Chiesa Madonna della Grazia – Mesagne (Br)

Accompagniamo le foto di Brundarte al testo gentilmente messoci a disposizione da Tranquillino Cavallo dell’Istituto storia e territorio di Mesagne.

La Chiesa si trova sull’attuale Strada Provinciale che collega Mesagne a S. Pietro Vernotico, a quattro Km. circa dall’abitato di Mesagne in Contrada Madonna delle Grazie. C’è da ritenere che questa contrada viene citata nei documenti antichi sia col nome di Grazia, sia col nome di S. Maria della Grazia.

Stando a quello che asserisce Giovanni Antonucci questa Contrada, anticamente, era denominata col toponimo “Lama della Grazia”.

Questo particolare molto importante – il fatto cioè che si tratti di una Lama (depressione del terreno in cui defluiscono le acque siano esse piovane siano esse sorgive) – ci consente di affermare che ci troviamo di fronte ad una zona carsica, ricca certamente di grotte, da sempre abitata (cfr. i rinvenimenti delle tracce messapiche e romane) e che certamente nel periodo compreso tra il V e il VII sec. ha consentito ai sopravvissuti della guerra Gotica di trovare riparo. Con essi la zona torna a rivivere.

Altro elemento che ci garantisce la carsicità del terreno è rappresentato dal fatto che esiste, a tutt’oggi, l’accesso ad una grotta, da noi chiamata “Vora” (dall’aggettivo “Vorace”, in quanto capace di inghiottire tutte le acque che verso di lei vanno a concentrarsi). Le “Vore” sono aperture naturali del terreno di grandi grotte sotterranee. Il fatto, quindi, che si trattasse di una zona abbastanza depressa e ricca certamente di grotte “sub divo” (*) ci consente di affermare che fu senza dubbio abitata dai primi uomini che sono apparsi nelle nostre zone e mantenuta viva nei secoli, con molta probabilità, proprio per la ricchezza di acqua, elemento indispensabile per la vita dell’uomo e per talune sue attività, in particolare la lavorazione del lino, per la quale la nostra zona è storicamente famosa.

Le notizie che si ricavano dallo Scoditti riguardo tutta questa vicenda sono poche e molto frammentarie. Ci dice, infatti, che il toponimo “La Grazia” trae le sue origini da un antico insediamento, precedente all’attuale, ricordato da tempo immemorabile. Il nostro asserisce di aver appreso tali notizie da un manoscritto, consultato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, poi smarrito, che attribuisce al Mannarino, nel quale, insiste, è scritto che il luogo della Madonna della Grazia “…un tempo famosissimo e miracoloso” frequentato continuamente da devoti e “…con nuovo e ricco fabbrico” fatto costruire da Angelo Pilato. Sempre dallo Scoditti, che riprende Serafino Profilo, apprendiamo: “Il beneficio cioè l’appannaggio, la rendita della Chiesa della Grazia, sarebbe stato istituito nel 1486 (XV sec.) da Angelo Pilato”.

Esterno della chiesa

Altare ricavato all’interno di un gigantesco olivo

Veduta laterale

Veduta della facciata XV° secolo

Portale del XV° secolo

Il dipinto nella lunetta è stato realizzato da Raffaele Murra nel 1993

Sempre Scoditti riferisce che l’attuale, e antica chiesetta, è senza dubbio quella fatta costruire, sul finire del quattrocento, da Angelo Pilato. Prosegue, facendo riferimento allo scritto del Mannarino, che questa chiesetta, “sub divo”, era stata costruita su una più vecchia. Le prove di questa asserzione le riconduce al fatto che nei primi decenni di questo secolo, il nuovo proprietario, Domenico Semeraro, ritrovò un pavimento, sotto quello allora esistente, nell’atto di farne il nuovo con un rialzo; ricoperto a sua volta col pavimento attualmente visibile. Le conclusioni, a questo punto, sono che nella chiesa attuale ci sono quattro diversi strati di pavimento: l’attuale; quello del Semeraro; quello scoperto dal Semeraro che decise di ricoprire; e il pavimento preesistente. Il fatto poi che alla fine del cinquecento la località fosse molto famosa e continuamente frequentata da devoti ci garantisce che questo luogo, vuoi per qualche miracolo avvenuto, oppure per una tradizione ben conservata nei secoli, fosse ben conosciuto dai mesagnesi che continuavano e continuano una tradizione dalle origini incerte, quella della “pascaredda” celebrata il martedì dopo Pasqua. Se ci soffermiamo a riflettere su tutti questi particolari e sul fatto che la Chiesa si trova sulla antica via che da Napoli portava a Lecce, sulla cosiddetta “Strada di Puglia” non possiamo fare a meno di affermare che si tratta di un sito rupestre molto più antico di quello fin ad oggi supposto.

Pur se oggi non vi sono tracce visibili di questo insediamento, questo non significa che esso non sia mai esistito in quanto, per onestà intellettuale, bisognerebbe fare delle ispezioni adeguate nelle vicinanze della chiesa in maniera da riesumare il sepolto dalle sedimentazioni storiche e dalle modifiche subite dalla stessa zona. Non va, inoltre, dimenticato che non avrebbe nessun senso avere un insediamento religioso se non vi fossero fedeli che lo frequentano. Un insediamento è vivo per i suoi abitanti. Leggiamo dallo Scoditti:

“Nel tratto Mesagne – Cellino S. Marco, l’antica Strada di Puglia coincideva con le due odierne vie secondarie che, una in continuazione dell’altra, portano direttamente da Mesagne a Cellino, passando per le contrade Madonna della Grazia, Specchia ed Uggio. Ciò si deduce anche dal seguente fatto: a qualche miglio di distanza da Mesagne (la città vecchia, non la nuova) vi è, sulla via che da Mesagne porta alla contrada Madonna della Grazia, una contrada denominata Petra ti lu Migghiu (Pietra del Miglio). Ora, tale toponimo, esistente già nella seconda metà del XVI secolo, come risulta dal Catasto di Mesagne dell’anno 1590, ci attesta in modo sicuro che, sulla via in oggetto, vi erano una volta, le pietre miliari; e se vi erano le pietre miliari vuol dire che essa era una strada di grande importanza; e questa strada, dato il suo percorso, non poteva essere altro che l’antica “Strada di Puglia”.

Leggiamo dal PRATILLI F. M.:

“Da Messagna menava dirittamente l’Appia a Brindisi, e benché per quel tratto di miglia sette in circa non riconosca, che qualche vestigio dell’antica selciata, vedesi non di meno in molti luoghi la solita ghiaia: e così stimo che fusse stata ancora né tempi della repubblica, dapoicchè per que’ luoghi non vi ha troppe vestigia di sparse felci: se pur queste non siano, o né vicini campi sotterrate, o altrove per abbellire le convicine terre, e castelli trasferite. Di antiche fabbriche altresì non vi si vede cosa di ragguardevole, né tampoco di antiche inscrizioni, a riserba di un frammento di rustico marmo in cui poco lontano da Brindisi sulla strada regia, che cola mena, poc’oltra del torrente, che chiamano volgarmente Masina, pericoloso a guadarsi nell’inverno”.

Che questo sito sia da sempre stato abitato lo dimostra anche il fatto che nella pubblicazione: “Repertorio dei Beni Culturali Archeologici della Provincia di Brindisi” viene affermato (S 6 p. 103): “Madonna delle Grazie – Presso l’antica chiesa, rinvenimenti di iscrizioni messapiche e di una iscrizione latina su lastra marmorea; rinvenimento di un sepolcro in laterizio”, confermando l’affermazione precedente del Pratilli. Un altro prezioso aiuto ce lo fornisce anche il nostro concittadino AGOSTINO CAMPI che in occasione di una denuncia scrive:

“Al Sig, P. Eletto dal Comune di Mesagne Agostino Campi del fu Marco del Comune di Mesagne nella stessa domiciliato la fa conoscere, come possedendo un podere vicinato alla Grazia, e per giungere in detto podere si passa per una strada carrozzabile difesa dall’uno e dall’altro lato da siepi, strada poco carrozzabile antichissima, che conduceva da Mesagne a Brindisi. Un certo Vincenzo Manigrasso marito di Maddalena Pacciolla ha avuto la temerarietà di devastare la siepe con qualche dippiù di terreno della detta strada in guisa che collà scatena, che ivi fece lasciò un vuoto per non passarci più traini, altrimenti volendo rovescerebbero dentro il fondo di esso Pacciolla di cui n’è la padrona; dippiù la detta Pacciolla tiene un albero di fico col tronco piegato sulla detta strada, che colli suoi rami impedisce il passaggio, e sì per l’una, come per l’altra causa lo prega il supplicante dare le analoghe disposizioni all’oggetto e condannare i rei alle spese del giudizio e l’avrà a grazia.

Mesagne 7 ottobre 1829

Agostino Campi supplica come sopra.”

Interno della chiesa

Statua in cartapesta di Santa Maria delle Grazie, opera del XIX secolo, opera di Ferdinando Cellino

Alcova con resti di dipinti a muro probabilmente del XVII sec. epoca in cui la chiesa fu ingrandita

Part.

Part.

Part.

Part.

Quello però che sbalordisce sono i frammenti di affreschi venuti alla luce in questi giorni. I resti di affreschi si trovano nella zona più antica, sopravvissuta alle varie modifiche, ed alterata al suo interno e all’esterno sia a livello strutturale che architettonico. Gli elementi sopravvissuti ci dicono che la facciata dell’antica chiesetta (che si trova inglobata alle spalle della chiesa attuale) era a capanna (IX sec.). La porta è aperta a Sud e sull’architrave si trova un elemento caratteristico delle costruzioni classiche greche. Si tratta di una trave in pietra finemente lavorata che come elemento decorativo si trova, sia in Albania che in Grecia, sulle chiese costruite tra il IX e X sec. Il suo interno è particolarmente umido (a causa dell’acqua che continua a defluire nel sottosuolo) e le sue pareti sono coperte da un intonaco, non molto antico, rifatto per dare uniformità alla stanza sostanzialmente modificata. Dai piccoli sondaggi effettuati ci si accorge che la dinamicità dell’ambiente è stato notevolmente modificato nei vari interventi effettuati sulla struttura ricoprendo e danneggiando, se non proprio in certi casi distruggendo, i magnifici affreschi in essa contenuti. Di squisita fattura e di ineccepibile bellezza questi affreschi sono stati eseguiti certamente dalla famosa scuola di affreschi salentina molto nota nel periodo dell’Impero costantinopolitano, nell’ambito del quale ha operato per svariati secoli. Gli affreschi, dovrebbero risalire ad un periodo compreso fra il IX e l’XI sec. questo sia per la tipologia dell’immagine e delle cornici, sia per i colori usati, caratteristici di quel periodo.

Si tratta di due diversi Santi racchiusi in due diverse cornici che andavano a collocarsi all’interno di una logica propria della iconografia bizantina dove oltre alla “Dèesis”, pitturata al di sopra della zona celebrativa (alle spalle dell’altare), venivano poi collocati a diversi livelli varie raffigurazioni di Santi e ripetuta, due o tre volte, l’immagine del Santo a cui era dedicata la cappella o chiesa. Altre tracce di affresco si trovano sulla parete sinistra, entrando, e sono pitturati su di un muro in apparenza piano, che privato dell’intonaco e dal riempimento per rendere piana la parete, si incurva all’interno quasi a voler dare vita ad una piccola abside che potrebbe tranquillamente essere elemento decorativo dell’originaria costruzione senza alcun dubbio di rifacimento ad opera di monaci basiliani molto numerosi, come ho già avuto modo di scrivere, in quel periodo storico. Sotto la struttura vi è la costruzione di una cisterna per conservare le acque piovane utilizzata certamente, nella modifica definitiva, da coloro che vi abitarono. Questa cisterna ha tutta l’apparenza di una antica grotta modificata, in un secondo tempo con fabbrico, per ottenere l’attuale struttura. Lasciando ora la parte vecchia e spostandoci sulla parte nuova, appare immediatamente che questa è costruita in stile bizantino con inquinamenti barocchi. Le finestre sono in stile romanico, esisteva un rosone, chiuso, sulla facciata, anche questa a capanna. Si ha la sensazione che, chi ha fatto costruire la chiesa attuale, abbia voluto conservare elementi architettonici preesistenti quasi a volere che l’antico non cadesse nel totale oblio.

La chiesa è stata costruita ad una navata a pianta basilicale interrotta dall’elemento che definisce il presbiterio (zona sacra) quasi a voler ricordare l’elemento dell’iconostasi proprio delle chiese bizantine. L’interno dell’attuale chiesa è arido ha solo dei tentativi di dinamicità architettonica rappresentati da alcove costruite ai due lati ed un altare di recente fattura con aride squadrature e completamente privo, stranamente, di elementi barocchi in auge nell’epoca della sua costruzione. Al suo interno, sul lato sinistro, è presente, in una teca di legno chiusa da vetri, la statua della Madonna che allatta: rilettura teologica dell’antica divinità pagana della fertilità che rinforza la mia tesi da sempre sostenuta riguardo il fatto che la località è stata meta di pellegrinaggio, fin dai tempi dei Messapi. Un altro importante elemento che riguarda questa Madonna è che essa appartiene alla cultura costantinopolitana e non a quella della chiesa romana. La Madonna che allatta il Bambino è stata oggetto di grande devozione in tutto il Meridione d’Italia invocata come “Vergine protettrice della Città” fin dal XIV sec., questo stando alle fonti in nostro possesso. Questa immagine era, comunque, da molto prima del XIV secolo, diffusa in tutta l’area del litorale Adriatico ed è una delle madonne più antiche venerate in Puglia. L’immagine ripropone, come ho detto sopra, in probabili connessioni con istanze devozionali da ricercare nella cultura più arcaica delle nostre popolazioni, in particolar modo, quelle rurali, tutte le memorie che ad essa possono essere ricollocate e che da essa scaturiscono.

Resta un mistero la sua presenza in questa chiesa, o probabilmente, è naturale se vogliamo immaginare che la chiesa più antica era dedicata proprio al culto di questa Madonna. Resta comunque il fatto che questo luogo sacro è da sempre meta di pellegrinaggio della nostra gente. Se ci fermiamo, infatti, a riflettere possiamo facilmente capire che il Martedì dopo la Pasqua non ha alcuna attinenza con le feste della chiesa cattolica ma ha delle affinità col mondo pagano sia esso messapico sia esso romano: con la festa mobile dell’inizio dell’anno e le “rogationes” per i raccolti, e con le feste ebraiche che festeggiano in questo periodo il mese di Nissan cioè dell’inizio dell’anno (anche questo mobile) e della primavera, la risurrezione della terra che torna a ricoprirsi di fiori e frutti. Non trascuriamo poi che nelle nostre tradizioni contadine le Rogazioni: processioni per ottenere da Dio benedizioni per la fecondità dei campi, anche se in modo più attenuato rispetto a prima, sono ancora oggi comuni in alcune località del nostro Salento. E non tralasciamo l’altro importantissimo elemento: l’orientalità della nostra Terra Salentina legata al cordone ombelicale fin dai tempi antichi alle genti che l’hanno abitata, alla cultura illirico-messapica prima e costantinopolitana poi con la divisione dell’Impero romano in Impero d’Occidente e Impero d’Oriente nel quale noi eravamo collocati. Solo la colonizzazione forzata e quindi l’imposizione della “cultura cattolica europoea” ha modificato l’assetto culturale della nostra terra costringendo la popolazione ad esiliare in un oblio storico, che ancora oggi i più tentano di negare, leggendo forzatamente tutto all’ombra di una Roma Imperiale che malgrado abbia posseduto queste terre non è mai riuscita, se non in parte, ad imporre ai suoi abitanti la sua cultura e la sua religione. Fino ad un passato recente le nostre più antiche tradizioni erano gelosamente conservate all’interno del privato famigliare quasi come un prezioso cimelio e fra queste, oltre ai riti intensi dedicati ai defunti, vi erano le Rogazioni, atti penitenziali che chiedevano a Dio, durante le processioni, copiosi raccolti. Questa è La Madonna della Grazia, una sovrapposizione di popoli, culture, religioni che il miracolo della vita e la determinazione di un popolo hanno voluto mantenere viva; era ed è meta, a titolo diverso, di uomini vivi che in armonia col passato e garanti di una memoria atavica conservano inconsciamente e gelosamente il luogo come reliquia di una realtà antichissima che ancora oggi ci appartiene.

Per concludere, oltre a ringraziare la famiglia di Salvatore Vitrugno per l’aiuto offertomi, Antonio Pasimeni per il materiale di ricerca e le foto e Marcello Ignogne per il materiale di ricerca, voglio anche indicare un altro elemento che apre nuove possibilità di ricerca: la presenza del simbolo dell’Ordine dei Gesuiti posto sulla parte estrema del piccolo campanile. Non so a quale titolo e perché questo simbolo sia presente in questo luogo. Sarà, forse, la chiesa stata ingrandita per fungere anche da stazione di sosta per i Padri dell’Ordine dei Gesuiti che si recavano verso Lecce o viceversa verso Napoli o Roma? Oppure è una semplice congettura dovuta a uno dei vari padroni del sito che aveva qualche simpatia per quest’Ordine Religioso? Notiamo il particolare dello stemma: Il sole con all’interno scritto il monogramma cristiano IHS. O si tratta forse della volontà di uno di questi Padri, notoriamente ricchi, originario dei nostri luoghi, che ha voluto far edificare, qualcosa in un piccolo Santuario alla Vergine Maria? Tutte possibilità da verificare in un futuro prossimo, documenti permettendo.

Antico portale sul retro della chiesa Madonna della Grazia

Tetto a capanna e architrave di origine bizantina

Campanile a vela con il simbolo dell’Ordine dei Gesuiti

Monofora

Particolare curioso dell’acquasantiera posta all’esterno della chiesa, con un buco forse per legare i cavalli

Porta di comunicazione tra la nuova chiesa e quella più antica

Serie di affreschi

tracce di pittura traspaiono sotto l’intonaco

una serie di formelle di terracotta a rappresentare la Via Crucis

Pubblico, comunque, come appendice, l’atto di donazione redatto dal Notar Carmine Magno, datato 7 Gennaio 1769, della famiglia Pilato a Nicola Rampino:

“Donatio juris eligendi Cappellanum

in Beneficium de familia Pilato

sub titulo Sancte Marie Gratiarum

pro prima vocatione tantum

– ad favorem Nicolai Rampino –

Die Septima Mensis Januaris, Secundae indictionis, Millesimi Septingentesimi Sexsagesimi Noni. In terra Messapie – Nos Marcus Vitus Capodiece da Messapia degius ad vitam ad contractus Index: Carmelus Magno de dicta Messapia Publius, a Deg. authoritate Notarius; Tepes que B. Angelus Rosato, Nicolaus Profilo di Pietro, et Donatus delle Grottaglie omnes de dicta Messapia viri licterati. Nella presenza nostra costituiti Gaetano, Marcello, Pietro, e Benedetto Tofana fratelli utringue confinanti noi con Rocco Tomaso, Vincenzo, e Vittoria Pressa fratelli, e sorella respettivamente, e la vedova Angiola Pressa di Mesagne; li quali rispettivamente agono, ed intervengono alle cose infratte per essi stessi, e ciascuno di essi respettivamente, loro eredi, e successori; ed a maggior zelo detta Vittoria interviene alle cose infratte coll’espresso consenso presenza, ed autorità di Carmine Pignatelli di Mesagne suo marito presente, ed il suo consenso con giuramento prestante; ed essa Angela interviene alle cose infratte coll’espresso consenso, presenza, ed autorità del indetto Giudice a contratti Mundualto per essa eletto presente, ed il suo consenso prestante da una parte – e Mastro Nicola Rampino di detta Mesagne il quale similmente agge, ed intenzione alle cose instatte per esso stesso rispettivamente, spontaneamente asseriscono in presenza nostra e di D. Rampino presente – essi rispettivamente, avere, tenere e possedere come veri Signori, e padroni elius di eligere, nominare, e presentare il Cappellano, o sia il Rettore nel Beneficio, o più beneficii ridotti in uno de jure patronatus Laicorum da familia Pilato, sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie, che al presente di proprietà del Cl.o D. Antonio delle Grottaglie di detta Mesagne toties quoties dictum Beneneficium veni legatum liur vocare contingerit in p. et in futurum; Per essere cioè essi de Tofana figli, ed eredi della Sig. Elisabetta Pressa, figlia, ed erede della Sig. Anna Mauro, figlia ed erede siti in salubro novo ed terra, in loco volgo dicto la strada della Porta nuova- Juxsta notarius confines ubis et volnerunt – ad consilium sapientis – Unde -“

A cura dell’Istituto storia e territorio di Mesagne

(*)  a cielo aperto

Si ringraziano:

  • Tranquillino Cavallo (estensore dell’articolo), Domenico Stella, Franco Bianco e Mario Carlucci
  • Il gruppo Aerial Click

 

 

2 commenti

  1. Siete bravissimi complimenti.

    1. Grazie, gentilissimo come sempre.

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