Londra – National Gallery – Storia e Ala Sainsbury (1250 – 1500)

Breve storia della National Gallery
La National Gallery è un’eccezione tra i grandi musei pubblici europei, non avendo come nucleo una collezione reale o principesca e non esponendo principalmente opere di artisti britannici (cosa che spesso suscita lo stupore dei visitatori stranieri). Ospita invece la collezione nazionale di opere pittoriche, provenienti da ogni scuola artistica dell’Europa occidentale, dalla fine del tredicesimo secolo all’inizio del 1900.

Fondata nel 1824, la Galleria giunge in ritardo rispetto ad altre comparabili istituzioni, ma a convincere il governo alla sua necessaria apertura fu la sorprendente concomitanza di due eventi accaduti quell’anno: I‘offerta di vendita della collezione di Grandi Maestri raccolta da John Julius Angerstein (1735 – 1823), finanziere intraprendente, di modeste origini, filantropo e collezionista nativo di San Pietroburgo, e l’inattesa restituzione di un debito di guerra da parte degli austriaci. Utilizzando quest’ultima per acquisire la prima, nacque la National Gallery.

Aperta in un primo tempo presso la residenza privata cittadina di Angerstein, al 100 di Pall Mall, la Galleria si trasferì in una sede appositamente costruita solo nel 1838, e per i trent’anni successivi dovette condividere l’assai criticato edificio di William Wilkins a Trafalgar Square con la Royal Academy. Grazie a donazioni, lasciti e acquisizioni, la Collezione crebbe rapidamente, rendendo necessari gli ampliamenti apportati negli anni ’70 del secolo scorso per opera di E.M. Barry, che coinvolgono l’intera parte dell’edificio situata dietro l’ala orientale della costruzione originaria.

Nel 1887 furono aggiunte altre gallerie a nord del colonnato; nel 1911 l’edificio fu esteso sul lato occidentale. Nei tardi anni ’20, nei primi anni ’30 e nel 1961 furono aggiunte nuove sale e coperti alcuni cortili. Le Gallerie Nord, che offrono un altro ingresso da Orange Street, sono state completate nel 1975.

Il più recente progetto di ampliamento, iniziato nel 2003, è stato pensato per trarre vantaggio dal vasto spazio creatosi con la pedonalizzazione della parte nord di Trafalgar Square. Per migliorare l’accesso dalla piazza riprogettata alla Gallery, il nuovo progetto prevede per la prima volta un ingresso destinato al pubblico a piano terra dell’edificio principale, a est del portico Wilkins. Ideato per accogliere il numero crescente di visitatori, fornisce anche più spazi da destinare a servizi utili per il pubblico, oltre a collegamenti migliori tra il piano terra e le gallerie di dipinti al piano principale.

Sin dall’inizio si intendeva che la Galleria fosse aperta non soltanto agli artisti e ai copisti, ma a tutti senza distinzione. Il parlamento insistette che anche i bambini vi fossero ammessi, altrimenti i poveri, che non disponevano di servitù né di bambinaie, sarebbero stati impossibilitati a visitarla. Richieste di trasferire la Galleria in un quartiere meno inquinato non furono esaudite, poiché si ritenne che l’ubicazione dell’edificio nel ‘principale corridoio di passaggio di Londra’ rispondesse nel migliore dei modi alle esigenze di coloro che non avevano la fortuna di possedere grandi opere pittoriche, quel ‘folto gruppo di persone che hanno scarsa familiarità con l’arte, assai desiderose di saperne di più, molto occupate dai propri affari, che di tanto in tanto trovano una mezz’ora di tempo libero, mai un giorno intero …’, come scrive Justice Coleridge nel 1857 alla commissione parlamentare incaricata di occuparsi dell’ubicazione della Galleria.

La moderna National Gallery, un’istituzione più complessa rispetto al suo precedente ottocentesco, continua a onorare i propositi originari. I Dipartimenti scientifico e della conservazione fanno in modo che i dipinti siano esposti in buone condizioni, preservati per le generazioni future; obiettivo cui contribuisce, in modo diverso, anche il personale responsabile della sorveglianza, che garantisce il benessere e l’incolumità delle opere e dei visitatori.

L’accesso alla Collezione permanente è tuttora gratuito, e la visita dei bambini molto gradita, non soltanto in compagnia dei familiari ma anche nell’ambito delle attività scolastiche.

Chi desidera “saperne di più” può trovare informazioni sui dipinti ricorrendo a vari strumenti informativi: conferenze e visite guidate, pubblicazioni, e il sito web della National Gallery; in questo modo, i visitatori hanno l’opportunità di venire a conoscenza dei frutti della ricerca degli studiosi, principale responsabilità dello staff curatoriale. Occasionalmente la Galleria allestisce, inoltre, mostre temporanee di opere pittoriche normalmente non esposte a Londra e di dipinti della Collezione inseriti in nuovi contesti. Malgrado le continue trasformazioni, caratteristica di ogni istituzione viva, la migliore illustrazione dei propositi, presenti e passati, della National Gallery resta quella presentata alla Commissione parlamentare del 1857: ‘l’esistenza delle pitture non è in sé il fine della collezione, ma soltanto un mezzo per offrire alle persone un piacere nobilitante.

La National Gallery contiene complessivamente oltre 2.300 dipinti e offre una panoramica completa della pittura che va dall’Alto Medioevo (476-1000 d.C.) ai primi del 1900. Le opere sono esposte in ordine cronologico e si trovano in gran parte al secondo piano, mentre le altre sono esposte dalla sala A alla sala G del pianterreno.
La collezione è ospitata in quattro sezioni, ognuna dedicata ad un periodo storico:
*Sainsbury Wing (1250 – 1500)
*West Wing (1500 – 1600)
*North Wing (1600 – 1700)
*East Wing (1700 – 1900)

L’ala Sainsbury

L’ala Sainsbury, edificata grazie a donazioni private sulle rovine di un magazzino di mobili bombardato a ovest del complesso principale della Gallery, è stata inaugurata nel 1991 e progettata da Robert Venturi al fine di ospitare i più antichi dipinti della raccolta.

Anziché essere segregate in base a stretti criteri di scuola nazionale, le pitture del Nord e del Sud dell’Europa sono integrate tra loro, esposte in ordine largamente cronologico in sale adiacenti; una disposizione che serve a ricordarci, mentre attraversiamo l’ala, che in questo periodo le opere d’arte, gli artisti e i loro clienti viaggiavano molto, e vi era libero scambio di idee e di ideali. I confini di stato erano, comunque, diversi da quelli attuali: né l’Italia, né la Germania, né l’Olanda esistevano come nazioni. La mappa dell’Europa si configurava sostanzialmente come un mosaico di principati e città-stato, alcuni dei quali legati a signori feudali, inclusi re e l’Imperatore. Le corti, grandi consumatrici d’arte, erano in continui rapporti tra loro e spesso avevano interessi in più parti d’Europa. Tutti i regnanti in Occidente riconoscevano l’autorità spirituale del papa, capo della Chiesa cattolica romana per la quale veniva creata la maggior parte delle opere di architettura, pittura e scultura. Nello stesso periodo, tuttavia, si stabilirono tradizioni di arte locale, incoraggiate dalle corporazioni degli artigiani e dai legami familiari.

Il maggior numero di sale è riservato all’arte italiana, fatto questo che rispecchia una predilezione nella Collezione della National Gallery e che, a sua volta, trova riflesso nello stile architettonico dell’Ala Sainsbury, che evoca i sobri interni delle chiese rinascimentali italiane.

I dipinti esposti in quest’ala della Galleria sono per la maggior parte opere di carattere devozionale: pale d’altare, o frammenti delle stesse, che provengono da chiese o cappelle di culto cristiano, oppure immagini destinate a essere oggetto di meditazione religiosa 0 di preghiera, in ambiente domestico o nel corso di un viaggio.  I quadri che esulano dalla sfera religiosa sono principalmente ritratti e uno dei temi che attraversano quest’ala della Galleria è l’evoluzione di una ritrattistica connotata da crescente realismo, un genere di pittura nel quale furono pionieri gli artisti dell’Europa settentrionale. Altre opere di carattere secolare sono dipinti che venivano usati come elementi decorativi di arredi o di pannellature d’interno.

Nell’arco dell’intero periodo rappresentato, generazioni successive di pittori, tanto nel Nord quanto nel Sud dell’Europa, sembrano tendere verso una sempre maggiore verosimiglianza; a rendere, cioè, il mondo dipinto sempre più simile al mondo tridimensionale nel quale abitiamo, senza, tuttavia, sacrificarne l’ordine astratto e la bellezza. Ma sarebbe inesatto concludere che questa ricerca di maggiore affinità con il reale sia sintomo di una progressiva secolarizzazione, di un allontanamento dai valori spirituali. Al pari dei predicatori e dei poeti dell’epoca, anche i pittori miravano a toccare l’animo umano, a convincere il pubblico della pressante verità del loro messaggio, a muoverlo alle lacrime o alla gioia, insieme con i loro personaggi dipinti, a cercare in essi consolazione o a trarne conforto.

Escludendo l’affresco, le pitture di questo periodo pervenute sino a noi sono per lo più eseguite su tavole di legno. La cornice è sovente parte integrante della struttura della tavola. Molti dipinti venivano realizzati su un supporto di tessuto leggero di seta o lino, come decorazioni effimere, da portare in trionfo nelle processioni o da mandare a clienti all’estero.  In Italia i dipinti su tavola a quest’epoca venivano realizzati principalmente a tempera, una tecnica che utilizzava pigmenti finemente polverizzati a mano sospesi in un’emulsione di rosso d’uovo o uovo intero, sopra una superficie bianca e liscia. Nell’Europa settentrionale si preferiva, invece, ricorrere agli oli seccativi, in particolare all’olio di lino, come diluenti nella pittura su tavola; dietro influenza dell’arte nordica, l’uso degli oli si sarebbe diffuso anche in Italia a partire approssimativamente dal 1500.

Gli artisti, tanto a nord quanto a sud delle Alpi, facevano uso anche dell’oro in foglia, ricavato dalla battitura di monete d’oro, come sfondo oppure applicato sulla superficie della pittura come tratti luminosi. L’oro veniva spesso intagliato o punzonato per accrescere l’interesse della superficie del dipinto e per distinguere, ad esempio, le aureole dal fondo oro. Per catturare almeno parte dell’effetto originale, dobbiamo immaginare le pale d’altare dorate dell’Ala Sainsbury come evocative di preziosi oggetti d’oro massiccio decorato di smalti, che brillano alla luce intermittente di tremolanti fiammelle.


Sala 51 – Italia 1250-1350
In questa sala sono contenute le prime opere della Galleria Nazionale dei secoli 13° e 14° che, come la maggior parte dei dipinti italiani di questo periodo, erano dedicate a luoghi sacri. Si tratta quindi di pannelli dipinti da usare come pale d’altare, per decorare le facciate di altari o come crocifissi nelle chiese o di piccole dimensioni, ordinati da committenti religiosi per le loro preghiere private.  Molte pale d’altare furono poi tagliate in frammenti, come quella fatta per il Duomo di Siena dal grande artista Duccio.
In questa sala sono presenti anche opere di Cimabue,  il più importante pittore della città-stato rivale toscana di Firenze, e del grande Giotto, il cui stile è caratterizzato da crescente naturalismo e monumentalità.

La Vergine col Bambino in trono, con scene narrative (1263-4 ca). Margarito d’Arezzo

Gruppo che comprende, in alto: Crocifisso, Maestro di San Francesco (circa 1265-1270); a sin. La Vergine col Bambino, Maestro delle Clarisse (possibile Rinaldo da Siena), 1265-8 ca ; al centro: Dittico umbro, Maestro del Borgo Crocifisso (Maestro dei Crocifissi Francescani) 1255-1260 ca; a destra La Vergine col Bambino e due angeli (1280-5 ca), Cimabue

Giotto (1267 o 1276; morto 1337). Pentecoste (1310-18 ca)

L’Annunciazione (1307-8, 11), Duccio

Crocifisso (1310-1315 ca), Segna di Bonaventura + altre 2; a sx La guarigione del cieco; a dx la trasfigurazione. Entrambi di Duccio del 1307/8-11

Gruppo di dipinti – Pala di Santa Croce. Ugolino di Nerio (1325-28 ca). Questo pannello ha costituito la parte centrale delle sette scene della Passione di Cristo nella predella della pala dell’altare maggiore di S. Croce, a Firenze.

La visione della Beata Chiara da Rimini (1333-1340 ca). Francesco da Rimini (Maestro della beata Chiara)

L’incoronazione della Vergine (1340 ca). Bernardo Daddi (attivo dal 1320; morto 1348)

Sala 52 – Italia 1350 -1400
Durante la seconda metà del 14° secolo, la pittura fiorentina fu dominata dai fratelli Andrea, Nardo e Jacopo di Cione. Questi artisti tornarono a forme arcaiche, con meno enfasi rispetto all’inizio del secolo nella rappresentazione delle emozioni umane e a figure naturalistiche situate in spazi tridimensionali. Il loro stile fu caratterizzato dalla riproduzione di ricercate decorazione dei tessuti ricamati.

L’Incoronazione della Vergine (1407-9). Pittura di Lorenzo Monaco. Fa parte del gruppo: Pala di San Benedetto

La Crocifissione (1369-1370 ca), Jacopo di Cione

Noli me tangere (1368-1370 ca), probabilmente di Jacopo di Cione

Adorazione dei pastori (1383). Niccolò di Pietro Gerini

Al centro: Cristo dell’Apocalisse (Figlio dell’Uomo). A sinistra: La Vergine. A destra: S. Giovanni Battista – (1365). Giovanni da Milano.

Da sin. in giù: S. Antonio Abate, Beata Paola, S. Luca; da ds. in giù: S. Pietro D.,S. Bruno B., S. Giovanni Ev. (1365-1370 ca). Bottega di Jacopo di Cione

Lo Sposalizio della Vergine (1380), Niccolò di Bonaccorso

L’Incoronazione della Vergine, e Altre Scene (1367). Giusto de’ Menabuoi

La Madonna dell’Umiltà (1390). Lippo di Dalmasio

La Madonna dell’Umiltà con i Santi Marco e Giovanni (1366-1370). Lorenzo Veneziano

Sogno della Vergine (1365-1380 ca). Simone dei Crocefissi

Scene della Vergine; La Trinità; la Crocifissione. 1374, Barnaba da Modena

Tre Santi (1363-5). Nardo di Cione

Sala 53 – Toscana 1400-1450
Durante il 1420, i dipinti del celebre Masaccio, devono essere apparsi sorprendentemente naturalistici se confrontati con opere di suoi immediati predecessori.
La maggior parte delle figure di Masaccio, e le loro forme anatomiche sotto i maestosi tessuti, furono ispirate da sculture antiche e moderne, così come dalle opere di Giotto, suo predecessore del  secolo precedente. Le loro impostazioni spaziali furono chiaramente stabilite utilizzando le regole appena scoperte della prospettiva.Si vede tutta la rinascita tanto desiderata degli ideali di arte antica, difesi soprattutto nella città mercantile di Firenze nel rispetto sia del nuovo che del passato classico.
Nonostante l’importanza che Masaccio avrebbe avuto per le generazioni future, i mecenati fiorentini del 15° secolo poterono scegliere tra una varietà di stili di diversi artisti, passando per esempio da Lorenzo Monaco a Gentile da Fabriano.

Santi Girolamo e Giovanni Battista (1428-9). Masaccio

Un Papa (San Gregorio?) e San Mattia (1428-9). Masolino

Incidente nella vita di San Benedetto: pannello della predella (1407-9). Lorenzo Monaco. Il dipinto fa parte del gruppo: Pala di San Benedetto

La morte di San Benedetto: pannello della predella (1407-9). Lorenzo Monaco. Il dipinto fa parte del gruppo: Pala di San Benedetto

San Benedetto ammette i Santi nell’Ordine (1407-9). Pittura di Lorenzo Monaco. Fa parte del gruppo: Pala di San Benedetto

Pala d’altare – Ascensione di San Giovanni Evangelista. Giovanni Dal Ponte (1420-4 ca)

Il rapimento di Elena (1450-5 ca). Probabilmente di Zanobi Strozzi (1412-1468)

La Madonna (per la fam. Quaratesi) 1425. Gentile da Fabriano

La Vergine col Bambino e sei angeli e due cherubini (1440-1450 ca). Francesco d’Antonio di Bartolomeo

Sala 54 – Centro Italia 1430-1450 – Sala 66 (Piero della Francesca)
Gli artisti fiorentini  maturati nel secondo quarto del 15 ° secolo svilupparono uno stile personale costruito sulle innovazioni dei decenni precedenti.
In questa sala troviamo tra gli altri Paolo Uccello, celebrato per la sua capacità di ritrarre oggetti, figure e cavalli, in linea con le nuove idee sulla prospettiva e Fra’ Filippo Lippi che  ha combinato il naturalismo di Masaccio dell’inizio del secolo con un delicato lirismo.

La sala 66 è invece dedicata a Piero della Francesca, un pittore e teorico matematico. Nato a Borgo Sansepolcro, si formò prima a livello locale e dal 1439 andò a lavorare a Firenze  con Domenico Veneziano per tornare poi nel 1445 nella sua città natale.
Piero  fu maestro di monumentali opere caratterizzate dalla serenità. Le sue immagini bilanciate, come i suoi studi matematici, avevano lo scopo di rivelare l’ordine rigoroso dell’universo di Dio. Le regole della prospettiva spaziale sono state oggetto di uno dei suoi trattati. Ha cercato anche di comprendere la geometria dei corpi solidi e le figure tridimensionali; l’interesse si riflette nei volti ovoidali e i tronchi d’albero cilindrici dei suoi dipinti.
Piero abbandonò la tempera a tuorlo d’uovo per quella a olio, più trattabile, che gli permise di meglio dipingere paesaggi naturalistici e effetti di luce. Pur nella sua chiarezza, tuttavia, Piero fu a volte volutamente enigmatico, includendo figure inspiegabili per stimolare la riflessione.

Niccolò da Tolentino alla testa dei fiorentini. Paolo Uccello (1438 ca)

Il trionfo di Davide (1445-55 ca). Francesco Pesellino (1422-1457)

Sette Santi (1450-3 ca). Fra’ Filippo Lippi (1406-1465)

S. Bernardo, Visione della Vergine (1447).Fra’ Filippo Lippi (1406-1469 circa)

La Vergine e il Bambino (1450-60 ca). Bottega di Fra’ Filippo Lippi (1406-1469 ca)

Michele Arcangelo (completato nel 1489). Piero della Francesca (1415-20 , 1492 ca)

Il Battesimo di Cristo (1450) – Piero della Francesca

Questo pannello costituiva la tavola centrale per un polittico. Potrebbe essere uno dei primi lavori esistenti di Piero della Francesca. I pannelli laterali e una predella furono dipinti all’inizio del 1460, da Matteo di Giovanni (attivo 1452, morto nel 1495). La pala d’altare era nella cappella di San Giovanni Battista nell’abbazia Camaldolese (ora cattedrale) della città natale di Piero, Borgo Sansepolcro. Il paese, visibile sullo sfondo, potrebbe essere proprio Borgo Sansepolcro: il paesaggio ne evoca certamente il territorio.

Gesù, in posizione frontale, riceve il battesimo da san Giovanni Battista nel Giordano, mentre dal cielo compare, in conformità col racconto evangelico, la colomba dello Spirito Santo.  L’artista la rappresenta nella stessa forma delle nuvole. Il dipinto è composto secondo una rigorosa costruzione geometrica in cui Dio Padre, terzo membro della Trinità, poteva essere stato originariamente rappresentato nel semicerchio sopra il pannello.

Il Battesimo di Cristo (1450). Piero della Francesca

Sala 56 – I Paesi Bassi 1400-1450
I più famosi pittori dell’inizio del 15° secolo nei Paesi Bassi furono Jan van Eyck e Rogier van der Weyden, che raggiunsero grande padronanza tecnica della pittura ad olio, cosa che li rese celebri in tutta Europa. Nelle loro grandi pale, così come nei piccoli dipinti devozionali e nei ritratti qui esposti, rappresentavano molto fedelmente la realtà con la loro capacità di dipingere gli effetti della luce su superfici sia naturali, come il volto umano, che artificiali, come tessuti e mobili. Questi risultati sono particolarmente evidenti nei loro piccoli dipinti di scene di interni in cui gli oggetti e le figure vengono illuminate da varie fonti di luce. Van Eyck, e più tardi Petrus Christus, lavorarono a Bruges, dove trovarono clienti tra i tanti commercianti italiani. Robert Campin risiedette a Tournai, mentre van der Weyden, allievo di Campin, raggiunse il successo a Bruxelles, dove fu pittore alla corte di Borgogna.

Il Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434) – Jan van Eyck 

Questo lavoro è un ritratto di Giovanni di Nicolao Arnolfini, ricco mercante italiano residente a Bruges,  e di sua moglie Costanza Trenta. Costituisce uno dei più antichi esempi conosciuti di pittura che ha come soggetto un ritratto privato, di personaggi viventi, anziché le consuete scene religiose. L’opera non rappresenta comunque la celebrazione di un matrimonio  e la moglie non è incinta, come spesso si pensa, ma regge l’elegante vestito  alla moda fiamminga dell’epoca, con guarnizioni di pelliccia d’ermellino.  La scena è ambientata nella camera che, con la presenza del letto nuziale e lo scranno sullo sfondo, è il luogo dell’unione matrimoniale.

L’opera è firmata «Johannes de Eyck fuit hic» e datata 1434. La somiglianza con i graffiti moderni non è casuale. Van Eyck spesso incideva le sue opere in modo spiritoso. La stanza è rappresentata con estrema precisione ed è piena di moltissimi oggetti. Tra questi spicca, al centro, uno specchio convesso, in cui il pittore dipinse la coppia di spalle e il rovescio della stanza, dove si vede una porta aperta con due personaggi in piedi, uno dei quali potrebbe essere il pittore stesso.

Van Eyck era fortemente interessato agli effetti della luce: in questo quadro è la luce fredda e analitica  l’elemento che rende solenne la scena. Vengono sfruttate più fonti luminose (le finestre sono due, come si vede nello specchio), che moltiplicano le ombre e i riflessi: dal panno alla pelliccia, dal legno al metallo, ciascun materiale mostra una reazione specifica ai raggi luminosi. La ricchezza dei dettagli, visibile attraverso l’uso della luce, avvicina l’arte fiamminga a quella del Rinascimento italiano.

Il Ritratto dei coniugi Arnolfini. Jan van Eyck, 1434

I tre re. Probabile bottega di Rogier van der Weyden

Maddalena che legge. Rogier van der Weyden (1445 ca)

Esumazione di S. Uberto (1435-9 ca). Probabile bottega di Rogier van der Weyden (1399-1464 ca)

Pietà, 1465 ca. Probabile bottega di Rogier van der Weyden ( 1399-1464 ca)

Sala 57 – Leonardo da Vinci

Leonardo iniziò a dipingere questa stupenda pala, commissionatagli dai confratelli dell’Immacolata Concezione di Maria di Milano, intorno al 1483. Fu questa la prima commissione ricevuta da Leonardo nella città lombarda dove si era stabilito da quasi un anno. L’opera doveva essere posta sull’altare della cappella dell’Immacolata Concezione nella chiesa di San Francesco Grande, nel centro di Milano. La tavola doveva inserirsi in una struttura lignea che era stata scolpita l’anno precedente e doveva rispettare un contratto stilato tra Leonardo e i francescani che stabiliva dettagliatamente soggetto, tecnica, colori e materiali da utilizzare. Leonardo terminò la tavola nel 1486 e precisamente l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione, ma l’artista e i committenti non si trovarono d’accordo sui pagamenti e, forse, sull’aspetto generale della tavola. Leonardo quindi si rifiutò di consegnare l’opera che vendette ad altro compratore ed è ora conservata presso il Louvre di Parigi. Nel 1508 stipulò con i francescani un nuovo contratto, forse più soddisfacente, e mise mano a una seconda versione del dipinto, di identiche dimensioni (la cornice era dopotutto pronta da tempo) e soggetto, sebbene con alcune varianti stilistiche e iconografiche. La chiesa vendette poi la pala nel 1785 a Gavin Hamilton, che la portò in Inghilterra. Qui, dopo essere passata per diverse collezioni, fu acquistata dalla National Gallery nel 1880.

Originariamente si era pensato che questa versione fosse stata dipinta dagli assistenti di Leonardo, ma studi recenti condotti durante l’ultimo restauro hanno portato i ricercatori a concludere che l’opera sia stata dipinta quasi completamente dalla mano di Leonardo.

La Vergine delle rocce (1506-08). Leonardo da Vinci (presso National Gallery – Londra)

La Vergine delle rocce (1506-08). Leonardo da Vinci – particolare

La Vergine delle rocce (1506-08). Leonardo da Vinci – particolare

Sale 58 (Pitture nei palazzi fiorentini), 59 (Carlo Crivelli) – 60 Raffaello, Perugino e Umbria 1490-1510

Con il 15 ° secolo, mentre si affievoliva il potere della repubblica di Siena, i suoi artisti venivano incoraggiati a guardare a un passato glorioso per rafforzare l’identità civica e culturale della città e per preservare la purezza della devozione religiosa. I Pittori  continuarono ad usare sfondi dorati e idealizzati per le loro figure,  piene di grazia fluida come quelle di Duccio.
L’ascesa della tirannica famiglia Petrucci nel 1480, diffidente rispetto al passato repubblicano di Siena, favorì un nuovo interesse per la pittura proveniente da altre parti del paese.

Luca Signorelli, che aveva lavorato in tutto il centro Italia, ricevette numerose commissioni per i suoi dipinti vigorosi e muscolari. Anche Pinturicchio, il cui contrastato stile decorativo aveva avuto successo a Perugia e Roma, si stabilì a Siena. L’artista di maggior successo in Italia durante l’ultimo decennio del 15° secolo, Pietro Perugino, divenne pioniere dello “stile devoto”. I suoi dipinti sono caratterizzati dalla loro immobilità meditativa e dalle espressioni angeliche dei protagonisti.

A sin. La Madonna della Rondine dopo 1490, Carlo Crivelli. A ds. La Vergine e il Bambino tra i santi Francesco e Sebastiano 1491, Carlo Crivelli

I Santi (1476). Carlo Crivelli

Gruppo- tre pannelli di una pala d’altare, Certosa. Pietro Perugino (1496-1500 ca)

Nella foto sotto Venere e Marte di Sandro Botticelli, artista simbolo del Rinascimento, il pittore che ha esaltato la grazia femminile con dolcezza ed una sottile vena di malinconia. Il dipinto è stato realizzato nel 1482; i committenti furono probabilmente i Vespucci, una potente famiglia protettrice di Botticelli. Nella composizione sulla sinistra c’è Venere, dea della bellezza, che, sdraiata e tranquilla, guarda Marte, il dio della guerra, mentre dorme. Attorno a Marte diversi fauni cercano di svegliarlo in tutti i modi, mentre altri gli rubano le armi e l’armatura. Marte, privato delle armi, e quindi totalmente inerme, simboleggia la sua totale resa davanti all’amore. È molto interessante anche il formato orizzontale dell’opera, che di solito veniva utilizzato per realizzare dei quadri decorativi da applicare su un cassone o una spalliera; unendo questa ipotesi al possibile legame con i Vespucci, l’opera potrebbe rappresentare un augurio per una futura sposa.

Cassone con una scena di un torneo probabilmente circa 1455-1465, italiano, fiorentino. Su di esso il dipinto Venere e Marte (1485 ca). Sandro Botticelli

Sempre di Sandro Botticelli questo dipinto autografo “Adorazione dei Magi”, realizzato (con collaboratori) nel 1474. Si tratta forse del “tondo” che il Vasari afferma di aver veduto nella casa della famiglia Pucci nel 1568. Per certo nel 1720 l’opera passò in proprietà ai Guicciardini con i beni dotali di Luisa Ninfa de’ Pucci, per poi essere ceduto alla fine del ‘700 a un collezionista inglese. In Inghilterra subì diversi passaggi di mano prima di giungere alla collocazione attuale presso la National Gallery. Si è supposto trattarsi di un desco da parto, cioè uno di quei grandi vassoi di legno, rotondi o poligonali, su cui si usava deporre piccoli doni destinati ad una partoriente. La forma costituiva una sfida, non essendo semplice creare una composizione coerente in uno spazio circolare ed ha costituito certamente uno stimolo per il Botticelli, tra i primi artisti a raffigurare la scena centralmente e non di lato. Nella ricchezza dei costumi, nella varietà delle fisionomie e degli atteggiamenti si notano già gli indizi di una grande maestria.

L’adorazione dei Magi (1474), Sandro Botticelli

Questo che segue è uno dei dipinti più spettacolari di Botticelli, la Natività mistica (1500), dipinto dall’artista in età matura. Si è ipotizzato che questo quadro, l’unico che rechi la firma del Botticelli, sia stato dipinto per le sue devozioni private o per qualcuno a lui molto vicino. Non è certamente infatti una pittura convenzionale che si limiti a rappresentare l’evento della nascita di Gesù, ma è piuttosto una visione dell’artista di tale evento, espressione della sua lacerazione interiore e delle incertezze che iniziavano ad angosciare la sua epoca. Al centro della scena, in una radura in un bosco, Maria e Giuseppe sono in adorazione del Bambino, protetti da una tettoia di paglia, retta da tronchi. Il Bambino, gigantesco, è disteso al centro su un giaciglio coperto da un telo bianco. Il bue e l’asinello si trovano alle spalle della Sacra Famiglia. Accanto alla grotta, a sinistra, un angelo vestito di rosa mostra ai re Magi la grotta, mentre a destra un secondo angelo vestito di bianco indica il Bambino a due pastori. Entrambi reggono in mano rami d’ulivo, simbolo di pace. In basso altri angeli abbracciano e quasi confortano uomini virtuosi, dal capo coronato di ulivo, per celebrare la pace universale.
Alcuni demoni alati e minuscoli diavoli, alla vista del Redentore, fuggono negli Inferi, cacciandosi terrorizzati nelle crepe del suolo. E’ questo un particolare del tutto insolito in un presepe usato probabilmente da Botticelli quasi a commentare gli eventi politici del suo periodo. In alto invece, dodici angeli volano tenendosi per mano in un girotondo come a rappresentare la danza della vita. La composizione profetica in greco, leggibile sopra di loro, esprime la speranza per l’avvento di tempi migliori.

Natività mistica (1500), Sandro Botticelli

Sala 61 – Mantova e Venezia nel 1500

Andrea Mantegna ricevette una formazione classica nella città universitaria di Padova e i suoi dipinti sottolineano le sue indagini sull’arte di Roma antica. Questo stile “archeologico” lo portò all’attenzione dei governanti Gonzaga di Mantova, appassionati di tutto ciò che era antico e che lo impiegarono come loro artista di corte dal 1459. I suoi dipinti monocromi possono dimostrare che la pittura poteva competere con le qualità della scultura in rilievo.
La carriera di suo cognato, il veneziano Giovanni Bellini, fu molto diversa. Bellini produsse nella sua grande bottega dipinti per chiese e palazzi, sia pale d’altare che immagini per la devozione privata, ma il suo successo dipendeva dal mercato dell’arte non disponendo di uno stipendio fisso. Molti aspetti del suo stile si trovano anche nel lavoro del suo giovane contemporaneo Giovanni Battista Cima da Conegliano, le cui opere religiose artigianali si distinguono per i paesaggi e la chiarezza cristallina dei drappeggi.

La Vergine con Bambino e Santi (1490-1505 ca). Andrea Mantegna

Cristo Bambino sta in grembo a Maria, facendo un gesto di benedizione. La Vergine è seduta sotto un baldacchino rosso, tra Giovanni Battista e Maria Maddalena, che guarda verso il cielo. Maria Maddalena solleva un vasetto, ricordo delle spezie che usava per ungere il corpo di Cristo dopo la sua morte. L’espressione solenne della Vergine mentre poggia il capo contro quello del suo bambino è di tenerezza materna, ma anche un’indicazione del suo dolore a venire. La croce di Giovanni Battista e l’unguento di Maria Maddalena, rappresentano un simbolo del destino del bambino sul suo grembo: la crocifissione e la morte. Non sappiamo per quale chiesa sia stata fatta questa pala. Essendo dipinta su tela, Mantegna avrebbe potuto dipingerla nel suo studio a Mantova, arrotolarla e spedirla dove era stata richiesta.

La Vergine con Bambino e Santi (1490-1505 ca). Andrea Mantegna

Cristo è mostrato in piedi sulla sporgenza di una struttura ovale, forse un pozzo. Tiene una sfera di vetro nella mano sinistra e un ramo d’ulivo nella destra; sembra un re o un imperatore romano. La sottilissima tunica si aggrappa al suo corpo e possiamo vedere la sua pancetta sotto di essa. Il cugino di Cristo, San Giovanni Battista, sta alla sua destra. Indica Cristo, un’indicazione del suo ruolo di precursore – colui che predisse il significato della vita e della morte di Cristo. Il rotolo che si dispiega intorno alla gamba era originariamente inciso con le parole usate mentre lo battezzava: Ecce Agnus Dei (in latino ‘Ecco l’Agnello di Dio’, Giovanni 1: 29). La Vergine sembra essere in piedi all’interno del pozzo. Questo potrebbe essere un riferimento al ‘pozzo chiuso’ descritto nel Cantico dei Cantici (4:12), che divenne un simbolo della verginità di Maria.

La Sacra Famiglia con San Giovanni (1500ca) . Andrea Mantegna

L’introduzione del culto di Cibele a Roma – di Andrea Mantegna (1505-6)

Il dipinto di Mantegna faceva parte di una serie (mai terminata) di episodi collegati che, una volta disposti in sequenza sulla pareti di una stanza sarebbero apparsi come un fregio scolpito. Più del rilievo marmoreo, tuttavia, l’artista imita le sembianze dei cammei – i lavori dell’arte antica maggiormente apprezzati nel Rinascimento – nei quali le figure scolpite in uno strato colorato della pietra emergevano da un altro strato, di colore diverso, che fungeva da sfondo. Neppure i più grandi cammei romani possono paragonarsi  per le dimensioni al dipinto di Mantegna, cosa che lo fa apparire di particolare pregio e rarità. Un busto della dea Cibele (modellato su un’antica scultura romana) e una lampada vengono trasportati su una portantina dai sacerdoti del culto, preceduti da uno degli accoliti in pantaloni di foggia orientale. La figura inginocchiata dalla capigliatura scomposta potrebbe essere Claudia Quinta. Scipione dev’essere l’uomo che si rivolge gesticolando verso i diffidenti colleghi senatori. Sulla destra, un veggente con turbante illustra l’esotico culto a un soldato romano, mentre un giovane africano suona un piffero e un tamburo. Le cromie della pietra che variano gradatamente dal grigio-oro e di tonalità più fredda delle figure fino al brillante sfondo variegato, e il movimento che riverbera nell’intera scena, si combinano per creare  l’illusione di una scultura animata vibrante di vita.

L’introduzione del culto di Cibele a Roma (1505-6). Andrea Mantegna

Sansone e Dalila – di Andrea Mantegna (1500 ca.)

Convinta dal denaro dei Filistei, nemici di Israele, Dalila accettò di collaborare alla cattura di Sansone, l’eroe israelita dell’Antico Testamento e suo amante. Tagliò la fonte della sua forza leggendaria – i suoi capelli – mentre dormiva (Giudici 16: 18-21). Il suo tradimento è sottolineato dall’iscrizione latina scolpita sull’albero: “la donna è tre volte peggiore del diavolo in persona”. Una lussureggiante vite, carica di grappoli maturi, circonda l’albero, che non ha foglie proprie. L’uva può riferirsi al vino dell’Eucaristia, che veniva bevuto durante la Messa e si pensava si trasformasse nel sangue di Cristo. Come Sansone, Cristo fu tradito e consegnato ai suoi nemici; a differenza di Sansone, si credeva che la sua morte redimesse l’umanità dal peccato. Mantegna realizzò una serie di immagini di donne famose tratte dalla Bibbia e dalla letteratura classica, dipingendole in modo che sembrassero antichi rilievi in pietra o bronzo su fondali di marmo colorato.

Sansone e Dalila (1500 ca). Andrea Mantegna (1430-1; 1506)

La Vestale Tuccia con un setaccio e una donna (Sofonisba) che beve – Andrea Mantegna (1495-1506 ca.) 

L’opera della Vestale Tuccia, fa parte di quella produzione di grisaglie che caratterizzò diverse opere del maestro mantovano negli ultimi anni della sua carriera. Tali opere rivaleggiavano con la scultura ed erano molto apprezzate nell’ambiente della corte.
La tavola fa coppia con quella di Sofonisba nello stesso museo, che originariamente doveva avere misure identiche, e con due tele, Giuditta e Didone, oggi al Montreal Museum of Fine Arts, con le quali formavano il gruppo delle Donne esemplari dell’antichità.

  • Tuccia era una vestale romana, ingiustamente accusata di aver violato il voto di castità (incestum), colpa punita con una pena severissima. La vestale chiese di poter provare la sua innocenza sottoponendosi a una ordalia consistente nel tentare di raccogliere l’acqua del Tevere con un setaccio. Con l’intervento della dea Vesta, la prova riuscì e Tuccia venne ritenuta innocente.
  • Sofonisba fu una nobile cartaginese moglie di Siface, re dei Numidi, che lei avrebbe spinto ad allearsi con i Cartaginesi contro i Romani. Fatta prigioniera da Massinissa insieme con il marito dopo la sconfitta nella battaglia dei Campi Magni (203 a.C.), probabilmente si uccise bevendo un veleno.

La Vestale Tuccia con un setaccio e una donna (Sofonisba) che beve (1495-1506 ca). Andrea Mantegna

L’Orazione nell’orto – di Andrea Mantegna 

Fu forse lo studio intenso delle antiche rovine a suscitare in Mantegna un interesse per la pietra. Dove si richiedeva magnificenza, egli dipinse pavimenti di marmo, colonne e mura di alabastro, porfido, serpentino e altre pietre esotiche, apprezzate nella Roma imperiale e nella Venezia medievale. La nota predominante di questa ‘Preghiera nell’orto’ è, tuttavia, costituita dalla possente asperità della nuda roccia del Monte degli Ulivi. La città viene rappresentata come doppiamente infedele. Falci di luna, emblemi dell’Islam coronano le sue torri; un monumento equestre dorato sopra una colonna scolpita e un edificio circolare simile al Colosseo richiamano la Roma pagana. Da una delle porte cittadine esce la colonna di soldati con Giuda in testa. Questo è l’episodio narrato in tutti i vangeli, che precede la cattura di Gesù. Dopo l’Ultima Cena egli uscì da Gerusalemme insieme ai suoi discepoli per pregare dicendo: ‘Una tristezza mortale mi opprime…’ (Marco 14:34). Ma anzichè vegliare con lui, Pietro, Giacomo e Giovanni si abbandonano al sonno. Mantegna illustra il doloroso momento della rassegnazione di Cristo alla volontà di Dio Padre. Davanti a lui cinque angeli, nudi come gli atletici amorini dell’arte antica, reggono gli strumenti della sua Passione: la colonna della Flagellazione, la croce della Crocifissione, la spugna pregna di aceto che gli fu offerta, la lancia che gli trafisse il fianco. Un avvoltoio, presagendo l’imminenza della morte, osserva la scena da un ramo secco.

L’Orazione nell’orto (1458-60 ca). Andrea Mantegna

Il Cristo morto sostenuto dagli angeli forse 1465-1470, Giovanni Bellini

Il sangue del Redentore (1460-5 ca). Giovanni Bellini

Doge Leonardo Loredan (1501-2) – Giovanni Bellini

Leonardo Loredan fu Doge di Venezia dal 1501 a 1521. In questo ritratto eseguito da Bellini è rappresentato, come tradizione a Venezia,  in abiti da cerimonia: il cappello e i bottoni decorati sono parte infatti del guardaroba ufficiale. Si è identificato il Doge Loredan confrontando questo quadro  con il  ritratto raffigurato sulla sua medaglia. Sul capo porta il cosiddetto “corno”, copricapo tipico dei dogi che veniva indossato sopra un berretto di lino. E’  raffigurato a tre quarti, anziché di profilo, come imponeva la tradizione iconografica dei ritratti dei dogi.  L’opera è firmata in forma latina IOANNES BELLINVS sul cartiglio fissato al parapetto, ed è considerata il risultato più alto della ritrattistica di Bellini, autore che ha contribuito a rendere questa forma d’arte particolarmente popolare a Venezia. L’opera è stata acquistata dal museo nel 1844.

Doge Leonardo Loredan 1501-2. Giovanni Bellini

La Circoncisione (1500 ca). Laboratorio di Giovanni Bellini

Ritratto di fra’ Teodoro di Urbino come San Domenico (1515). Giovanni Bellini

Madonna del Prato (1500 ca). Giovanni Bellini

La Vergine e il Bambino (1480-90 ca). Bottega di Giovanni Bellini

Saint jerome (1500-1510 ca). Giov. Battista Cima da Conegliano (1459-1517 ca)

L’Incredulità di San Tommaso (1502-4 ca). Giovanni Battista Cima da Conegliano

La Vergine col Bambino (1496-9 ca). Giovanni Battista Cima da Conegliano

Cristo coronato di spine 1510 ca. Giovanni Battista Cima da Conegliano

La Deposizione (1512 circa).Andrea Busati

Sala 62 – Venezia e il Veneto 1450-1500
Venezia durante il 15° secolo fu una grande repubblica. I dipinti del pittore ufficiale della città, Gentile Bellini, rivelano i suoi legami commerciali con Bisanzio e l’Impero Ottomano.

Anche i collegamenti con l’Olanda influenzarono profondamente l’aspetto della pittura veneziana: Antonello da Messina aveva appreso le tecniche di pittura ad olio olandesi nella natia Sicilia, ma, nel 1475-6, vedendo le molte immagini importate dai veneziani provenienti dai Paesi Bassi, fu ulteriormente incoraggiato a emulare il loro dettagliato naturalismo e, in particolare, la caratterizzazione audace e dominante della presenza nei ritratti. L’esempio di Antonello ha ispirato il capolavoro di Giovanni Bellini – il suo ritratto del doge Loredan.
Altre influenze sono evidenti nell’opera di Bellini: il suo primo stile lineare fu fortemente influenzato dai dipinti di suo cognato Andrea Mantegna, ma sviluppò poi un approccio diverso per la creazione di figure in rapporto con il paesaggio.

Cardinale Bessarione con il Reliquiario (1472-3). Gentile Bellini

Ritratto di un uomo (1475-76 ca). Antonello da Messina (1456-1479)

A sin. S. Jerome nel suo studio (1475). A destra Cristo benedicente (1465). Antonello da Messina

Cristo crocifisso (1475). Antonello da Messina

Ritratto di uomo (1497). Alvise Vivarini (1457-15.3.5)

Vergine e Bambino (1483-5 ca). Alvise Vivarini

Ritratto di un uomo anziano (1487). Francesco Bonsignori

Ritratto di un ragazzo. Jacometto (1472-1498)

Il Cristo morto sostenuto da Santi (1465). Marco Zoppo

Sala 63 – Paesi Bassi in Europa 1450-1500
Dirk Bouts a Louvain e Hans Memling a Bruges erano pittori con una clientela internazionale. Immagini di Bouts sono notevoli per le pose espressive dei protagonisti, mentre il mondo di Memling è più sereno. Entrambi gli artisti, tuttavia, sono importanti per la loro osservazione acuta dei paesaggi e degli effetti di luce. Spesso furono inviate in Italia opere religiose di Bouts dipinte su tela, e quindi più facilmente trasportabili dei pannelli di legno consueti. Memling aveva molti compratori italiani e inglesi.
Tale era la popolarità delle loro opere che gli artisti olandesi trovavano facilmente lavoro lontano da casa, presso la corte di Urbino in Italia e per la regina Isabella di Spagna. Inoltre, gli artisti di tutta Europa venivano addestrati all’uso olandese della pittura ad olio. In questa sala sono rappresentati tra gli altri il Maestro di Sant’Egidio (Saint Gilles) e Simon Marmion, e lo spagnolo, Bartolomé Bermejo.

Cristo coronato di spine (1470 ca).Dirk Bouts – La Vergine e il Bambino con San Pietro e San Paolo, probabilmente 1460. Laboratorio di Dirk Bouts – La Natività di notte (1490 ca). Geertgen tot Sint Jans

Part. La Vergine e il Bambino con San Pietro e San Paolo

A sin. La Vergine e il Bambino (1465); al centro La Deposizione (1450); A ds. Ritratto di un uomo (Jan van Winkele?) (1462). Dirk Bouts

Part. La deposizione

Il Trittico Donne al centro; S. Giovanni Battista a sin. ; S. Giovanni Ev. a ds; (1478 ca). Hans Memling

Un Giovane Uomo in preghiera (metà del 1470). Hans Memling

La Vergine col Bambino e un angelo (1480). Hans Memling

Vergine e Bambino (1475). Hans Memling

‘San Michele trionfa sul diavolo’ (1468). Bartolomé Bermejo

In alto -L’Ascensione (1500-2). Michel Sittow (1468-9; 1525-6). In basso -Cristo che appare alla Vergine (1499-1500 ca). Juan de Flandes (1496-1519)

Saint Giles e il cervo e La Messa di Sant’Egidio – da due pannelli di una pala d’altare. Maestro di Sant’Egidio (1500 ca)

Part.

Part.

L’Incontro alla Porta Aurea; Carlo Magno (1491-4 ca). Jean Hey (Master of Moulins)

Vergine e il Bambino (1485 ca). Seguace di Hugo van der Goes

Il matrimonio mistico di Santa Caterina. Artista sconosciuto portoghese

Sala 64 – Colonia e Vestfalia 1400-1500
Colonia fu una delle città più prospere del 15° secolo in Germania. Le sue numerose chiese erano piene di quadri prodotti dai suoi tanti pittori, anche se alcuni di questi provenivano da altre città: la pittrice Stephan Lochner era originaria della Germania meridionale, mentre  il Maestro della Pala di San Bartolomeo, che produsse una serie di opere per la certosa di Colonia, era probabilmente un nativo del nord dei Paesi Bassi.

Cristo davanti a Pilato (1520 ca). Maestro di Cappenberg (Jan Baegert)

L’Incoronazione della Vergine (1520 ca). Master of Cappenberg (Jan Baegert). Il dipinto fa parte del gruppo La Pala Liesborn

Santi Pietro e Dorothy (probabilmente 1505-10). Maestro della Pala di San Bartolomeo

Presentazione al Tempio (probabilmente 1470-80). Maestro di Liesborn

L’Annunciazione (probabilmente 1470-80). Master of Liesborn

A sin. Santi Cosma e Damiano e la Vergine; a ds. Santi Giovanni Evangelista, Scolastica e Benedetto (prob.1470-80) , Master of Liesborn

La Vergine col Bambino e Angeli musicanti (1485-1500 ca). Maestro della Pala di San Bartolomeo

Tre Santi, Matteo, Caterina d’Alessandria e Giovanni Evang. (1450 ca). Stephan Lochner

La Presentazione al Tempio (prob. circa 1460-1475). Maestro della Vita della Vergine

Santa Veronica con il sudario (1420 ca). Maestro di Santa Veronica

La Deposizione (1500-5 ca.). Maestro della Pala di San Bartolomeo

Sala 65 – Germania meridionale e Austria

Diversi pittori in Germania meridionale e in Austria collaborarono con scultori per produrre spettacolari grandi pale d’altare con ante mobili. Uno dei più grandi specialisti per questi lavori fu Michael Pacher dal Tirolo. In questa sala il piccolo dipinto devozionale della Vergine e dei santi, a lui attribuito, riflette effetti illusionistici audaci da lui conseguiti in pale d’altare di grandi dimensioni.

Albrecht Dürer  lavorò a Norimberga a partire dalla fine del 15° secolo. Lui e la sua bottega intrapresero una serie di lavori tradizionali, inclusi pale d’altare e dipinti devozionali di piccole dimensioni. La sua opera è stata incredibilmente fantasiosa e attenta alla natura: paesaggio, anatomia umana, uccelli, animali e fiori. Dürer fu anche ritrattista di successo e fondamentale per la tradizione tedesca di rappresentazioni dal design elegante e psicologicamente acute.

La Trinità con Cristo crocifisso (1410 ca), Artista austriaco sconosciuto

La Madonna in trono con Bambino e angeli e santi (1475 ca). (prob.di Michael Pacher)

La Conversione di Sant’Uberto (prob.1485-90). Bottega del Maestro della Vita della Vergine

La Messa di Sant’Uberto (prob. 1485-90).Bottega del Maestro della Vita della Vergine

La Vergine e il Bambino (La Madonna con l’Iris) (1500-1510 ca). Albrecht Dürer e allievi

Padre del pittore (1497).Albrecht Dürer

Ritratto di Alessandro Mornauer (1464-1488 ca). Maestro del Ritratto Mornauer

Ritratto di una donna della famiglia Hofer (1470). Svevo (artista sconosciuto)

A r r i v e d e r c i . . .

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Bibliografia e sitigrafia

http://www.nationalgallery.org.uk/

 

4 commenti

  1. Molto pregevole e interessante, grazie del lavoro partecipato.

  2. Come si fa a commentare un’inondazione siffatta? Un diluvio di bellezze artistiche pazientemente riportate dal museo londinese di grande efficacia visiva.

  3. Ι really ⅼiқe what you guүs tend to be up tߋo.
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  4. ” … anche opere di Cimabue, il più importante pittore della città-stato rivale toscana di Firenze, e del grande Giotto …. ”
    CIMABUE E’ FIORENTINO , CON BOTTEGA IN BORGO ALLEGRI (a due passi dalla Chiesa di S.Croce. in Firenze).
    Alessio Gallerini- Firenze

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