La Reggia di Caserta

La storia della Reggia
“Ha inizio il 28 agosto del 1750, quando Carlo di Borbone, re delle Due Sicilie da 16 anni, acquista dagli eredi della famiglia Caetani Acquaviva il territorio pianeggiante, ai piedi dei Monti Tifatini, dove si trovavano un piccolo villaggio ed una torre piramidale, un “torrazzo”, precisamente. Il costo di quella transazione tolse alle casse regie ben 489.343 ducati (come si rileva dai documenti dell’epoca), ma la spesa venne ritenuta necessaria per la realizzazione di un progetto che da tempo il sovrano accarezzava: la “riorganizzazione militare ed amministrativa del regno” (come scrive l’architetto Gian Marco Jacobitti, Sovrintendente ai Beni Ambientali e Architettonici di Caserta in una sua opera).
Una iniziativa che non voleva limitarsi ad edificare una reggia che competesse per splendore con quella di Versailles, ma che puntava a dare al regno una nuova capitale, lontana dal mare e dalle offese che da questo potevano venire.
Un progetto ambizioso, per il quale si rendeva necessario assumere un architetto all’altezza del compito.” (1)


“Dal Papa Benedetto XIV, Carlo di Borbone destinato a salire al trono di Spagna col nome di Carlo III, ricevette il consenso e l’autorizzazione ad assumere un architetto napoletano, di origine olandese, che stava lavorando alla preparazione del Giubileo del 1750: Luigi Vanvitelli.

I contatti ebbero inizio nello stesso 1750, quando il già cinquantenne Vanvitelli presentò al Borbone i suoi piani. Nel 1751 il progetto fu ufficialmente presentato al re, del quale ottenne consenso ed approvazione. Il 20 gennaio del 1752, veniva posata la prima pietra dell’opera. Erano presenti il re e sua moglie Amalia di Sassonia, il ministro Tanucci, il Nunzio Apostolico e numerosi dignitari.

Sette anni dopo, con i lavori in pieno fermento, Carlo lasciava la sua Napoli per trasferirsi a Madrid come sovrano di Spagna. Nel 1773 moriva Luigi Vanvitelli e la costruzione non era ancora ultimata; soltanto nel 1847, a distanza, quindi, di quasi un secolo dalla posa della prima pietra, veniva ultimata la Sala del Trono: l’opera poteva considerarsi compiuta, anche se con qualche rimaneggiamento rispetto all’originario disegno vanvitelliano, dovuto non tanto alla morte del grande architetto, cui era succeduto il figlio, chiamato Carlo in onore del sovrano, quanto al “diminuito interesse” (come scrive il Soprintendente Jacobitti) scaturito dalla partenza di Carlo di Borbone.
La Reggia, in ogni modo, si poneva come cuore pulsante della nuova capitale vagheggiata da Re Carlo: un impianto urbanistico moderno, una città-corte che competesse con Versailles e costituisse simbolo di prestigio della Casa Borbonica per magnificenza, per monumentalità, per volumetrie e per estensione.
La pianta del palazzo è rettangolare, con i lati di metri 247 e 190, un perimetro di 874 metri, un’altezza di 41 metri, una superficie di oltre 44.000 metri, e una volumetria di quasi 2.000.000 di metri cubi. Oltre ai cortili ed agli altri spazi creati dall’intersezione dei corpi di fabbrica, il Palazzo Reale comprende 1.200 stanze con 1.742 finestre (245 delle quali si aprono nella facciata).” (1)

Entrata dalla facciata principale della Reggia di Caserta, con il lato sinistro in restauro

“La Reggia di Caserta appartenne alla Casa Borbone per oltre un secolo: dal 1752 al 1860, anno in cui passò ai Savoia. Un decreto ministeriale la attribuì al demanio dello Stato Italiano nel 1919. Vanto, orgoglio e fasto dei Borbone all’inizio, controllata per brevissimo tempo dalla Repubblica Napoletana nel 1799 e nello stesso anno riappropriata al Borbone fino al 1805, quando le sorti di Napoleone portarono il condottiero corso a dominare l’intera Europa e ad assegnare prima al fratello del Bonaparte, Giuseppe, e poi, nel 1808, a Gioacchino Murat il Regno delle Due Sicilie, tornò alla Casa Borbone con la caduta delle aquile napoleoniche ed il susseguente Congresso di Vienna nel 1815. Seguì il periodo Savoia dal 1860 al 1919. Dal 1926 e negli anni che precedettero e videro lo svolgersi del Secondo Conflitto Mondiale, e fino al 1943, ospitò l’Accademia dell’Aeronautica Militare Italiana. Il 14 dicembre del 1943, dopo lo sbarco degli Alleati a Salerno, fu occupata dalle Armate Alleate. Il 27 aprile del 1945 accolse i plenipotenziari che vi firmarono la resa delle armi germaniche in Italia. Nel luglio del 1994, infine, ospitò per una cena offerta dal Presidente della Repubblica i Capi di Stato in occasione del Vertice G7. Attualmente ospita la Soprintendenza ai Beni Ambientali Artistici Architettonici e Storici di Caserta (cui è affidata in consegna), l’Ente Provinciale per il Turismo di Caserta, la Società di Storia Patria, la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, la Scuola Sottufficiali dell’Aeronautica Militare ed alcuni alloggi di servizio.” (1)

Vestibolo con il lato sinistro in restauro

Luigi Vanvitelli (Napoli, 26 maggio 1700-Caserta, i marzo 1773), “che aveva lavorato per lo Stato Pontificio ed aveva realizzato nelle Marche ed a Roma opere di grande impegno, aveva ereditato dal padre Gaspare (dal cognome, Van Wittel, ancora nella grafia originaria) l’amore per la pittura, cui era stato dapprima indirizzato.

Luigi Vanvitelli da un’immagine https://it.wikipedia.org/wiki/Reggia_di_Caserta

Ben presto, però, si sviluppò e prevalse il richiamo dell’architettura, della quale ebbe una visione personale cui molto dovettero incidere, quanto a senso armonico e grandiosità, gli studi proprio della pittura ed il ricordo dei quadri del padre Gaspare. Suo maestro fu Filippo Juvara, autore, tra le altre opere, della Basilica di Superga, dell’esterno del Palazzo Reale di Madrid e della Sacrestia di San Pietro; e da Juvara trasse gli elementi dell’architettura classica. Da solo, poi, proseguì gli studi osservando e misurando scrupolosamente i monumenti di Roma, appassionandosi a Vitruvio ed ai trattatisti del ‘500 e, finalmente, eseguendo i primi progetti: il restauro del Palazzo Albani e delle chiese di San Francesco e di San Domenico a Urbino. In collaborazione eseguì l’Acquedotto di Vermicino (e questa esperienza si rivelerà fondamentale per la realizzazione del grande Acquedotto Carolino, lungo 41 chilometri, per alimentare la Cascata nel Parco della Reggia di Caserta). Pur legato culturalmente ai progetti di Juvara, di Borromini, di Bernini, Vanvitelli sviluppò una propria originale visione architettonica, e l’incarico offertogli da Carlo di Borbone gli fornì l’occasione per metterla in pratica in maniera grandiosa. Le reminiscenze barocche, i modelli di Borromini, di Guarini e di Bernini che affiorano nel progetto del Palazzo Reale di Caserta non prevalgono sulle intuizioni vanvitelliane e non turbano l’unità dell’insieme: l’unicità dell’opera vanvitelliana rivela la forte personalità dell’architetto e costituisce le basi del gusto neoclassico che si affermerà negli anni a venire.” (1)

Si mostrano qui di seguito i “Disegni della Reggia” eseguiti personalmente da L. Vanvitelli e contenuti in un libro del 1756 conservato presso la Biblioteca Arcivescovile A. De Leo che, gentilmente lo ha messo a disposizione dei lettori. Si ringrazia il Dott. Francesco Maggiore per la segnalazione. (2)

Lo Scalone

“Noto anche come “Scalone d’Onore”, è stato lo scenario suggestivo dell’ingresso dei Capi di Stato per il Vertice G7 ripreso dalle televisioni di tutto il mondo. Immette nel Vestibolo, negli Appartamenti Reali e nella Cappella Palatina al piano superiore. Si presenta con una grande rampa centrale che si sdoppia successivamente in due elementi paralleli, con 116 gradini composti ciascuno da un unico blocco di “lumachella” di Trapani.
A metà del portico, la visione propone il fondale di marmo tra pilastri e arcate e le statue che lo sovrastano. Sono tre, in stucco, e raffigurano la Maestà Regia, il Merito e la Verità, è secondo il Vanvitelli erano destinate ad imprimere “con generoso aspetto, riverenza in chiunque” avesse salito lo Scalone (come si legge nelle “Dichiarazioni dei disegni del Real Palazzo” stilate dall’architetto) e significare  anche “la forza della ragione e delle armi” che sostenevano il Regno del Borbone.
Furono realizzate tra il 1776 e il 1777.Al termine della rampa centrale si accede al primo pianerottolo, dove iniziano le rampe parallele “custodite” da due splendidi leoni in marmo bianco, opera di Solari e Persico. Se si volge lo sguardo all’indietro si coglie, con un’unica contemporanea visuale, l’esistenza dei due piani sovrapposti (quello del pianterreno dominato dalla statua di Ercole, e quello del Vestibolo.” (3)

Il Vestibolo

Vi si accede da una delle rampe laterali dello Scalone. Il Vestibolo, che prende luce da quattro finestroni aperti sul cortile, è a pianta ottagonale, assumendo, però, un movimento circolare nella parte centrale, la cui volta, in spazi geometrici, è riccamente decorata. L’insieme dei pilastri e delle colonne segue rigorosamente la disposizione e la geometria del piano sottostante, ma con un gioco di luci e di colori che non lascia cogliere tale particolare a meno che non vi si ponga specifica attenzione. La definizione di “Vestibolo” pare sia dello stesso Vanvitelli in una lettera al fratello Urbano nel novembre del 1759.” (3)

La Cappella Palatina

“Del luogo destinato alla celebrazione dei Sacri Riti della famiglia reale s’era discusso già nel marzo del 1752 e poi a fine settembre dello stesso anno in un incontro concesso dai reali a Vanvitelli. Carlo e Maria Amalia avevano proprie idee a proposito delle colonne e soprattutto dei marmi da impiegare: lo confidava l’architetto al fratello Urbano, al quale aveva anche espresso certe proprie idee “ardite” a proposito della Cappella, che il re avrebbe voluto sul modello di quella di Versailles. “La Cappella mia di Caserta – scriveva infatti nel 1752 Vanvitelli – certamente sarà il miglior pezzo e quella di Versaglies è così cattiva, sproporzionata in tutto, quantunque piena di bronzi dorati, che assolutamente è una pessima cosa”. La Cappella, dunque, fu voluta da re Carlo, ma venne realizzata secondo gli schemi di Vanvitelli, che evidentemente sapeva come fingere di assecondarne i desideri e realizzare notevoli varianti (“…ho ridotto il tutto in buona simmetria di Architettura…”, scriverà lo stesso Vanvitelli).” (3)

Appartamento Ottocentesco

Sala degli Alabardieri

“Subito a sinistra del Vestibolo, si apre la prima delle cinque Anticamere che precedono la Sala del Trono: la Sala degli Alabardieri. Sul progetto del padre, Carlo Vanvitelli la realizzò con stucchi e finti marmi su fondo giallo, affidandone la decorazione, nel 1789, a Domenico Mondo, Angelo Brunelli e Andrea Cali. Il primo realizzò l’affresco della volta: l’allegoria delle Armi Borboniche sostenute dalla Virtù. Brunelli e Cali eseguirono le decorazioni in stucco di trofei ed armi che si possono ammirare sulle sovrapporte. Allo scultore Tommaso Bucciano, infine, sono dovute le allegorie delle Arti Liberali: Otto busti femminili disposti intorno alla Sala. Il pavimento, in cotto dipinto a finti marmi, opera di artigiani napoletani che hanno fatto scuola fino ai nostri giorni, consente tuttora il restauro delle parti che vengono deteriorate. Notevole è l’arredamento. I grandi lampadari, eseguiti da artigiani napoletani dell’800, sono in bronzo dorato e vetro. Consolles e sgabelli sono del ‘700. I busti collocati sulle consolles sono quelli delle regine Maria Carolina, Maria Isabella, Maria Cristina, Maria Sofia.” (3)

Sala delle Guardie

“Vi si accede dalla Sala degli Alabardieri e presenta un meraviglioso colpo d’occhio per la ricca decorazione a stucchi della volta – nella quale spicca La gloria del Principe e le dodici Province del Regno di Girolamo Starace – contornata da un cornicione poggiato su lesène di ordine ionico. Dodici bassorilievi, che raffigurano episodi della Seconda Guerra Punica, si trovano allineati lungo le pareti. Questa Sala fu realizzata dal figlio di Luigi Vanvitelli, Carlo, che si mosse sui progetti paterni apportando di proprio le idee decorative. E’ il caso, per esempio, delle opere degli scultori Tommaso Bucciano, Paolo Persico e Gaetano Salomone. Il primo realizzò i due rilievi La morte del console Marcello e La fuga di Annibale. Quattro bassorilievi sono dovuti a Paolo Persico, i restanti a Gaetano Salomone. Sulla parete di destra è posto il gruppo marmoreo cinquecentesco di Simone Moschino raffigurante Alessandro Farnese incoronato dalla Vittoria, portato a Caserta da Roma nel 1789. Il camino in marmo è di Carlo Beccalli, i lampadari sono della medesima manifattura di quelli della Sala degli Alabardieri, gli sgabelli in stile impero sono francesi.
Sulle consolles napoletane del ‘700 si trovano i busti di Re Ferdinando I del Canova, di Re Francesco I di Del Nero e di Francesco II e Ferdinando II di autori ignoti.” (3)

Sala di Alessandro
“Deve il suo nome all’affresco sulla volta raffigurante Le Nozze di Alessandro Magno e Roxane di Mariano Rossi.
Luigi Vanvitelli aveva previsto l’impiego del pittore Fedele Fischetti, ma nel 1787 e dopo la sua morte, il figlio Carlo, per volere del sovrano, aveva chiamato il Rossi che operò nel pieno rispetto dell’iconografia della Reggia, ovvero con allegorie che celebrassero gloria e fasti dei Borbone. I bassorilievi delle sovrapporte, con episodi della vita del condottiero macedone, sono di Tito Angelini e Gennaro Cali. A Carlo Beccalli sono dovuti il medaglione in marmo bianco, sul camino, col profilo di Alessandro Magno e la due Sfingi in basalto ai suoi lati. La decorazione appare più ricca rispetto alle Sale precedenti: in alto, a sinistra, infatti, c’è il quadro di Gennaro Maldarelli della Abdicazione di Carlo in favore del figlio Ferdinando e, di fronte, a destra, quello di Camillo Guerra, Carlo alla Battaglia di Velletri. Il pavimento in marmo è dell’immediato ultimo dopoguerra e riprende l’originaria decorazione realizzata su cotto. Alla Sala di Alessandro si lavorò anche durante il decennio francese del 1806-1815, quando venne adibita a Sala del Trono, ma le relative opere andarono del tutto perdute. Le due poltrone con pomelli di avorio e poggiapiedi, poste accanto al monumentale orologio napoletano in stile impero, furono infatti adoperate da Gioacchino Murat e da sua moglie Carolina Bonaparte, mentre le sedie provengono dalle Tuileries. L’arredamento è completato da sei candelabri lignei.” (3)

Sala di Marte
“Dopo la Sala di Alessandro, si accede alla Sala di Marte. Destinata ai “Titolati, Baroni del Regno, Uffiziali, Militari e Inviati Esteri”, ancora più ricca e fastosa, venne realizzata durante il regno di Murat, in tal modo sottolineando l’interesse per la Reggia di Gioacchino e Carolina, che avevano provveduto a stanziare i fondi necessari. I lavori, su progetto del Primo Architetto di Corte, Antonio De Simone, furono eseguiti da De Lillo e Patturelli, architetti, e riprendono l’obiettivo dominante delle decorazioni della Reggia: celebrare i fasti della casa regnante, esaltando però, stavolta, le virtù militari delle monarchie imposte da Napoleone, e principalmente quella murattiana.

Il nome è dovuto alla decorazione, dedicata al Dio greco della Guerra, Ares (Marte per i latini). Sulla volta Antonio Galliano realizzò nel 1813 Il carro di Achille protetto da Marte che travolge Ettore. Sempre sulla volta, e nella zona inferiore, si trovano i rilievi di divinità ed eroi omerici i trofei nella parte centrale e, infine, le allegorie delle Vittorie Alate e delle Virtù guerresche con i simboli della Prudenza e della Forza. Alle decorazioni furono chiamati Beccalli, D’Antonio, Lucchesi, Masucci e Monti, con intagliatori, stuccatori, indoratori e scagliolisti impegnati alle membrature architettoniche, agli stucchi ed ai rivestimenti in finto marmo giallo.

La tazza in alabastro al centro della sala, di epoca romana, è un dono di Pio IX a Ferdinando II di Borbone. Il pavimento geometrico in alabastro, vitulano e marmi verdi è opera di artigiani napoletani. L’arredo è completato da un vaso di porcellana con manici di bronzo dorato, da quattro candelabri di bronzo stile impero, da due consolles con piedi piramidali e ripiani in marmo, da otto sgabelli a faldistorio di legno intagliato e dorato e da un orologio francese in stile impero.” (3)

Sala di Astrea
“Oltre la Sala di Marte, proseguendo in direzione ovest, si apre la Sala di Astrea, destinata alla diplomazia: “Ambasciatori, Segretari di Stato, Gentiluomini di Camera”. E’ dovuta al progetto di Antonio De Simone e prende il nome dal dipinto di Giacomo Berger che vi raffigura la Dea della Giustizia, Astrea, appunto, che la esercita in nome degli Dei tra una folla di figure simboliche. La stessa Dea è ancora raffigurata nei bassorilievi dorati di Domenico Masucci nei padiglioni della volta. Astrea compare ancora nello altorilievo del gruppo tra Ercole e le Province del Regno. Su un’altra parete, opera di Valerio Villareale, si trova Minerva posta tra La Legge e La Ragione: tutti motivi che esaltano il potere del Re e il suo impegno per la Giustizia e l’Amministrazione del Regno.
Geni alati e festoni retti da cigni conferiscono alla decorazione ricchezza non disgiunta da raffinata eleganza. Il pavimento è in marmo di Carrara e giallo di Siena, con un disegno labirintico voluto dal Borbone, rientrato dopo il Congresso di Vienna del 1815. L’arredo, molto ricco, è composto da due lampadari in bronzo dorato e cristallo di Boemia, dal camino in marmo decorato a stucchi dorati e da otto sgabelli.” (3)

Sala del Trono
“É la più ampia del piano, occupa buona parte della mezza facciata ad ovest e segue immediatamente la Sala di Astrea. Esclusa dai lavori durante il periodo francese, non venne completata nemmeno da Ferdinando I nonostante che questi ne avesse incaricato appositamente Bianchi, che gli aveva presentato il progetto, vedendoselo anche approvare. Nel 1845, infine, l’allestimento venne realizzato da Gaetano Genovese e la Sala inaugurata per il VII Congresso Internazionale delle Scienze. Un’iscrizione su una delle due figure muliebri della Storia in stucco dorato, dovute a Tito Angelini e Tommaso Arnaud, riporta le sigle FII e MT (Ferdinando II e Maria Teresa) e la dicitura: “Ferdinando II – nell’anno XV dal suo Regno – fece compiere questa sala”. Splendido il pavimento a disegni geometrici e rosoni in ottagoni, con le decorazioni in stucco dorato che staccano cromaticamente sul rosso vivo delle due enormi passatoie allineate sotto la pareti e dei ricchi sgabelli con sostegni in legno dorato. Alla base delle decorazioni vi sono stemmi e nomi delle dodici Province del Regno, mentre sui cornicioni vi sono 46 medaglioni raffiguranti i Re di Napoli. Completano l’arredamento quattordici appliques in bronzo dorato e cristallo di Boemia. La volta, illuminata a finestre semicircolari, è a botte ed affrescata nel 1845 da Gennaro Maldarelli con La cerimonia della posa della prima pietra della Reggia di Caserta, cerimonia risalente al 20 gennaio del 1752, come detto in precedenza. Sul fondo della Sala, sotto un altorilievo dorato, si trova il Trono. Posto su un piano rialzato, è in legno intagliato, con braccioli a forma di leoni alati, dietro i quali si trovano figure di sirene. E’ dovuto ad esperti artigiani napoletani del primo ‘800.” (3)

Sala del Consiglio
“Si trova immediatamente dopo la Sala del Trono, nella zona dove il maggior impulso ai lavori fu voluto da Gioacchino Murat, nota come “Appartamento Nuovo”, è datata ‘800. Le dimensioni della Sala del Consiglio sono ben lontane da quelle maestose della Sala del Trono, ma le decorazioni sono ugualmente pregevoli. Vi lavorarono Agostino Fondi per gli ornati della volta e Giuseppe Cammarano che realizzò Pallade che premia le Arti e le Scienze per mezzo del Genio della Gloria. Il pavimento è a disegni geometrici. Alle pareti, quadri dell’inizio ‘800 dell’Accademia Napoletana che raffigurano Abramo che scaccia Agar e Ismaele alla presenza di Sara e Isacco, dovuto a Raffaele Postiglione, Zingara che predice a Felice Peretti l’ascesa al Pontificato, dovuto a Tommaso De Vivo, e Cornelia madre dei Gracchi di Francesco Oliva. Il Cammarano, ritenendo che gli ornati della volta non armonizzassero col suo dipinto, chiese allo stesso Fondi di rifarli. I busti in marmo sono quelli di Francesco I e di sua moglie Maria Isabella. L’arredo si compone, oltre che del  camino in marmo con intagli del Santangiolo, delle consolle in legno dorato, dei candelabri di bronzo a cinque lumi con la base in marmo, della specchiera, dei lampadari, di un tavolo neo-barocco di Raffaele Giovine con medaglioni in porcellana sul quale poggia una corbeille di Sèvres, di un vaso di bronzo dorato e cesellato con foglie di acanto e puttini alati.” (3)

Le retrostanze dell’Ottocento
“L’itinerario di visita prosegue con la mostra “Cose mai viste: musiche e svaghi a corte” allestita in occasione della riapertura al pubblico di un’ala museale, dopo i lavori di restauro che hanno interessato gli ambienti delle retrostanze del lato ‘800 dell’Appartamento storico. Tali ambienti furono completati nel secondo quarto dell’800 ed erano in collegamento con le stanze destinate allo svolgimento degli eventi ufficiali della vita di corte, svolgendo funzioni pratiche di supporto operativo per una corte, quale quella borbonica, che seguiva una rigida etichetta di matrice spagnola. Proprio a sottolineare una diversa destinazione d’uso di questi ambienti rispetto a quelli ufficiali – che si snodano paralleli dopo la sala del trono e che furono allestiti negli anni ’50 del ‘900 con la mobilia e gli arredi dell’epoca di Francesco I di Borbone e di epoca Murattiana provenienti dalla Reale Villa di Portici – si è scelto di proporre un allestimento museale che testimoni da un lato l’interesse della corte borbonica per la musica e per gli strumenti meccanici di elevata precisione e dall’altro il perpetuarsi di una produzione di modellini lignei, che ha origine nei modelli architettonici del Palazzo fatti eseguire dal Vanvitelli a metà ‘700, e si perpetua con i modelli lignei di giochi e di giostre destinate al Parco della Villa Favorita di Resina.” (4)

Sala della portantina di Pio IX

“La Sala, di piccole dimensioni, ospita la Portantina che fu utilizzata dal pontefice Pio IX nel periodo della Repubblica Romana del 1848-49, quando fu ospite dei regnanti napoletani a Gaeta.
Sulla parete di destra una Veduta di Gaeta in occasione della benedizione impartita da Pio IX, datata 1850, del pittore belga Franz Vervloet, stabilitosi a Napoli nel 1825.
Sulla parete sinistra due acquerelli su carta di Achille Vespa, Pio IX benedice il popolo napoletano nel 1849 e Pio IX dal balcone del Palazzo Reale di Napoli benedice le truppe nel 1849.
Tra i due acquerelli è il Ritratto di Pio IX del 1846, opera del pittore napoletano Tommaso De Vivo.” (4)

 

La Cappella di Pio IX

“Nell’ambiente di ridotte dimensioni, sulla destra è collocato un altare in marmo di Carrara, riferibile all’architetto Antonio Niccolini, della prima metà dell’Ottocento, mentre il rilievo sull’altare “Vergine e angeli” è di Gaetano Della Rocca della metà dell’Ottocento. Alle pareti i quadri sono copie di opere di carattere religioso di autori celebri.” (4)

La famiglia Murat – Ritratti della famiglia reale

Camera da letto di Gioacchino Murat
“L’arredo è in stile impero e proviene – unitamente a quello delle due successive Anticamere – dalla Reggia di Portici, dimora prediletta di Joachim Murat e Carolina Bonaparte, dismessa nel Novecento, il cui patrimonio è stato suddiviso tra le residenze reali di Caserta e di Napoli. Lo compongono due comò con fregi in bronzo dorato, due comodini, una commode con piano in mosaico pompeiano ed una serie di sedie, con motivo a ghirlanda in cui sono ricamate sia J che G, iniziali di Joachim Murat, dalle spalliere decorate con un motivo di lance incrociate. Il letto in mogano, disegnato dall’architetto francese Leconte, presenta una decorazione in bronzo dorato, quattro picche sostengono il baldacchino coronato, da cui discende un cortinaggio di raso avorio e blu frangiato.
Sullo scrittoio è un Orologio a piramide in stile impero, di manifattura viennese, dei primi dell’Ottocento.
Alle pareti il Ritratto di Giulia Clary e delle figlie Zenaide e Carlotta del pittore napoleonico Jean Baptiste Wicar e di fronte il Ritratto del Generale Massena dello stesso autore. Sulla commode un dipinto di Guillaume-Desirè Descamps datato 1810 Murat decora Giovanni Bausan sulla fregata Cerere.” (4)

 

Prima anticamera di Gioacchino Murat
“La volta della Sala è affrescata dal pittore Franz Hill con Telemaco riparato da Minerva dai dardi di Cupido. Alle pareti due quadri “a pendants” del pittore napoletano Salvatore Fergola, raffiguranti il Torneo cavalleresco davanti alla Reggia di Caserta, che ebbe luogo sotto Ferdinando II di Borbone nel 1846. Sulla destra l’opera del pittore Heinrich Schmidt La famiglia Murat in visita all’Albergo dei Poveri a Napoli.
L’arredo della Sala è costituito da due consoles in legno bianco e dorato con piano in marmo, Una Fioriera a tripode, con tre telamoni, del XIX secolo ed una commode in fior di mogano stile impero, con piano in marmo guarnito di bronzi dorati, sulla quale sono collocati due bronzetti raffiguranti una Caccia alla pernice ed una Caccia all’anatra realizzati da P. J. Meane tra il 1847 ed il 1850.” (4)

Seconda anticamera di Gioacchino Murat
“La volta della Sala è stata affrescata da Giuseppe Cammarano con il rimprovero di Ettore a Paride per il rapimento di Elena. Alle pareti il Ritratto di Madame Letizia Bonaparte, madre di Napoleone, di Pierre-Edmond Martin del 1810, il Ritratto del Ministro Saliceti di Guillaume-Desirè Descamps, il Ritratto di Giuseppe Bonaparte di Costanzo Angelini, copia dal Wicar, ed infine il Banchetto offerto ai legionari in Villa Reale da Gioacchino Murat di Gaetano Gigante, datato 1811.” (5)

 

Camera di Francesco II
“È la parte angolare del corpo di fabbrica e si presenta ricca in ogni elemento, a cominciare dal pavimento. Il nome le fu dato dal successore di Ferdinando II, salito al trono il 1859 e sovrano per un breve periodo (fino al 1860), ma la sua realizzazione risale agli anni del regno di Murat. La volta fu affrescata, con un effetto di arazzo su drappo retto da lance, da Giuseppe Cammarano con Il riposo di Teseo dopo la lotta col Minotauro. Il fregio sottostante è opera di Gaspare Mugnai (Putti che giocano con le armi) Gennaro Bisogni e Agostino Fondi. I quadri alle pareti sono di Raffaele Postiglione (Gesù guarisce l’indemoniato e Cristo che placa la tempesta) e di un ignoto (Francesco II e Maria Sofia). L’arredo si compone dei mobili (di stile impero) in mogano e con applicazioni di bronzo dorato. Il letto, a baldacchino, ha la doppia testata affiancata da leoni alati e culmina con le teste di Pallade, Marte e di un Genio alato in doppia configurazione: una fa segno di tacere, mentre l’altra riposa. Di fianco al letto ci sono due comodini a pilastro, il cui disegno richiama quello dei due cassettoni che si trovano nella medesima Sala. Davanti al letto si trova un tavolo rotondo con base triangolare sulla quale poggiano sfingi alate dorate. A destra ci sono la scrivania (in legno rosa intarsiato e copertura a calatoia) ed una poltrona in mogano finemente lavorato. Poltrone, consolle e specchiera sono di artigiani napoletani. Infine, c’è la credenza: di ispirazione francese ma realizzata a Napoli, ha gli sportelli rivestiti di seta gialla e ai lati le colonne di bronzi dorati.” (3)

Anticamera della stanza da letto di Francesco II
“La volta del soffitto è dipinta con un “trompe-l’oeil” raffigurante un Baccanale” del pittore Franz Hill. Alle pareti sono esposti alcuni ritratti di Francesco I e due tele del pittore Carlo de Falco, raffiguranti “Francesco I di Borbone” e la regina “Maria Isabella, Infanta di Spagna”. Si segnala una console – opera del Reale Laboratorio delle Pietre Dure istituito da Carlo di Borbone a Napoli – raffigurante, su fondo di pietra paragone, elementi floreali e un vezzo di perle, di cui esiste nelle Collezioni reali il disegno preparatorio, opera di Gennaro Cappella. Da qui, riattraversando la Sala del Trono e le due Anticamere di Astrea e di Marte, si accede all’Appartamento storico settecentesco.” (4)

 

Appartamento Settecentesco

Sala della Primavera
“Per prima si incontra la sala della primavera, che in origine era la sala dove dava udienza il re, la cui volta è decorata da festoni di fiori e putti ridenti dipinti da Antonio De Dominicis. L’idillio festoso continua nelle sovrapporte dedicate alla Musica e alla Poesia. Le scelte iconografiche erano probabilmente dettate dalla destinazione d’uso degli ambienti, si presume che la prima sala accogliesse gli ospiti più intimi del re e della regina, che venivano deliziati dal canto, dalla musica e dalla poesia. I dipinti alle pareti sono opera di Jacob Philipp Hackert (Prenzlau 1737 – San Pietro di Careggi 1807), artista di fama europea, catturato come molti altri pittori stranieri dalle bellezze paesaggistiche italiane: “Il cantiere di Castellammare con le sue galeotte” del 1782, “La baia di Napoli presa da S. Lucia con il ritorno della squadra da Algeri” del 1784 e “Il cantiere di Castellammare nel momento che si varava il vascello Partenope”, datato 17 agosto 1786 e “La veduta del Porto di Napoli con Castel Sant’Elmo” del 1790. Sulla destra, sulla console, “Il porto e Badia di Gaeta”, sulla parete di fondo “La veduta di Forio d’Ischia”. Sulle sei consolles sono posti dei vasi di porcellana bianca a motivi floreali di gusto roccocò e porcellane dorate di manifattura napoletana decorate a paesaggi. Le sovrapporte e i sovraspecchi sono allegoria delle Arti, dipinte da Giovan Battista Rossi. Il lampadario, modellato con fiori colorati, è in pasta di vetro di Murano.” (4)

Sala dell’Estate
“La volta della successiva Sala dell’Estate, raffigurante il mito di “Proserpina che durante l’Estate ritorna dal regno dei morti alla madre Cerere” venne realizzata alla fine degli anni settanta dal pittore Fedele Fischetti (1732 – 1792). Alle pareti i ritratti, eseguiti dal pittore austriaco Hickel, dei principini figli di Maria Teresa di Borbone, primogenita di Ferdinando IV e Maria Carolina, andata sposa all’imperatore d’Austria. L’arredo della sala comprende un tavolino da centro con piano in legno pietrificato, opera dello scienziato Gerolamo Segato , due angoliere e due consoles con ripiano in marmo di Mondragone.” (4)

Sala dell’Autunno
“La volta è affrescata con “L’incontro tra Bacco e Arianna”, con scene d’amore arcadico di Antonio de Dominicis, mentre le decorazioni di festoni e viticci sono di Giacomo Funaro. L’arredo è costituito da quattro specchiere intagliate e dorate dagli artigiani reali, che realizzarono i lambrì in legno e piombo e le tre consolles con piano in marmo di Vitulano, alternate alle consolles da una serie di sedici sedie “ferdinandee”. Sulle “consoles” delle pareti brevi sono esposti due vasi in porcellana con frutta e fiori in rilievo. Le nature morte alle pareti sono firmate dai maggiori artisti napoletani del Settecento specialisti in questo genere pittorico: Giacomo Nani, Tommaso Realfonso e Gaetano Lopez.” (4)

Sala dell’Inverno
“La volta è affrescata con il mito di “Borea che rapisce Orizia”, dipinta dal Fischetti con la collaborazione di Filippo Pascale. I dipinti alle pareti sono tutti opera del pittore Jacob Philipp Hackert, secondo la disposizione originale che si rintraccia negli inventari dell’epoca: sul fondo “Caccia al cinghiale di Ferdinando IV”, sulla sinistra “Caccia nel cratere degli Astroni” e di fronte “Caccia al cinghiale dal Ponte di Venafro”. Completano la decorazione pittorica della sala “Esercitazioni militari a Gaeta il 19 maggio 1787” e “Esercitazioni militari a Santa Maria della Piana”, nei pressi di Sessa Aurunca del 1794. L’arredo è costituito da una finitura di divani e sedie in legno bianco e oro, con una decorazione in stile pompeiano nello schienale, raffigurante una serie di putti impegnati in attività agresti. Al centro della sala si trova un tavolo circolare con il piano costituito da due “consoles” affrontate in pietre dure, opera del direttore del Laboratorio Reale di Pietre Dure di Napoli, Gaspare Mugnai.” (4)

Lo spazio dell’anima: l’Oratorio di Ferdinando II nell’appartamento storico

“Si propone per la prima volta l’apertura di uno spazio dedicato alla devozione privata dei Reali (non visitabile all’interno). Tale spazio, situato all’interno dell’Appartamento Storico, nell’ala Settecento, di ridotte dimensioni, mantiene ancora vivo il senso della profonda religiosità che ispirava la vita dei sovrani borbonici. La fruizione di questo spazio consente di mettere in relazione lo stesso con altri due ambienti dedicati alla devozione privata situati all’interno dell’Appartamento: la Cappella dell’Addolorata e la Cappella di Pio IX.” (4)

Gabinetto ricco di Sua Maestà o Galleria di Sua Maestà

“Le pareti sono impreziosite da gouaches volute dal re, che incaricò Hackert di dipingere le località a lui più care, da tenere sempre in vista nel suo studio: “Mietitura a San Leucio”, “Il casino di caccia a Persano”, “Il traghetto sul Sele”, “Il giardino all’inglese della Reggia di Caserta”, “A la Cava” (ossia Cava de’ Tirreni), “Ischia”, “Capri”, tutte datate 1782, e ancora una “Veduta di Persano” del 1792. La volta dello studio è decorato da Gaetano Magri, con figure a monocromo, mentre le sovrapporte con divinità sono opere di Carlo Beccalli.

Dietro la parete dello specchio fu realizzato, per non disturbare il re durante le ore di lavoro, un corridoio che conduceva dal fumoir alla stanza che segue immediatamente lo studio.” (4)


Anticamera alla stanza da letto di Ferdinando II
“La volta della Sala è affrescata da Filippo Pascale con decori alla pompeiana. Di notevole pregio la carta da parati, di provenienza francese, dipinta e lumeggiata in oro.
Tra gli arredi spicca un orologio a pendolo a forma di tempietto, di fabbricazione francese, della prima metà del XIX secolo.” (4)

Camera da letto di Ferdinando IV

“Prima di accedere alla Camera da letto troviamo la Stanza del Consiglio con la volta decorata alla “pompeiana” da Filippo Pascale. Di notevole pregio la carta da parati di provenienza francese, dipinta e lumeggiata in oro. Da qui si accede alla Camera da letto di Ferdinando IV.” (4)

“Si tratta di un ambiente comunemente identificato come il luogo in cui morì il re (22 maggio 1859) di ritorno dalle terre pugliesi dove aveva accompagnato il figlio Francesco II a ricevere la futura sposa Maria Sofia di Baviera. Sulla parete lunga un dipinto di Pompeo Batoni, raffigura l'”Allegoria per la morte di due figli di Ferdinando IV di Borbone”. La volta, probabilmente fu ridipinta alla fine dell’Ottocento. L’arredo è costituito da un letto en bateau stile impero, una scrivania a cilindro, due cassettoni in mogano e un tavolino ottocentesco di fabbricazione napoletana.” (4)


Gabinetto degli stucchi

“Dalle pareti a specchi e stucchi con festoni bianchi e dorati, è ammobiliata con poltrone bianche e oro à la duchesse, intagliate da Gennaro Fiore come le consoles angolari. Nella stanza, sospeso davanti al vano finestra, vi è un raro orologio costituito da una gabbia dorata con all’interno – in origine – un uccellino in pietre dure, la cui base quadrangolare è il quadrante. Gli esemplari sono due, l’altro si trova nella stanza da lavoro della regina, entrambi dono della Regina di Francia Maria Antonietta alla Regina di Napoli, sua sorella, Maria Carolina.” (4)

Gabinetto della Regina Maria Carolina

“Dalla piccola Sala degli Specchi si accede tramite due porticine, nel Gabinetto per uso del Bagno e nella saletta adiacente a uso del Ristretto (non visitabili), con leggiadre decorazioni di gusto “rocaille”: festoni dorati di fiori e frutta ad incorniciare le specchiere ed i dipinti del pittore Fedele Fischetti raffiguranti “Le tre Grazie” e la “Nascita di Venere”. La vasca da bagno è costituita da un’urna classica in marmo bianco di Carrara con interno in rame dorato, ed è opera dello scultore Gaetano Salomone. Un piccolo spazio chiuso adiacente, accoglie il bidet in legno foderato di rame (a tal proposito circola una piccola curiosità: si dice che fu uno dei primi bidet in Italia e che i funzionari sabaudi, incaricati di fare l’inventario, catalogarono come “bacili a forma di chitarra di uso sconosciuto” ndr).” (4)

La Biblioteca Palatina 

Prima sala di Lettura
“La visita prosegue con le due Sale di lettura che fanno da anticamera alle tre Sale della Biblioteca Palatina voluta dalla regina Maria Carolina d’Asburgo.

Nella prima Sala di lettura sono esposte due allegorie, “L’autunno” e “L’Estate” attribuite al pittore tedesco Fugger ed una “Veduta del Giardino Inglese” del 1798, opera del pittore Luigi Gentile.” (4)

Seconda Sala di Lettura

“Nella Seconda Sala di Lettura sono state ricollocate le opere del pittore napoletano Luca Giordano: “Il ratto delle Sabine” ed “Apollo e Marsia”, mentre sulle pareti affrontate sono le Quattro parti della Terra “Europa”, “Asia”, “Africa” ed “America” di scuola giordanesca.” (4)

Le tre Sale della Biblioteca Palatina

Sala Ellittica
“Dalla Terza Sala della Biblioteca si entra nella Sala Ellittica, ampio ambiente privo di decorazioni, con originali soluzioni architettoniche nella volta, elaborate per valorizzare l’acustica della sala destinata originariamente a teatrino domestico, per la vita quotidiana della corte. Attualmente ospita il Presepe borbonico.

La tradizione presepiale a Napoli è una grande e antica consuetudine, alimentata in maniera particolare dai sovrani borbonici, a cominciare da Carlo di Borbone fino al collezionista Francesco I cui si attribuisce una vera e propria passione per le figurine presepiali. L’attuale presepe reale, riallestito negli anni Ottanta, si ispira proprio all’ultimo presepe ottocentesco che aveva l’intento di rappresentare episodi di vita quotidiana tratti da scene di vita contadina e da quel palcoscenico cosmopolita che è la Napoli dell’ultimo Settecento.” (4)

Sala dei Borbone di Napoli, di Spagna e di Francia
“La Sala ospita una importante serie di ritratti di reali appartenenti alla dinastia dei Borbone – regnante in Europa nel Settecento e nell’Ottocento – sottolineando le relazioni esistenti tra la Casa reale borbonica di Napoli e quelle di Spagna e di Francia nonchè i rapporti con l’arciduchessa d’Austria e regina di Ungheria e Boemia – Maria Teresa, regnante dal 1740 al 1780 – madre della regina di Napoli, Maria Carolina e di quella di Francia, Maria Antonietta.

Le grandi tele “a pendant” iniziando da sinistra sono i ritratti di “Carlo IV di Spagna” e della regina “Maria Luisa di Borbone – Parma”, datati 1819, del pittore spagnolo Carlos Espinosa, attivo fra gli anni ottanta del Settecento, ed i primi decenni dell’Ottocento. A seguire, sulla parete lunga, i ritratti di “Maria Isabella di Borbone, Infanta di Spagna” – divenuta nel 1801 moglie del cugino Francesco, duca di Calabria – e di “Francesco I di Borbone” – re delle Due Sicilie durante il quinquennio 1825 – 1830. Entrambe le tele sono opera del pittore belga Pieter van Hanselaere (1786 – 1862).

Seguono le due tele: “Ferdinando IV di Borbone” del pittore Leonardo Guzzardi – attivo agli inizi dell’Ottocento – e “Maria Carolina d’Austria” – opera attribuita al pittore Filippo Marsigli (1790 – 1863) – in cui la regina di Napoli e di Sicilia è sontuosamente ritratta, ingioiellata da una parure dal gusto archeologico in ametiste, zaffiri e brillanti.

Sulla parete di destra un “Ritratto di Maria Teresa d’Austria” del pittore Joseph Hickel, databile al 1762 ed una replica del “ritratto di Luigi XV” re di Francia dal 1715 al 1774 del pittore Louis – Michel van Loo (1707 – 1771), presente anche nelle collezioni del Castello di Versailles. A conclusione dell’allestimento un intenso ritratto a mezzo busto d’autore ignoto che ritrae “Ferdinando IV di Borbone”.” (4)

Luigi XV di Borbone – Re di Francia

 

A questo link  le nostre foto del magnifico parco della Reggia
http://wp.me/p3LuG2-1ds

Ringraziamenti:

a Katiuscia Di Rocco – Direttrice della Biblioteca Arcivescovile A. De Leo e al Dott. Francesco Maggiore

Bibliografia e sitigrafia:

Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica.”

1) Estratto da http://www.casertaweb.com/reggia-caserta.asp
2) Dichiarazione dei disegni del Reale Palazzo di Caserta alle Sacre Reali Maestà di Carlo e di Maria Amalia di Sassonia – In Napoli 1756 nella Regia Stamperia

3) Estratto da http://www.casertaweb.com/appartamenti-reali.asp

4) http://cir.campania.beniculturali.it/reggiadicaserta/

5) http://www.culturaitalia.it/opencms/museid/viewItem.jsp?language=it&id=oai%3Aculturaitalia.it%3Amuseiditalia-work_35591

7 commenti

  1. Di sicuro, il più bel sito relativo alla Reggia di Caserta che ho visto finora. Certamente migliorabile, con più notizie relative ai vari ambienti. Per es. per un curioso quale sono io, mi sarebbe piaciuto conoscere, cosa rappresenta la scena raffrigurata nell’affresco dell’ovale centrale dello scalone e cosa rappresentano i quattro tondi che lo circondano. Ma va benone lo stesso così. Complimenti. Non fateci caso, io sono un m,aniaco dei particolari. Buon lavoro.

    1. Grazie. Non sono di Caserta altrimenti avrei potuto dedicarmi di più e meglio. Pensi che ho scritto e illustrato finora 364 articoli di cui il 90 per cento circa dedicati alla mia città e il rimanente 10 per cento è costituito dai viaggi fatti con mia moglie. Molto visitati dai ragazzi delle scuole sono gli articoli sui musei londinesi e francesi. In ogni caso, se le interessa, potrebbe vedere anche “Belvedere di S. Leucio” e “Casertavecchia” collegati a quella gita. Buona giornata

    2. L’affresco nella volta ellittica rappresenta La Reggia di Apollo,nei tondi invece sono rappresentate le quattro stagioni. Sotto la volta,infatti, vi è uno spazio riservato ai musicisti che dovevano accompagnare il re, mentre saliva le scale, in ogni tempo.

      1. Grazie

    3. La signora Chiara nella giornata di ieri 22 febbraio ci ha fatto sapere quanto segue: “L’affresco nella volta ellittica rappresenta La Reggia di Apollo,nei tondi invece sono rappresentate le quattro stagioni. Sotto la volta,infatti, vi è uno spazio riservato ai musicisti che dovevano accompagnare il re, mentre saliva le scale, in ogni tempo.”

      1. Comunicato via email al sig. R. Mobili

  2. La signora Chiara nella giornata di ieri 22 febbraio ci ha fatto sapere quanto segue: “L’affresco nella volta ellittica rappresenta La Reggia di Apollo,nei tondi invece sono rappresentate le quattro stagioni. Sotto la volta,infatti, vi è uno spazio riservato ai musicisti che dovevano accompagnare il re, mentre saliva le scale, in ogni tempo.”

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