pannello in esame ed in generale nella decorazione pittorica della chiesa brindisina (v. la Madonna con Bambino di Sant’Anna, confrontabile con la Vergine e la S. Martire nella chiesa di S. Maria della Croce a Casaranello), il combinarsi della tradizione culturale bizantina (la rappresentazione iconica della scomparsa S. Margherita) con valenze franco-italiane sicuramente favorite dalla presenza politica e culturale angioina. La tradizione dei pannelli agiografici continuerà infatti a Brindisi per tutto il XIV secolo nei riquadri sulla parete sud della chiesa di San Paolo e nelle storie di Santa Caterina in S. Maria del Casale: da queste ultime i riquadri in esame, pur molto simili nell’impaginazione, si distanziano per le figure allungate ed esili e la maggiore legnosità della perduta figura olosoma, non annullando comunque, soprattutto nei particolari architettonici, le componenti gotiche del dipinto.

Molto interessante ci è apparsa, infine, la nota dell’autrice Maria Guglielmi nel suo libro “Gli affreschi del XIII e XIV secolo nelle chiese del centro storico di Brindisi”, opera da cui sono tratte quasi per intero le notizie riportate in questo articolo e che per questo ringraziamo, di seguito riportata integralmente, in cui vengono  elencati gli affreschi un tempo presenti nella chiesa che oggi, facendo un rapido confronto con quelli presenti, ci consente di osservare che molti non esistono più:

“Buona parte degli affreschi un tempo esistenti in S. Anna è andata purtroppo perduta. Nella documentazione reperibile presso l’Archivio della Soprintendenza di Bari si fa riferimento ai nuovi affreschi venuti alla luce nel 1939. ln una lettera indirizzata dal soprintendente al parroco Francesco Caiulo, datata 1 giugno 1939, si comunica che il Ministero dell’Educazione Nazionale ha autorizzato il distacco ed il restauro degli affreschi a condizione che la spesa occorrente venga sostenuta dall’ente interessato. Segue in ordine cronologico il preventivo spesa, in data 18 marzo 1940, del restauratore Lorenzoni per il distacco e riattacco sui telai mobili ed il restauro degli affreschi. Su un lucido, probabilmente allegato a tale preventivo, si riproduce la planimetria della chiesa enumerando gli affreschi esistenti che risultano in numero superiore rispetto a quelli ancora oggi visibili; non sono infatti più in loco molti dei dipinti che coprivano la parete sinistra, che qui si elencano a partire dal fondo: San Nicola (di cui rimane ancora documentazione fotografica nell’Archivio della Soprintendenza, datata marzo 1941, neg. 1606/B), Santo di fronte, Madonna e putto, Santo di fronte, Madonna e putto di fronte tagliata a metà nel senso dell’altezza, Madonna con putto, Madonna con putto, Santa solo busto e tagliata dalla porta laterale, S. Margherita (foto presso Archivio fotografico della Soprintendenza di Bari datata marzo 1941 neg. 1606/8) e storie della sua vita (ancora in loco), Madonna e putto (foto presso l’archivio fotografico della  Soprintendenza di Bari, 1607/ B). Dalla documentazione d’archivio si apprende inoltre che il restauro nel novembre del 1940, data in cui il carteggio tra il parroco ed il soprintendente sì interrompe, non è ancora iniziato; esso non è del resto avvenuto prima del marzo 1941, come testimoniano le già citate fotografie dell’archivio fotografico della Soprintendenza.”

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La campana della chiesa di Sant’Anna è tuttora conservata nel Museo Diocesano G. Tarantini presso il Palazzo del Seminario – Piazza Duomo

Un ringraziamento all’amico Mario Carlucci per la consueta collaborazione.

Note:

a – Tale affresco, non risulta nel libro della Guglielmi preso a base di questo articolo, perchè probabilmente ritrovato successivamente.

b – I gigli di Francia, o fiordalisi (fleur de lis è termine risalente al 1161), sono tanto noti e popolari quanto incerta e dibattuta è la loro origine. Verso il 1137/47 Luigi VII il Giovane avrebbe scelto, come segno di distinzione, vesti e addobbi azzurri seminati di gigli d’oro; il giglio era peraltro già presente come ornamento sulle corone e gli scettri dei re carolingi. Lo scudo azzurro con solo tre gigli, detto “di Francia moderna”, dal quale deriva la bandiera, comparve nel XIII secolo. Non era altro che una semplificazione, fatta per motivi di praticità, di quello seminato, detto “di Francia antica”, al quale pure corrisposero analoghe bandiere. (http://www.rbvex.it/francia.html).

Bibliografia e sitigrafia:

“Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica o sitografica.”

(1) Gli affreschi del XIII e XIV secolo nelle chiese del centro storico di Brindisi, di Maria Guglielmi. Edito a cura del Lyons Club e stampato da Arti Grafiche Pugliesi – Martina F. (TA) nel mese di maggio 1990

(2) http://www.historiabari.eu/Articoli/La%20chiesa%20rupestre%20della%20Candelora%20a%20Massafra%20%28Taranto%29.htm

0 commenti

  1. Bella presentazione! Grazie.

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