Episcopio – Galleria degli Arcivescovi

Brundarte fotografa le tele della Galleria degli Arcivescovi sita in un’ala dell’Arcivescovado, alcune delle quali particolarmente antiche e preziose. Ci è sembrata l’occasione giusta per ricostruire la storia dei Vescovi di Brindisi partendo dall’articolo storico “Sù Vescovi della chiesa metropolitana di Brindisi” pubblicato da Vito Guerrieri nel 1847 e continuando per gli anni successivi con il contributo di Katiuscia Di Rocco, Direttore della Biblioteca pubblica arcivescovile “A. De Leo”.

Brindisi è la sede episcopale più antica del Salento, con il suo primo vescovo Marcus Calabriae presente al Concilio di Nicea nel 325. Dal sec. X appare sede metropolitana. A causa della permanenza ad Oria durante il secolo IX, gli arcivescovi hanno conservato il titolo di «Brindisi e Oria» fino al 10 maggio 1591, quando fu istituita la diocesi di Oria.

Il 27 giugno 1818 le fu aggiunto il territorio della soppressa diocesi di Ostuni; questa situazione perdura fino al 14 maggio 1821 quando fu ripristinata l’autonomia di Ostuni. Dal 20 ottobre 1980 l’arcidiocesi, non più sede metropolitana, è suffraganea dell’arcivescovo di Lecce.

L’arcidiocesi comprende Brindisi, Cellino, Guagnano, Mesagne, Leverano, Salice Salentino, Sandonaci, S. Pancrazio Salentino, Veglie; fino al 1591 comprendeva anche Oria, Avetrana, Ceglie Messapico, Erchie, Francavilla Fontana, Latiano, Manduria, Maruggio, Sava, Torre S. Susanna, Uggiano Montefusco, Villa Castelli. (1)

Questo il corridoio in cui sono sistemati i quadri raffiguranti gli Arcivescovi che si sono succeduti nel tempo.

Galleria dei Vescovi di Brindisi

Giovan Pietro Carafa

Al morto Domenico (Idiaschez) successe Giovan-Pietro della nobile famiglia Carafa napolitana, il quale trovavasi già Vescovo di Chieli, quando a’ 20 di decembre del 1518, fu nominato Arcivescovo di Brindisi e di Oria, colla facoltà di ritenere pure la prima Sede per altri sei mesi, decorsi i quali, e non facendone la resignazione, si dovesse avere per vacata. Ciò non ostante, per grazia speciale della s. Sede, ritenne entrambe le Chiese sino al 1524; quando di unita a S. Gaetano e ad altri rispettabili e santi uomini apostolici, instituirono l’Ordine de’ Chierici regolari Teatini, rinunciando spontaneamente le due surriferite Sedi nelle mani di Clemente VII nel di 8 di agosto dello stesso anno. In seguito, suo malgrado, fu creato Cardinale da Paolo III: ed in fine innalzalo al supremo Pontificato col nome di Paolo IV. Così l’ Ughelli.

Egli (..) decorò questa sua Cattedrale di una nuova Tribuna di finissimo marmo, elegantemente travagliata e fornita delle insegne di sua famiglia, come si legge in una conclusione capitolare dell’ anno 1611 pag. 3o. Tale tribuna però fu disgraziatamente distrutta dal tremuoto de’ 20 febbraro 1743. (2)

Ignoto meridionale, Giovan Pietro Carafa, olio su tela, XVIII secolo. Provenienza: Basilica Cattedrale, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi e Oria, Giovan Pietro Carafa (1518 – 1524), pontefice col nome di Paolo IV (1555 – 59). (3)

Paolo de’ Villana Perlas

Dopo una lunga vedovanza di questa Chiesa, che durò per lo spazio di circa otto anni, vi fu promosso Paolo De Villana Perlas, nativo di Barcellona nella Catalogna, da nobili genitori. Egli aveva ottenuta a suo tempo la laurea nell’una e nell’altra legge da quella pubblica Università, e dipoi dal supremo Senato della Catalogna. Nel 1691, avendo l’età di circa ventiquattro anni , fu fatto canonico decano della Cattedrale di Urgel, prima dignità di quel Capitolo; e nel 1710 abbate mitrato nella Chiesa collegiata di S. Maria di Cardona; e finalmente presentalo da Carlo VI a questa Sede, fu dal Pontefice Clemente XI preconizzato Arcivescovo di Brindisi a’ 16 di dicembre 1715, consecrato a’ 18 di gennajo 1716, ed ascritto tra i Vescovi assistenti al soglio Pontificio. Egli poi per mezzo di procuratore prese possesso di questa sua Chiesa: ed ai 15 di marzo arrivato in questa residenza, fu accolto con grande entusiasmo e con massima allegrezza, attesa la lunga vedovanza della Chiesa, e finalmente a’ro di maggio dello stesso anno solennizzò il suo pubblico ingresso; come si ha dal Coleti nelle addizioni all’ Ughelli.
Avendo trovato il suo Episcopio in pessimo stalo di riparazioni e quasi diruto, per essere stato abbandonato durante la lunga vacanza della Sede, si contentò abitare per lo spazio di sei mesi nel convento di S. Paolo , dei PP. Conventuali di S. Francesco; ed intanto per ripararlo \i spese oltre cinque mila ducali. Nè tale spesa , benché eccessiva, lo avvilì; che anzi con animo risoluto pose mano alla magnifica opera del seminario, prendendolo dalle fondamenta; ed a’ 26 di maggio 1720 pose egli colle proprie mani la prima pietra, come leggesi nella citata Cronaca de’sindaci alla pag. 34. (2)

Paolo de’ Villana Perlas. Disegno su carta. Autore ignoto.

Giovanni Angelo Ciocchi del Monte

“Per la traslazione del Sersale (spostato alla Diocesi tarantina) successe a questa Sede Giovanni Angelo De Ciocchis, nato da una delle primarie famiglie di Vico in diocesi di Manfredonia.

Fu questi personaggio veramente ammirabile per le sue estesissime cognizioni, che a giusto diritto poteva dirsi miracolo di dottrina e di eloquenza, e senza tema di errore potrebbe pure asserirsi che niun altro più dotto di lui aveva seduto sulla Cattedra brindisina, se si eccettua il solo Girolamo Aleandro. Egli dunque, dopo di aver esercitato con decoro la carica di vicario generale così in Taranto come in Salerno , e quello di regio visitatore delle Chiese della Monarchia di Sicilia, per delegazione del Re Carlo, il quale spesso si valeva de’ consigli di lui ne’ più ardui negozi del Regno, a petizione dello stesso Sovrano, acconsentita dal Pontefice Benedetto XIV, fu consecrato Arcivescovo di Brindisi nel dì 1 di febbraro 1751: e prese possesso della sua Chiesa a’ 18 di aprile dell’anno medesimo, per mezzo dell’ arcidiacono Carlo Arrisi suo procuratore. Pervenne poi in questa residenza a’6 di gennajo 1753, e a’ 3o di aprile solennizzò il suo pubblico ingresso.
A’ 25 di marzo del 1752 ebbe egli il piacere di accogliere solennemente in questa città i PP. della Compagnia di Gesù, che qui venivano a stabilirsi per fondazione del marchese Falces. In tale circostanza egli, il nostro Arcivescovo, recitò una elegantissima orazione latina in lode della Compagnia suddetta; la qual orazione fu data alle stampe, e da noi (presso la Biblioteca De Leo ndr) se ne conserva un esemplare che porta il seguente titolo. «In solemni, auspicatoque inclytae Societatis Jesu Brundusium adventu VII Kal. aprilis MDCCLII» Archiepiscopi Brundusinorum allocutio pro rostris habita: e la recitò seduto sul trono appositamente eretto sulla pubblica piazza.

Dilatò l’Episcopio, incorporandovi due braccia del I piano del seminario, com’ è al presente.
Con ragionate suppliche implorò dalla maestà del Sovrano la diminuzione della metà del dazio che si pagava sopra la estrazione delle paste minute; articolo molto interessante in allora pe’ Brindisini, le donne de’ quali quasi tutte erano addette a tale manifattura, con molto loro profitto: giacché le paste brindisine erano da per tutto ricercate.

Questo dottissimo Prelato veniva spesso consultato dalla nostra Corte, anche in affari politici, non che dalla S. Congregazione nelle cose ecclesiastiche; ed egli rispondeva con sollecitudine, precisione e soddisfazione di tutti. Per la qual cosa era continuamente occupato sì di giorno che di notte; e si vuole che per tali improbe letterarie fatiche avesse contratto il male di paralisi, dalla quale seriamente afflitto pensò di recarsi in Napoli. Ma ivi vedendo che lo stato di sua salute andava sempre più deteriorando, produsse la sua rinuncia che fu accettata dalle supreme Potestà; e dalla S. Sede gli fu accordato nel 1758 il titolo di Arcivescovo di Rodi. Finì di vivere in Napoli a’ 28 di aprile del 1762 per un colpo di apoplessia, nella giovanile età di anni 53.” (2)

Ignoto meridionale, Giovanni Angelo Ciocchi del Monte, olio su tela, XVIII secolo. Provenienza: Basilica Cattedrale, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi Giovanni Angelo Ciocchi del Monte (1751 – 1759). (3)

Giovanni Battista Rivellini

Giovanni Battista Rivellini, abbate di Reino, e nativo di Vitulano nella diocesi di Benevento, successe al De Rossi. Fu egli presentato a questa Sede dal Re Ferdinando I in agosto, consecrato in Roma ai 20 di dicembre dello stesso anno 1778, e pervenuto in questa residenza ai 28 di marzo del 1779 la mattina della Domenica delle Palme.
Benché il Rivellini non fosse molto versato nelle scienze, pure era dotato di tale discernimento, che lo rendeva atto al governo.
Ai 10 di ottobre del 1780 diede principio alla costruzione del nuovo campanile sopra di quel medesimo suolo che era stato negato al suo predecessore; e fu posto termine a tale costruzione in aprile del 1793, senza aversi potuto perfezionare e portarsi a compimento, per errore commesso dall’architetto nella base.
Provide pure di arredi sacri la sua Cattedrale, e fra gli altri di un intero pontificale di canavaccio di oro pe’ giorni solenni. Era pure risoluto di decorare la sua Cattedrale col farne dipingere la soffitta, e rinnovandone il pavimento; e l’avrebbe fatto certamente, se non fosse stato prevenuto dalla morte che gli tolse la vita ai 23 di dicembre del 1795.

Possedeva questa mensa i due feudi nobili di S. Pancrazio e S. Donaci, ne’ quali gli Arcivescovi esercitavano la giurisdizione per mezzo di un governatore laico da essi eletto. Alla morte dell’ Arcivescovo Rivellini, pe’ tanti reclami avanzati alla maestà del Sovrano da quelle due popolazioni, fu tolta agli Arcivescovi la giurisdizione, e fu dato un governatore regio a quei due luoghi: e quelle popolazioni gioirono come di una vittoria riportata, vedendosi finalmente sottratti al dispotismo baronale, non già per parte degli Arcivescovi, ma pe’ governatori; mentre a tale geloso ufficio erano por lo più prescelte persone che a stento sapevano segnare il proprio nome; e quindi tutto si faceva dal così detto Mastro d’atti, 0 altrimenti Attuario, che poteva dirsi scorticatore dell’umanità.
Tutte le notizie fin qui riferite sono state fedelmente ricavate dalle memorie lasciateci dal chiarissimo Arcivescovo Annibale De Leo, che successe a questa Cattedra dopo al defunto Rivellini. Quant’altro poi saremo per dire, in proseguimento dì questa memoria, è fondato sulla fede di testimoni oculari tuttavia viventi. (2)

Ignoto meridionale, Giovanni Battista Rivellini, olio su tela, XVIII secolo. Provenienza: Basilica Cattedrale, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi Battista Rivellini (1778 – 1795). (3)

Annibale de Leo

Nacque il nostro De Leo in S. Vito, terra dodici miglia distante da Brindisi, dai genitori Ferdinando De Leo, uno de’ primarii gentiluomini di quel paese, e da Vittoria Massa nobile brindisina: e per ragione di costei fin dai primi anni trasferirono in Brindisi il loro domicilio. Col tempo Annibale divenne letterato insigne: e per la vastità delle sue cognizioni nelle sacre lettere non meno che nelle profane, si acquistò la stima dell’universale, sicché diverse accademie così del regno, come estere, fecero a gara per averlo socio delle letterarie loro investigazioni. Non è a dirsi quanto egli abbia scritto, e quanto abbia dettato. Abbiamo in questa curia arcivescovile tredici grossi volumi in foglio m.s. (manoscritti ndr), in cui sono registrati gli atti delle visite fatte dagli Arcivescovi, principiando dal 1565 sino al 1758, e sono opera dell’instancabil nostro De Leo. Egli con una costanza veramente invidiabile svolse tutti i diplomi, pergamene ed altre carte antiche esistenti nel nostro archivio capitolare, e di proprio pugno le trascrisse in un volume in foglio che intitolò Codice diplomatico brindisino, e si conserva in questa biblioteca pubblica da lui stesso fondata. Rifrustava egli continuamente le schede degli antichi notai di questa città, e registrava sopra di appositi quaderni le notizie che potevano interessare. Per lui non era indifferente qualunque notizia; e faceva tesoro di quanto gli veniva fatto di scoprire, e dalla lettura delle opere così antiche come moderne, e dallo svolgere le carte dell’epoche più rimote; e tutto minutamente annotava: ed in tal modo riuscì a formarsi quel ricco capitale di erudizione che tanto lo distinsero. Abbiamo di lui due opere date alla luce, piccole per altro, riguardandosene il volume, ma entrambi ricche d’importantissime erudizioni, e sono: Una Memoria sopra Marco Pacuvio, poeta brindisino, padre della tragedia latina; opera stampata in Napoli nel 1763, e che fu citata con encomio dal Tiraboschi e dalla gazzetta letteraria di Amsterdam: ed un’altra Memoria sulla coltura dell’Agro brindisino, pubblicata nel 1811, intitolata «Alla Società di agricoltura di questa provincia». Questa seconda Memoria pervenuta al reale Istituto d’Incoraggiamento alle scienze naturali di Napoli, dette luogo ad un rapporto, dato alla sezione di economia campestre e domestica dell’Istituto medesimo. In questo rapporto, dopo breve ricapitolazione di quanto leggesi nella detta Memoria, si conchiude ne’ seguenti termini.

«La Memoria ricca di erudizione, e bene scritta, è degna del suo autore e di essere inserita negli atti del reale Istituto. Essa potrà servire d’incitamento a molte altre contrade che ignorano le vicende del proprio paese, e che non senza inganno credono che nulla si possa aggiungere a quelle sciocche pratiche campestri, che occupano le loro bràccia».

Di un’altra Memoria da lui composta sopra Brindisi antica e suo porto si è parlato abbastanza nella prefazione.
Tanta sua dottrina in una età giovanile pur troppo, lo rese degno di stima e di considerazione, non solo presso i letterati generalmente, ma presso gli Arcivescovi di questa Chiesa, che gli fecero percorrere tutt’i gradi della ecclesiastica gerarchia. In fatti egli da semplice suddiacono fu promosso a canonico di questa metropolitana, indi successivamente a canonico teologo, ad arciprete curato; a primicerio; ad arcidiacono, prima dignità: ed infine nella vacanza della Sede, per la morte dell’Arcivescovo Rivellini, il Capitolo ad unanimità lo elesse Vicario capitolare.
Questi meriti non furono ignoti alla sapienza di S. M. il Re Ferdinando. Quel Sovrano, che mai non omise di rimunerarli in chiunque gli possedesse, gli conferì la badìa di S. Andrea dell’Isola brindisina: e quindi nel 1731 lo presentò a Vescovo di Uggento. E poiché alla rinunzia che egli ne produsse si avvide il beneficentissimo Sovrano che il de Leo non si sarebbe giammai indotto ad abbandonar la Chiesa di Brindisi, dalla quale erano state rimunerate le di lui fatiche per quanto da essa dipendeva, in agosto del 1797 lo presentò ad Arcivescovo di questa medesima Chiesa. Seguì la di lui consegrazione in Roma ai 2 di febbraio dell’anno seguente, e nel marzo dello stesso anno si restituì felicemente a questa sua residenza.
Ora è facile ad ognun giudicare quale fosse stato il governo di un pastore zelantissimo come il de Leo, che ad un’insigne dottrina accoppiava la più specchiata pietà. Tralasciando perciò di rammentare gl’innumerevoli atti di sua beneficenza verso de’ bisognosi tutti del suo gregge, così in pubblico come in privato, basta or accennare le cure particolari ch’ebbe delle povere orfane ricettate nel nostro poverissimo orfanotrofio di S. Chiara. Per farle addestrare nelle arti donnesche, egli chiamò da paesi forestieri delle maestre: le provvide di telai, filatoi, ed altri strumenti necessari all’uopo; e v’impiegò un vistoso capitale di lino e cotone per le lor manifatture, e col disegno che quell’infelici, nell’atto che apprendevano le arti, potessero eziandio riportarne qualche lucro, sopperendo egli a proprie spese a tutto il bisognevole.
Nel mentre che quel Pastore si occupava con somma alacrità delle divisate opere di beneficenza, non le trascurava menomamente verso della sua Chiesa, provvedendola di sacri arredi; e fra gli altri d’un pontificale di dommasco nero con galloni e frange di argento. Meditava pure di dipingerne la soffitta con elegante disegno; egualmente che cercava di migliorare i fondi della mensa, come fece in S. Pancrazio e S. Donaci, dove spese ingenti somme per prosciugare circa tomola cento di terreno paludoso; e per la costruzione di una massaria e di un trappeto, ossia fattoio. E benché i calamitosi tempi che sopravvennero lo avessero inabilitato a proseguire coll’istessa alacrità nelle sue benefiche intenzioni, pure seppe sostenerne il peso con impegno e saviezza.
A contare dalla luttuosa epoca del 1799, finché visse, l’Arcivescovo de Leo non ebbe un momento di pace. Primieramente fu ridotto alle massime angustie dalle così dette truppe repubblicane straniere, che nel dì 9 di aprile 1799 da nemiche invasero questa nostra città. Esse pur troppo abusando della licenza militare, tennero il di lui Episcopio non sol come locanda, ma come taverna aperta incessantemente a lor discrezione, e dove gli uffiziali superiori arbitrariamente s’intrudevano e stravisavano con eccessiva insolenza a spese del Prelato, dilapidando così il patrimonio de’ suoi poveri. Ed anche più.
Fin dalla prima sua gioventù il nostro de Leo per sua cura, avvalorata da quella del suo zio paterno Ortenzio letterato insigne, aveva raccolti tanti e poi tanti oggetti preziosi di antichità, da fornirne un bellissimo e ricchissimo Museo, divenuto lo stupore de’ dotti nazionali e stranieri che l’osservavano. Ed anche disgraziatamente quel ricco deposito di tante preziosità andò soggetto al dirubamento di alcuno o più (chi potrebbe saperlo?) di quella genìa, e certamente coll’opera di alcuno de’ suoi familiari, o timido, o traditor denunziante per avarizia, de’ quali erasi valuto per nasconderlo in luogo impervio e parimente sicuro.
Qualunque però fosse stata l’orditura di questo spoglio, mostrò certissimamente il fatto, che partita la truppa, tutto intieramente il Museo non fu trovato nel suo nascondiglio. Sul che è parimente a notarsi, che egli il buon Prelato in tal perdita irreparabile si fè il confortatore della famiglia che ne gemeva: e con aria spirante eroica e cristiana rassegnazione, altro non faceva spiccare dal fondo del cuore alle sue labbra se non se: Dominut dedit: Dominus abstulit: sit nomen Domini benedictum.
Quel che però lo trafisse nel cuore e a non darsene pace infin che visse, fu la general soppressione degli Ordini religiosi eseguita dagl’invasori nel 1808. Zelantissimo qual era del suo pastoral ministero, non senza sospirarne vide tolte alla sua Chiesa ben nove case religiose che ne avevan formato la più bella decorazione, tanto per la istruzione morale e scientifica, quanto pe’ soccorsi giornalieri che ne riceveva la povertà, e quanto finalmente per la perdita di soggetti, de’ quali valer si poteva da ottimi, laboriosi e assidui collaboratori nella vigna di G. Cristo affidata al suo ministero. Sul che non è da omettersi l’osservazione seguente.
Furon così cospicue le operose e incessanti premure di questo dottissimo e religiosissimo Prelato sul ben essere di questo suo seminario, che sarebbe superfluo rammentarle agli odierni Brindisini. Il merito morale e scientifico de’ professori, de’ quali fu sempre attento a provvederlo, non è spento nella loro memoria: e rammentandone li nome, viene con esso associato il sublime merito che il distinse. Egli però non si trattenne tra queste cure dopo la detta soppressione, allorché ne vide maggior bisogno. A dirla in breve, mentre la necessità fé chiudere altri seminari, per quel trambusto in cui si trovava lo spirito della gioventù nella notissima circostanza de’ tempi; quello di Monsignor de Leo, per gli sceltissimi professori nelle diverse facoltà che vi faceva insegnare, si rendè cospicuo a segno, che pel concorso de’ convittori di altre diocesi ebbe a fare aggiungere nuovi saloni a’ preesistenti.
Fu osservata poc’anzi la considerazione ch’ebbe di questo dotto e santo Prelato il suo Re Ferdinando, in guisa che a lui con notabilissima preferenza, come savio e zelante Vescovo, affidò la visita de’ Monasteri de’ Benedettini neri delle due provincie di Lecce e Bari: gelosissimo incarico, ch’egli con onore e general soddisfazione seppe eseguire. Qui si soggiugne che lo stesso usurpatore Gioacchino Murat, considerandolo con rispetto, gli commise la cura delle due vicine diocesi di Ostuni e di Oria, per le quali molto egli si affaticò; e soprattutto per l’ultima di cui intraprese la visita nel maggio del 1813, e la terminò in dicembre dello stesso anno. Ed ecco il principio de’ gemiti del diletto suo gregge. Restituitosi alla sua residenza molto abbattuto di forze, non potè in conto alcuno ricuperarle; sicché a’ 13 di febbrajo del 1814, di anni 75, chiuse il corso alla sua vita mortale, nel compianto universale della città e della diocesi tutta.
Molto resterebbe a dire sulle opere permanenti di beneficenza di questo insigne Prelato; non sono però da omettersi le seguenti.
Volendo egli lasciare a questa sua patria adottiva una perenne memoria di sè, la decorò di una Biblioteca pubblica, colla dote di annui ducati trecento, avendone ottenuti prima gli autorizzanti diplomi sovrani.
Per dimostrarsi grato verso di questo suo Capitolo, che l’avea tenuto sempre in quell’alta stima che gli era ben dovuta, legò a favore dello stesso l’annua rendita perpetua di ducati centocinquanta, coll’obbligo della celebrazione di quattro messe basse in ogni mese, per l’anima sua.
Non obbliando questo povero orfanotrofio di S. Chiara, tanto da lui sempre beneficato; legò a favore dello stesso tutta la suppellettile del suo Episcopio, da vendersi, e dal ritratto formarsene un capitale redditizio a prò dello stabilimento medesimo.
Finalmente memore di S. Vito, sua patria nativa, vi fondò un orfanotrofio per le povere orfanelle di quel luogo e destinò a tale uso il palazzo di sua famiglia che ivi possedeva, con una corrispondente dotazione. Sul che è a notarsi, che per tutte queste beneficenze nè punto nè poco adoperò quel che gli veniva dalle rendite della mensa; perchè queste erano giornalmente da lui distribuite alla povertà del diletto suo gregge. Tutto egli prese dal ricco patrimonio di sua famiglia, che per mancanza di successione, come erede necessario tutto divenne di sua proprietà. (2)

Ignoto meridionale, Annibale de Leo, olio su tela, XVIII secolo. Provenienza: Basilica Cattedrale, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi Annibale de Leo (1798 – 1814). (3)

 

Diego Planeta 

Nato a Sambuca il 25 gennaio 1794 viene nominato arcivescovo il 30 aprile 1840 rinunziando il 22 dicembre 1849. Si laurea in Teologia il 16 luglio 1841. Fece restaurare il palazzo arcivescovile di Brindisi e quello vescovile di Ostuni. In biblioteca si conservano alcune lettere del Tarantini a Mons. Diego Planeta, esiliato a Napoli per motivi politici: lettere piene di nostalgia e gratitudine, ricordando “le seducenti piramidi dei saporitissimi fichi e che in questo tempo ho tenuto presenti le torri di fichi dolcissimi ed il vostro valore militare nell’espugnarle”. Fu l’ultimo arcivescovo ad occuparsi del conservatorio di Santa Chiara che, come ricorda un’epigrafe in sito, promosse una ristrutturazione dei locali. Muore a Palermo il 5 giugno 1858.

Ignoto meridionale, Diego Pianeta, olio su tela, XIX secolo. Provenienza: Basilica Cattedrale, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi e amministratore apostolico di Ostuni, Diego Pianeta (1841 – 1849). (3)

Raffaele Ferrigno 

Nato a Napoli il primo marzo 1794, traslato da Bova di nomina regia del 29 gennaio 1856. Fu causa della distruzione di quella parte superstite del pavimento a mosaico della cattedrale coprendolo con mattonelle di marmo. Restaurò la cappella del palazzo arcivescovile. Muore a Brindisi il 20 aprile 1875.

Ignoto meridionale, Raffaele Ferrigno, olio su tela, XIX secolo. Provenienza: Basilica Cattedrale, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi e amministratore apostolico di Ostuni, Raffaele Ferrigno (1856- 1875). (3)

 

Luigi Aguilar 

Nato a Napoli il 7 aprile 1814, traslato da Ariano, fece eseguire lavori di restauro nel palazzo arcivescovile di Brindisi e vescovile di Ostuni. Muore a Brindisi il 21 gennaio 1892.

Ignoto meridionale, Luigi Maria Aguilar, olio su tela, XIX secolo. Provenienza: Basilica Cattedrale, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi e amministratore apostolico di Ostuni, Luigi Maria Aguilar (1875 – 1892). (3)

 

Luigi Morando 

Nato a Floriano il 21 giugno 1846. Della Congregazione degli Stigmatiti, consacrato a Roma il 7 gennaio 1906. Muore il 20 giugno 1909.

Nicola Saracino, Luigi Morando, olio su tela, 2005. Provenienza: Episcopio, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi e amministratore apostolico di Ostuni, Luigi Morando (1906- 1909). (3)

 

Tommaso Valeri 

Nato a Fiora il 23 ottobre 1865, titolare a Geropoli. Francescano, prende i voti il 28 aprile 1888, consacrato il 5 giugno 1910 e nominato arcivescovo il 10 giugno 1935, eresse varie parrocchie in Brindisi, in Ostuni. Restaurò la Cattedrale di Brindisi e potenziò il seminario interdiocesano di Ostuni. Sotto il suo presulato vennero in Brindisi molti ordini di religiose. Ha celebrato congressi eucaristici e tenuto sinodi diocesani. Rinuncia alla cattedra di Brindisi il 14 agosto 1942 e muore a Sinilunga (Siena) il 20 novembre 1950.

Luigi Scorrano (*)(1849 — 1924), Tommaso Valeri, olio su tela, XX secolo. Provenienza: Basilica Cattedrale, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi e amministratore apostolico di Ostuni Tommaso Valeri (1910 – 1942). (3)

 

Nicola Margiotta 

Nasce a Martina Franca il 13 gennaio 1889, traslato da Gallipoli, ha restaurato le cattedrali di Brindisi e di Ostuni. Ha celebrato un Congresso Eucaristico, un Sinodo diocesano ed un congresso catechistico ed istituito il “Fondo di Solidarietà pro Carcerati”. Rinuncia il 24 maggio 1975 e muore a Martina Franca l’8 marzo 1976.

Nicola Saracino, Nicola Margiotta, olio su tela, 2005. Provenienza: Episcopio, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi e amministratore apostolico di Ostuni, Nicola Margiotta (1953- 1975). (3)

 

Francesco de Filippis

Nasce a Gagliano il 12 ottobre 1875, titolare a Grangra, incrementò il culto per San Lorenzo da Brindisi istituendo la pia Associazione San Lorenzo. Restaurò il palazzo del Seminario di Brindisi ove trasferì i Seminaristi che erano stati prima nel seminario di Ostuni. Rinuncia il primo settembre 1953 e muore a Gagliano il 3 gennaio 1964.

Salvatore Scoditti (Mesagne 1906), Francesco de Filippis, olio su tela, 1981. Provenienza: Basilica Cattedrale, Brindisi. Ritratto dell’arcivescovo metropolita di Brindisi e amministratore apostolico di Ostuni Francesco de Filippis (1942 – 1953). (3)

Orazio Semeraro

Nato a Veglie (Le) il 4 aprile 1906, la sua famiglia si trasferì quand’era ancora piccolo a Ostuni, dove compì gli studi ginnasiali nel locale Seminario Diocesano, proseguendo poi con i corsi liceali e teologici nel Pontificio Seminario Regionale di Molfetta. Conseguì successivamente la laurea in filosofia presso l’Accademia di San Tommaso d’Aquino in Roma.
L’11 agosto 1929 fu ordinato sacerdote nella Concattedrale – allora Cattedrale – di Ostuni da Tommaso Valeri, Arcivescovo di Brindisi e Amministratore Perpetuo di Ostuni. Rimase a Ostuni con la mamma Natalizia e la sorella Rosina, svolgendo i compiti di educatore, insegnante e poco dopo rettore nel Seminario Diocesano.
Nel 1938 fu nominato dall’arcivescovo Valeri Vicario Generale per la Diocesi di Ostuni, incarico che gli fu confermato dall’arcivescovo Francesco De Filippis e poi dall’arcivescovo monsignor Nicola Margiotta, il quale in seguito lo nominò anche Vicario Generale per l’arcidiocesi di Brindisi.
Il 22 marzo 1957 fu eletto vescovo di Cariati da papa Pio XII e ordinato il 10 maggio 1957 nella Cattedrale di Ostuni; consacratore principale fu il cardinale Adeodato Giovanni Piazza assistito dai co-consacratori Nicola Margiotta e Corrado Ursi.
Prese parte alle 4 sessioni del Concilio Vaticano II quale padre conciliare.
Dopo dieci anni di episcopato nella sede calabrese di Cariati tornò nella sua diocesi, dove, il 28 giugno 1967, fu nominato arcivescovo coadiutore dell’arcivescovo Nicola Margiotta; contestualmente divenne arcivescovo titolare di Faleri. Dal 31 ottobre 1968 resse l’arcidiocesi di Brindisi e la diocesi di Ostuni come Amministratore Apostolico «sede plena».
Il 18 luglio 1975 lasciò l’incarico episcopale per ragioni di salute.
Monsignor Semeraro fu co-consacratore dell’arcivescovo Settimio Todisco (1970) e del vescovo Armando Franco (1977).
L’arcivescovo Orazio Semeraro morì a Ostuni il 23 agosto 1991. (4)

Autore ignoto, Mons. Orazio Semeraro (1967-1975),  olio su tela. Arcivescovo titolare di Faleri, Coadiutore con diritto di successione. Dal 1968 Amministratore Apostolico. Ha ampliato i locali della biblioteca arcivescovile.

Settimio Todisco

Nato a Brindisi il 10 maggio 1924 giunge arcivescovo di Brindisi il 24 maggio 1975.  Ha compiuto gli studi nel seminario diocesano di Ostuni ed in quello regionale di Molfetta. Viene ordinato presbitero il 27 luglio 1947, nella cattedrale di Ostuni, dall’arcivescovo metropolita di Brindisi Francesco De Filippis. Inizia il ministero in qualità di docente e di vice rettore nel seminario di Ostuni; contemporaneamente insegna religione nelle classi del Ginnasio ed è coadiutore nella parrocchia della cattedrale di Ostuni. Nell’ottobre del 1950 viene trasferito, con la nomina di rettore del seminario, nella rinnovata sede di Brindisi, tornando nella città natale. In questi anni collabora con la FUCI e l’Istituto Magistrale di Brindisi. L’arcivescovo Nicola Margiotta, nel giugno 1957, lo richiama a Ostuni nominandolo canonico teologo, prefetto di curia, delegato vescovile per l’Azione Cattolica ed assistente del Movimento Laureati. Nel 1962 gli viene affidato l’ufficio di vicario generale e, l’anno successivo, riceve la nomina pontificia di Protonotario Apostolico. È arciprete del capitolo cattedrale, insegnante di religione nel Liceo classico e membro della Consulta dell’Istituto pastorale pugliese. Il 15 dicembre 1969 viene eletto vescovo titolare di Bigastro ed amministratore apostolico sede plena delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi. Viene ordinato vescovo nella cattedrale di Ostuni, il 15 febbraio 1970, dal cardinale Corrado Ursi, coconsacranti l’arcivescovo Nicola Margiotta ed il vescovo Achille Salvucci.

Il 24 maggio 1975 viene promosso arcivescovo della sede metropolitana di Brindisi. Sotto il suo episcopato avviene l’unificazione della diocesi di Ostuni e dell’arcidiocesi metropolitana di Brindisi. È l’ultimo arcivescovo di Brindisi ad aver ricevuto il sacro pallio.

Diventa arcivescovo emerito, il 5 febbraio 2000, per raggiunti limiti di età. (5)

A. De Vicienti, Settimio Todisco, olio su tela, 1999. Provenienza: Committenza mons. Angelo Catarozzolo. Ritratto dell’arcivescovo di Brindisi – Ostuni, Settimio Todisco (1975 – 2000). (3)

 

Ringraziamenti

Si ringrazia Katiuscia Di Rocco, Direttore della Biblioteca Arcivescovile A. De Leo,  per la collaborazione nella redazione dell’articolo.

 

Bibliografia e sitigrafia:

Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica.”

1) Cronotassi iconografica ed araldica dell’episcopato pugliese, Reg. Puglia – Assessorato alla cultura, 1984
2) Articolo storico – Sù Vescovi della chiesa metropolitana di Brindisi – compilato da Vito Guerrieri. Ristampa anastatica
3) La pinacoteca – Museo Diocesano G. Tarantini. A cura di G. Carito

4) http://it.cathopedia.org/wiki/Cathopedia:Pagina_principale

5) http://www.diocesibrindisiostuni.it/biografia/arcivescovi-emeriti/

(*) Luigi Scorrano fu pittore notevole; salentino, frequenta a Napoli l’Istituto di Belle Arti ed è allievo di Dalbono, Mancinelli e Morelli. E’ poi professore presso lo stesso istituto. Dal 1904 al 1923 è prima professore poi Direttore dell’Istituto di Belle Arti di Urbino. Le sue prime esperienze tengono conto del naturalismo morelliano; nel rifiuto degli aspetti più convenzionali del vero appare anche vicino a Palizzi. E’ di questo periodo Gioie intime, forse la sua opera migliore, dove il verismo illustrativo concede spazio alla penetrazione del dato poetico. In seguito Scorrano ripiega con più insistenza nella pittura religiosa come documentato in Lecce dalle opere che sono nella chiese di Sant’Antonio al Fulgenzio e del Gesù.

2 commenti

  1. Mancano completamente le note biografiche,assai facilmente reperibili, di don Antonino Sersale,Patrizio napolitano e Patrizio di Sorrento,poi Vescovo di Taranto e successivamente Cardinale Arcivescovo di Napoli.

    1. Non avevamo alcun motivo per escludere don Antonino Sersale; abbiamo messo le didascalie solo agli arcivescovi che erano rappresentati nella galleria e che abbiamo potuto fotografare.

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