Cripta di San Giovanni in Cafaro – San Vito dei Normanni (Br)

Le cripte di S. Biagio (per approfondire http://wp.me/p8GemW-bl) e S. Giovanni nella campagna di San Vito dei Normanni meritano una considerazione: entrambe sono sistemate sul fianco di un piccolo piano roccioso, alla cui base il terreno si abbassa in una valle poco profonda, e sono circondate da un certo numero di grotte, in cui si ritrovano le tracce d’un insediamento monastico. L’una e l’altra cripta si potrebbe supporre servissero come centro e come cappella a una laura (insediamento monastico di dimensioni ridotte) eremitica che sembra essere stata assai importante a giudicare dalle dimensioni delle due grotte.

La cripta detta di San Giovanni, situata nella masseria Cafaro, misura 7,70 di lunghezza, 5,25 di larghezza e 2,30 di altezza, con un pilastro centrale su cui poggiano tre archi a tutto sesto, che divide l’ambiente in due navate con un’aula d’ingresso.

In fondo vi sono tre absidiole con tracce di altare addossate al muro in quella centrale. Sulla destra è tracciata una parete che delimita in parte il presbiterio.

 

La cripta è leggermente interrata e vi si accede scendendo tre gradini. Essa è di forma rettangolare e le pareti sono parzialmente decorate di pitture, quasi tutte con iscrizioni latine.

Sul muro laterale di destra è rappresentato San Giovanni Battista, in piedi tra la Madonna e il papa San Clemente. San Giovanni Battista è vestito in modo assai particolare: invece della pelle di animale da cui è di solito avvolto, qui porta una tunica rossa, su cui passa un fazzoletto bianco, legato da una fibbia davanti al petto. Il papa San Clemente, in abito pontificale, tiene in mano il pastorale e porta sul capo una mitra molto bassa, di forma assai rara e singolare; la Madonna, infine, designata dalle sigle latine MAT • DNI, regge fra le braccia il Cristo, il cui capo è cinto dell’aureola crocigera. Il gruppo apparentemente della fine del XIII secolo è perfettamente conservato dal punto di vista di un viaggiatore dell’800 ma, a noi sembra oggi fortemente deteriorato e bisognoso di urgente restauro.

Allo stesso periodo appartengono certamente le pitture dell’abside, anch’esse accompagnate da iscrizioni latine. Qui è rappresentata la Deesis (tema iconografico dell’arte bizantina con la figura del Cristo Giudice, accompagnata a destra dalla Madonna e a sinistra da San Giovanni Battista che intercedono per i peccatori al momento del Giudizio Universale) con il Cristo tra la Madonna e San Giovanni Battista. La testa del Salvatore, circondata dell’aureola crocigera, è lunga e mostra una certa durezza; la Madonna è molto simile a quella della parete laterale. San Giovanni Battista, invece, porta qui la pelle di animale tradizionale.

Una pittura di altissimo interesse si può osservare sulla parete laterale. Essa rappresenta un arcangelo dalle grandi ali spiegate, vestito d’una ricca tunica di porpora ricamata alle maniche e sulla quale passano e si incrociano i molteplici ripiegamenti d’una fascia d’oro. La mano sinistra regge un disco ornato d’una croce, ai cui angoli sono poste le sigle M- O e più in basso un’altra lettera, mentre la quarta lettera è scomparsa; la mano destra tiene una lunga asta. Nell’aureola piena che circonda il viso dell’arcangelo, sono poste alcune lettere. La testa, perfettamente conservata, è di grande interesse. Il naso affilato, la bocca sottile, i grandi occhi allungati, la capigliatura inanellata che accarezza la fronte, i lineamenti decisi e il bell’ovale del viso gli conferiscono una piena espressione di vita e di forza; i drappeggi che ricordano quelli dei personaggi consolari scolpiti sui dittici, assegnano alla pittura un’origine tutta bizantina. E’ una fra le opere più interessanti della scuola italo-bizantina. Non ha alcun rapporto con le altre pitture della grotta di San Giovanni.

In confronto alle opere dell’arte indigena, datate XIII e XIV secolo, essa si ispira ai ricordi e ai modelli greci; è il tipo degli arcangeli fissato nell’XI secolo dall’iconografia bizantina; e a questo titolo, la pittura dev’essere collocata con certezza a una data più antica rispetto agli altri affreschi della grotta di San Giovanni .

Questo è il disegno di H. Bousquet-Boze dello stesso Angelo presumibilmente senza i danni provocati dal tempo, quando è stato visto dai Viaggiatori francesi in Puglia nell’Ottocento (vedasi il punto 2 della bibliografia p. 431)

Non è un fatto raro nelle cappelle sotterranee della Terra d’Otranto. In molti punti, la decorazione di queste cripte è stata rinnovata da nuove pitture, sovrapposte agli affreschi primitivi. Così ancora oggi, in tutto l’Oriente, si rimettono periodicamente a nuovo con restauri di questo tipo le pitture sacre. È quindi normale trovare fianco a fianco sulle pareti di queste cappelle i resti della primitiva decorazione mescolati alle figure dell’epoca posteriore, e il confronto dei due elementi decorativi non è talvolta senza interesse. Se ne troverà un curioso esempio nella cripta di San Biagio (vedi link http://wp.me/p8GemW-bl).

Infine sulla parete posta di fronte all’abside vi è un affresco raffigurante San Rocco e la Vergine col Banbino, di epoca successiva. In basso, lungo la cornice, sotto la figura della Vergine, vi dovrebbe essere una invocazione scritta in arabo.

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Dall’aprile 2004 la cripta di S. Giovanni, che è parte integrante del patrimonio storico e culturale di San Vito dei Normanni, non è ancora, purtroppo, aperta al pubblico in quanto tutto il suo contenuto e la stessa grotta oltre a quelle circostanti, necessitano di immediato restauro onde evitare la distruzione di tutto quanto la storia ci ha generosamente dato!
Alla cripta, che sorge lungo i costoni della roccia scavati dal canale reale, si arriva percorrendo la S.S. 16, Brindisi – San Vito dei Normanni e deviando per contrada Cafaro prendendo sulla sinistra la via Mascava.

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Si ringrazia l’amico Mario Carlucci per la collaborazione

Bibliografia:
1 – Antonio Chionna, Gli insediamenti rupestri della provincia di Brindisi. Schena Ed. pp. 46-48
2 – G. Dotoli e F. Fiorino, Viaggiatori francesi in Puglia nell’Ottocento. Schena Ed. pp. 430-433

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