Palazzo Catanzaro

Il Palazzo dei Catanzaro sorge in una traversa di via Lata nell’omonima via a loro intitolata. Si presenta imponente, inquadrato da quattro strade che si snodano intorno ad un cortile centrale,  mentre una grande terrazza con colonnine lavorate e balaustra in ferro provvede a ingentilirne la facciata.

L’anno di costruzione è incerto perchè l’impianto delle strutture inferiori lascerebbe supporre che risalga al 1600 ma, una data scritta in mosaico su una delle volte del primo piano, successivamente coperta da un intervento di ripristino dei locali, rimanda al 1745. Il corpo di fabbrica iniziale sarebbe stato ingrandito con successive acquisizioni fra le quali spicca quella intorno al 1820 della chiesa di Sant’Antonio Abate.

I Catanzaro si spostarono a Brindisi provenendo probabilmente dalla Calabria,  di nobile famiglia come l’arme araldica lascia supporre (una  torre con tre stelle sormontate da una corona a cinque punte, poggianti su due cornucopie) e qui fecero fortuna: troviamo infatti la famiglia inserita nel secondo ceto nello “Stato delle anime” del 1794-95 .


All’epoca le famiglie venivano distinte in Primo ceto ossia nobili patrizi per estrazione (con origine di antica nobiltà) di cui facevano parte i De Dominicis, i Laviano, i Leanza, i Montenegro, i Monticelli, i Ripa, i Perez, i Scolmafora e tanti altri; in Secondo ceto, ossia i “nobili viventi” (dottori in legge o in medicina) cui appartenevano appunto i Catanzaro insieme agli Armengol, Capodieci, Mugnozza, Santabarbara, Stea, Tantafilo, ecc. Poi c’era il Terzo ceto di quelli che “vivono nobilmente”: De Leo, Lubelli, Geofilo, Romano. Infine i “Galantuomini e civili” che raccoglieva tutto il resto della popolazione.

La famiglia rischiava di estinguersi con l’ultimo Oronzo in quanto i suoi due figli  morirono, e, per garantire la successione venne adottato Salvatore Scarano figlio di una nipote della moglie Chiarina Grassi di Martina Franca. Quest’ultimo dilapidò quasi tutta la fortuna ereditata nel tentativo di gestire un teatro, il Costanzi di Roma.

Il Palazzo è attualmente di proprietà degli eredi del Dott. Roberto Scarano-Catanzaro.

Vie adiacenti al Palazzo


Ritornando alla famiglia Catanzaro, essa annovera nella storia brindisina ben due sindaci, Oronzo nel 1740-1, 1747-8, 1755-6 e Pasquale nel 1754-5 e, nel 1800 possedeva non solo palazzo e circondario, ma molte altre zone in città e alcune masserie: Cerrito, Chimienti, Angelini, Spada e Restinco.

Nella famiglia tutti furono di orientamento antiborbonico e la raffigurazione nella chiesetta della Masseria a Restinco di Mazzini e Garibaldi nelle vesti di S. Pietro e S. Paolo (per approfondire clicca QUI), è la dimostrazione che probabilmente veniva usata come sede per le riunioni dei patrioti brindisini durante il periodo risorgimentale.

Non a caso, nella Cronaca dei Sindaci di Brindisi (1787-1860) il sottintendente Mastroserio in una nota del 7 novembre 1856 rilevava che Giacomo Catanzaro insieme ad altri “aveva relazioni frequenti coi legni che approdavano in quel porto”. Dal porto di Brindisi salpavano  infatti imbarcazioni clandestine di perseguitati politici e, soprattutto attraverso le navi in arrivo e in partenza si mantenevano i contatti con gli esuli in altri Stati. Racconta ancora la Cronaca:

“Si riunivano in un retrobottega di Vito Lisco venditore di liquori o nel caffè di Francesco Palmisano detto Cicciotto. A Brindisi gli approdi erano frequenti, la città era la chiave delle corrispondenze con gli emigrati di Francia e di Grecia.”

Chissà se non fu proprio quell’appartenenza a richiamare i briganti nell’ottobre del 1862; quando una ventina di loro si presentarono armati alla masseria Spada chiedendo che il giorno dopo gli venissero dati “una ventina di abiti in felpa o velluto”! Ma don Oronzo decise di non piegarsi alla richiesta e fece svuotare, per quanto possibile, la masseria. Quando si presentarono i briganti, grande fu la loro rabbia e al grido di “Viva Francesco II” e “Abbasso Vittorio Emanuele” furono distrutti vetri, finestre, porte. Al massaro fu consegnata una richiesta estorsiva di 1.000 ducati firmata dal sergente Romano di Gioia del Colle, capo di una delle bande che infestarono il brindisino fino al novembre del 1862. La sua causa aveva solo fini politici e il suo obiettivo principale era di liberare i detenuti del Bagno penale di Brindisi per dare il via con loro all’insurrezione del Sud in favore dei Borboni. Ma don Oronzo fu irremovibile e non pagò il riscatto!
Quando i briganti tornarono e capirono di essere rimasti a bocca asciutta, si dovettero accontentare di bruciare il padiglione, la pagliera ed altri luoghi.

Prospetti angolari

La Terrazza

Particolare della balaustra con lo stemma del casato, ancora presente nelle immagini de “I palazzi di Brindisi” di N. Cavalera, ma ormai scomparso a causa dell’erosione e del tempo passato:

La Facciata

L’atrio

Lo Scalone

La volta 

Lo stemma

 

Ringraziamenti:

all’amico Mario Carlucci per la collaborazione e alla gent.ma prof.ssa Luisa Torino che ci ha concesso di fotografare l’interno del Palazzo

Bibliografia:

Rosario Jurlaro, Cronaca dei Sindaci di Brindisi (1787-1860). Ed Amici della De Leo – Tip Romana, Capurso (Ba) 2001

Giacomo Carito, Brindisi Nuova Guida. Italgrafica Oria (Br) – 1993/4

N. Vacca, Brindisi ignorata. Vecchi e C. – Trani 1954

 

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