Le sculture di Giovanni Carpignano a Lama d’Antico (Fasano – Br)

Lo scultore
Giovanni Carpignano, nasce a Palagianello (Ta) nel 1967, e si diploma al Liceo Artistico di Taranto; perfeziona gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bari.
Dalla fine degli anni Ottanta è attivo sul territorio nazionale e internazionale, e le sue opere figurano in collezioni pubbliche e private.
Nella grotta-atelier di Palagianello, dove vive ed opera, plasma a partire dal 2006 forme che nascono dalla scomposizione e dalla successiva selezione delle parti migliori di objets trouvè (oggetti trovati ndr) rinvenuti nel paesaggio campestre della provincia tarantina.

Lo scultore Giovanni Carpignano

L’attività di scultore
(tratto dall’articolo: Oltre il visibile di Carmelo CIPRIANI)
La scultura è anzitutto uno scenario sperimentale entro cui una pietra sbozzata o delle lamiere contorte assumono la stessa dignità di un marmo scolpito.
Un raffronto che può far inorridire i puristi eppure sostenuto da non poche attestazioni d’eccellenza. Dal legno nodoso della Maddalena donatelliana alla scomposta Portinaia di Medardo Rosso, fino allo Scolabottiglie di Duchamp e alle Sculture viventi di Piero Manzoni, la Storia dell’Arte brulica di esempi irriverenti. Opere uniche, accomunate dalla “povertà” — se non banalità – del materiale, rese eccezionali dallo spirito visionario dei rispettivi autori che hanno saputo guardare oltre il dato naturale, esaltando doti plastiche e potenzialità espressive di ciascun materiale.
Scolpire, dunque, significa plasmare, fondere, incidere ma anche scegliere. Lo sa bene Giovanni Carpignano che da tempo scolpisce assemblando materiali eterogenei, spesso residuali, carichi di energie inespresse.
Egli non leva e non pone, ma sceglie, per poi affiancare o montare; riutilizza oggetti già plasmati e decontestualizzati, rivelandosi un credente di stretta osservanza dell’autonomia plastica. Ferri di risulta, attrezzi agricoli arrugginiti, materiale da ferramenta sono i componenti primari del suo operare, elementi del quotidiano sottratti al consueto utilizzo ed elevati alla dimensione artistica: pretesti plastici riconsiderati, visti con gli occhi dello scultore anziché del fabbro, dell’agricoltore o del faccendiere.

Mater Mediterranea, 2013. Trapano a mano, zappetta, ferro di cavallo, borchie e bottiglia, h. 40 cm
Tartarughe (part.) 2013. Elementi di attrezzi agricoli in ferro, h 30 cm

Consapevole testimone della civiltà rurale — fiera custode di un sapere ancestrale e crogiolo di tradizioni millenarie — Carpignano crea figure totemiche, prodotto di una coscienza forgiata nel rispetto di una secolare koinè (forma linguistica di riferimento ndr) artistica.
Raffinato interprete della cultura mediterranea compone sculture essenziali, filiformi o geometrizzate, archetipi di resistenza campestre e muti testimoni dell’eterno dialogo tra cielo e terra.
II suo modus operandi rivela un processo speculativo in cui alla nostalgia contemplativa segue la produzione attiva. Egli non appartiene alla categoria dei formatori del volume e del modellato di tradizione, bensì a quella del ferro e della fiamma ossidrica, mezzi con i quali si rende partecipe di quei problemi di linguaggio che da sempre rendono inquieta la cultura artistica. La sua è una ricerca plastica in cui un certo primitivismo dialoga con la grazia di una bella forma, conservando chiari rapporti con la memoria del passato attraverso una revisione della scultura classica, rivissuta in chiave esistenziale. Lavorato con sapienza artigianale e grande sensibilità estetica, il ferro si tramuta in organismi frementi di energia, in un’alchimia di contrasti capaci di esprimere tutta la potenza dell’atto creativo.

Nudo davanti alla grande ruota, 2014. Dadi metallici elettrosaldati, cerchio di traino e naylon, h 200 cm

Foto: Claudio Giasi

Per Carpignano la creazione è ancora romanticamente subordinata all’ispirazione. Il trasporto sentimentale è la materia principale con cui costruisce le sue sculture. Parte dalla terra attuando uno scavo dell’anima mediante il quale sintetizza le parvenze del reale ed elimina ogni aspetto transitorio. Mitizza il brandello di realtà come cimelio sottratto al suo tempo, conferendo ai materiali selezionati l’aspetto imperituro e definitivo di guerrieri ancestrali, di essenze primordiali. Percorre vie plastiche poco battute e si diverte a snaturare le rimanenze, privandole della funzione originaria e riqualificandole in senso estetico. La sua è un’operazione prefigurale: cerca l’icona lì dove non compare, modifica oggetti connotati da una propria forma e da una precisa funzione, offrendogliene altre, sempre inedite, spesso impreviste.

 

Giochi equestri (part.) 2009. Ferro, pietra, legno e plastica, h 400 cm
Esposizione presso l’Università del Salento, Dip. di Beni Culturali – Lecce

 

 

Parco rupestre di Lama d’Antico

“Non ha molta importanza se sono stati i monaci, per poter vivere da anacoreti, a insediarsi per primi nelle remote e difficilmente raggiungibili lame del fasanese, o se sono state collettività sociali, in prevalenza di contadini, già presenti in quei luoghi, a favorire la presenza dei monaci, atti a garantire le pratiche religiose di cui l’uomo già sentiva il bisogno. Sono comunità, quelle rupestri, ad impianto agricolo abbastanza primitivo, che si modificherà solo verso la metà dell’XI secolo con l’avvento dei benedettini, assertori di un ampio programma di trasformazione dei terreni adiacenti ai loro monasteri. È solo dalle fonti agiografiche, dal X secolo in poi, che possiamo ricavare notizie in tal senso. Da questo momento la cripta nelle fonti documentarie non appare più solo come referente cultuale o elemento di colore nell’articolata struttura del paesaggio agrario del Sud d’Italia, ma come bene patrimoniale funzionale ed integrato nel contesto.

Chiesa di Lama d’Antico – esterno
Chiesa di Lama d’Antico – interno
Chiesa di S. Lorenzo – esterno
Chiesa di S. Lorenzo – interno
Chiesa di S. Giovanni – esterno
Chiesa di S. Giovanni – interno

Contesto che prevede, vicino alla cripta, grotte destinate a palmentum per la pigiatura delle uve e per la mostificazione, a cellarium per la conservazione del vino, a fobee o fovee per la conservazione dei cereali, a furnum per la panificazione, a trapetum per la molitura delle olive, e poi il casile, il putensa, la pila.
Purtroppo, per Fasano, la documentazione riguardo al periodo altomedioevale è quasi nulla. La suddetta formazione strutturale dell’insediamento rupestre è ben evidente, però, in Lama d ‘Antico, pur se in via di stravolgimento per le imponenti trasformazioni agricole della lama.
Naturalmente, l’habitat delle dimore non doveva e non poteva essere dei più confortevoli, e per la povertà dei componenti gli strati sociali (contadini, artigiani, monaci) e per la natura delle abitazioni scavate nel tufo con mezzi rudimentali e con lo scopo di soddisfare condizioni elementari di esistenza.
Era l’agricoltura e l’allevamento di animali a dare l’impronta a un sistema di vita quasi primordiale, che veniva però integrato ed elevato dall’elemento spirituale-culturale trasmesso dai monaci in loco o tramite i contatti con i monasteri vicini.

Le grotte in cui vivevano gli uomini e gli animali

 

Le terre strappate ai boschi di querce e di lecci che ricoprivano tutto il territorio di Fasano si prestavano, data la composizione delle rocce calcaree disgregate prima dai torrenti e, in un secondo tempo, dalle piogge, a formare la cosiddetta terra rossa molto fertile, alla coltivazione dell’olivo, dei cereali, della vite, del mandorlo e del carrubo, oltre agli ortaggi. Erano, e sono, queste piante, la base del paesaggio agrario tipico della zona di Fasano.
Ma soprattutto l’olivo primeggiava tra le piante a dimora. Prova ne sono i numerosi trappeti che si ritrovano negli insediamenti rupestri. Sono olivi millenari, con il tronco aggrovigliato, spaccato, rugoso, torturato, testimoni di secoli di vicissitudini naturali e di umane fatiche.
Nascosti nelle lame segrete e silenziose, protetti dalle pareti delle lame verdeggianti di rovi di capperi, di lentischi, di mortella, di parietaria, gli olivi restano gli artefici di un’atmosfera struggente e colma di sacralità.

 


I contadini aravano, coltivavano i terreni, con la forza delle mani, dall’alba al tramonto, quando non erano intenti a scavare le grotte; le loro donne badavano agli animali e ad ogni faccenda di casa; gli artigiani facevano del loro meglio, dotati di pochi, forse rudimentali, utensili, per provvedere ai bisogni della comunità.
Comunità che conservava in nuce le classi sociali, i cui componenti erano spesso soggetti ai proprietari delle terre, residenti in città vicine o agli ufficiali rappresentanti del potere politico, prima longobardo poi bizantino, o ai vescovi e ai prelati dei monasteri.” (1)

 

L’incontro dell’artista con il Parco di Lama d’Antico

I materiali di cui si serve Giovanni Carpignano sono i residui ritrovati tra muretti a secco e ulivi secolari, nelle vecchie masserie, in ambienti rupestri, materiali di scarto industriale o parti di Strumenti agricoli, come forche, zappe, pale, forbici, tondini, corrosi dal tempo e dal contatto con la natura, che li ha custoditi.
Dalla loro combinazione nascono nuovi oggetti, che attingendo al mito e alla Bibbia, alle tradizioni della cultura popolare, all’iconografia e alla natura, diventano personaggi stilizzati di un immaginario leggendario, archetipi di un mondo primordiale, e animali, collocati in luoghi naturali, propri del nostro territorio.

Anche nel Parco Rupestre di Lama d’Antico, è proprio la loro ambientazione che concorre a farli rivivere come simboli e segni della storia e nello stesso tempo come espressione di un presente poco propenso a conservare le indispensabili risorse della natura. (liberamente tratto dall’articolo di Chiara Romano: I processi di “ri-creazione” nell’opera di Giovanni Carpignano)

L’iniziativa degli Open Days – Estate 2015 Puglia, consente ogni sabato alle 20,30, la visita gratuita con guida di Lama d’Antico per tutto il periodo Luglio – Settembre
Il selfie degli organizzatori: prof. M. Guastella (al centro) , lo scultore G. Carpignano (a dx), i giovani della Coop. Archeologica A.R.S. – Archeologia Recupero Sviluppo

“Affinità tra due volatili”, 2011. Pale e cugni in ferro h 55 cm

“Ragni” 2014. Cazzuole, tenaglie, attrezzi agricoli e tondini in ferro, dimensioni variabili

“Firmamento delle acque”, 2015. Cerchio di ruota di carro, forbici, elementi di scarto industriale, h 150 cm

“Il pastore e la pecorella ritrovata” 2012. Pala, forca, falce, picconi, cazzuole in ferro, pietra, h 180 cm

“S.Giorgio” 2010. Elementi di scarto agricolo e industriale, h 400 cm

” Déesis” (*), 2013. Elementi di scarto agricolo e industriale, pietra, h 180 cm

“Vergine col Bambino” 2013. Zappe, ruote di aratro in ferro, pietra, h 175 cm

La Croce
“Comunicazione tra 9 volatili” 2015. Tubi e putrelle, zappe, pale, tenaglie e cugni in ferro, pietra, h 450 cm

 

Al calar della sera, quando si accendono i fuochi, l’atmosfera cambia e diventa affascinante e ricca di emozioni

 

 

Per approfondire leggi qui il nostro articolo su Lama d’Antico e la sua storia

Note:

(*) La deesis o deisis (dal greco “supplica”, “intercessione”) è un tema iconografico cristiano di matrice culturale bizantina, molto diffuso nel mondo ortodosso. Nella rappresentazione archetipica, in genere, si vede Cristo benedicente tra la Madonna e san Giovanni Battista (in alcune rappresentazione sostituito da San Nicola o altri santi) in atto di preghiera e supplica per i peccatori.

Ringraziamenti:

all’amico Mario Carlucci per la consueta disponibilità e collaborazione;

allo scultore Giovanni Carpignano per aver consentito la ripresa delle immagini;

ai giovani della Coop. Archeologica A.R.S. – Archeologia Recupero Sviluppo per averci accompagnato;

al prof. M. Guastella per aver contribuito all’organizzazione dell’evento

Bibliografia e sitigrafia: “Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica o sitografica.”

(1) Arte medioevale nelle lame di Fasano, di M. Semeraro Herrmann e Raffaele Semeraro. Schena Ed. – Fasano – (Br) anno 2010

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