Brindisi. Inchiesta edilizia della Rivista Internazionale di Architettura “Casabella” – 1958 (1^ parte)

L’occasione perduta

Gli architetti Sergio Lenci e Carlo Aymonino collaborarono nel 1957 alla elaborazione del P.R.G. della città di Brindisi.
Ambedue hanno scritto innumerevoli pubblicazioni e progettato altrettante realizzazioni; tra i tanti premi vinti si ricorda il prestigioso Honorary Fellowship rilasciato dall’American Institute of Architects.

Le loro biografie:

  • Sergio Lenci – nato a Napoli si laurea in Architettura nel 1950 presso la Facoltà di Architettura della Sapienza Università di Roma. È stato Ordinario di Progettazione Architettonica all’Università “La Sapienza” dal 1995 al 2000 Presidente del Corso di Laurea in Architettura. (1)
  • Carlo Aymonino nacque a Roma nel 1926. Fu docente presso le facoltà di architettura di Palermo (1967), Venezia (dal 1963 al 1981) e Roma (dove ricoprì l’incarico di ordinario di composizione architettonica tra il 1980 e il 1993). Fu, ancora, rettore dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia tra il 1974 e il 1979. (2)

Nella pagina internet dedicata alle opere di C. Aymonino c’è una massima che  si  troverà riflessa anche nella elaborazione dei suoi progetti:

“Un’architettura nuova è necessaria sola là dove altri strumenti – quali il restauro scientifico, il ripristino filologico o il recupero edilizio – non hanno senso operativo e tanto meno solutivo. Il modo che ho seguito è stato sempre quello di far del nuovo intervento occasione di restauro e di recupero delle parti storiche preesistenti, in modo che il progetto nel suo insieme fosse effettivamente completamento del luogo urbano. – Carlo Aymonino” (3).

Nella loro relazione al Piano Regolatore Generale del 1957 criticano gli “interventi da parte di Società Immobiliari di tipo speculativo nel centro storico con sconvolgimenti tipologici, interventi di diradamento nel tessuto urbano preesistente per far posto agli edifici INA, Uffici Finanziari, Cred.Ital, INPS; a tal proposito verrà distrutto l’unico parco cittadino “della rimembranza”.

La loro proposta prevedeva, invece, un “intervento nel centro storico mirato alla creazione di un nuovo centro direzionale e contemporaneamente alla salvaguardia del sito storico-archeologico di “S.Pietro degli Schiavoni” e al risanamento del sito Mattonelle”. (4)

In conclusione:

“la crescita indifferenziata dei primi anni sessanta, la speculazione edilizia e gli enormi interessi economici industriali mettono in crisi un piano già nato vincolato dalla situazione preesistente ma coerente con le teorie urbanistiche emergenti, che pur se adottato non verrà mai utilizzato dall’Amm.ne centrista-conservatrice”. (4)

Nell’anno successivo, precisamente nel 1958, la loro inchiesta edilizia  sulla città di Brindisi appare sulla Rivista Internazionale di Architettura Casabella, allora diretta da Ernesto N. Rogers e avente nel Comitato di Redazione personalità influenti come il prof. Giulio Carlo Argan, Pier Luigi Nervi, Ludovico Quaroni  e Giuseppe Samonà.

Appare chiaro a tutti che la distruzione del Teatro Verdi e del Banco di Napoli, avvenuti in epoca successiva, si inquadrano in una visione della città che non è quella disegnata dal Piano Regolatore Generale  degli architetti Lenci e Aymonino.

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Inchieste edilizie sulle città italiane: Brindisi

Brindisi sorge lungo un porto naturale, molto riparato dal mare aperto, al quale deve la sua fondazione e la sua storia, ricca di vicende, che hanno visto alternarsi periodi di grande prosperità e importanza politica a periodi di abbandono e di miseria, a seconda degli avvenimenti nel bacino est del Mediterraneo.
Elemento determinante è sempre stato il porto, non soltanto come fonte di traffico commerciale o punto strategico militare, ma anche come fonte di miseria, quando per cause belliche rimase ostruito per oltre tre secoli, causando l’impaludamento del territorio, l’insorgere della malaria, la stasi dell’agricoltura e la diminuzione della popolazione.
I primi insediamenti Greci e Romani occupavano il settore a cavallo dei due bracci di ponente e di levante del porto. Successivamente l’abitato si estese verso ponente e nel XV secolo tutto il territorio urbano fu cinto da mura (ancor oggi esistenti), che facevano capo al castello svevo. Nella seconda metà del 1800 la parte a sud-est della città interna alle mura non era ancora edificata, né esistevano espansioni esterne di notevole entità.
Nel 1865, quando fu portata la ferrovia a Brindisi, la linea ferroviaria fu installata tangenzialmente alle mura, creando in questo modo un secondo importante ostacolo ad ogni possibilità di razionale espansione verso terra. In seguito però l’abitato si estese a nord, oltre il seno di Ponente, nella zona del Casale, a carattere residenziale medio e signorile; a sud-ovest nelle zone dei Cappuccini e della Commenda con caratteri misti, in parte industriale (stabilimenti vinicoli, magazzini, frantoi) e residenziale popolare e ultrapopolare. Le vaste zone sottoposte a vincoli militari, che hanno ampiamente ostacolato le espansioni, sono indicate in tratteggio più scuro.
Il Comune di Brindisi ha oggi una superficie di 32.829 ha con una densità di 178 ab./km2 e una popolazione presente nel 1951 di 59.214 abitanti, di cui il 90% concentrato nel capoluogo, con un affollamento medio di 2,2 abitanti per stanza e un incremento annuo di circa mille unità. Nel febbraio 1955 risultavano alloggiate in baracche, scantinati e alloggi di fortuna 5.136 persone.

Corso Umberto e Corso Roma

Una città del Sud: Brindisi

Brindisi si presenta, con il suo dramma economico e sociale, come una tipica città del mezzogiorno d’Italia: una città la cui economia è impiantata su mezzi e rapporti di produzione più che antiquati e che ristabilisce il suo magro bilancio con le spese improduttive ed amministrative che vi fa lo Stato.
Centro di produzione agricola e porto commerciale e militare, Brindisi ha vissuto sempre delle due attività, delle quali la prima è rimasta costantemente la base del suo reddito, mentre la seconda ha fluttuato seguendo gli eventi storici, alternando periodi di grande traffico a periodi di stasi. Malgrado il suo porto Brindisi è una città di contadini piccoli e medi proprietari e di braccianti agricoli. Entrambe queste categorie, come è antica tradizione in tutta la Puglia, amano abitare nella città, anche se i loro campi sono a discreta distanza da essa. Essi pernottano in campagna o vi si recano giornalmente soltanto durante i lavori agricoli.
La conduzione delle aziende agricole è per lo più a carattere familiare essendo la proprietà molto spezzettata. Legati alla produzione agricola sono alcuni stabilimenti per la manipolazione del prodotto. (Il vino che si produce a Brindisi è di gradazione molto alta e viene venduto in grandi quantitativi a vinificatori dell’Italia settentrionale che lo usano come vino da taglio).
Questa attività direttamente o indirettamente agricole rappresentano la spina dorsale dell’economia brindisina. Attività che si svolgono impiegando sistemi di lavoro tradizionali ed antiquati che sussistono quasi avulsi dal progresso generale e specifico dei mezzi di produzione odierni e che man-tengono quindi rapporti sociali stagnanti e semifeudali.
Il carattere fondamentale della popolazione è, quindi, piuttosto chiuso e tradizionalista; all’apparenza apatico ed indifferente ad una qualsiasi problematica sociale, ma in realtà scettico sulle possibilità del raggiungimento di un livello di vita più alto, della piena occupazione, della scomparsa dell’elemosina e del regime paternalistico delle raccomandazioni.
La spiegazione di questo atteggiamento è molto complessa. Ci può in parte venire dallo studio della funzione avuta dal porto militare nel recente passato, dalla unità d’Italia ad oggi, che sottolinea il tipo di intervento statale che non è stato mai quello di creare o sviluppare direttamente fonti di produzione reale, autonoma, nella regione, ma quello di fornire indirettamente un po’ di ossigeno alla popolazione spendendo in stipendi per amministrazioni civili o militari ed in opere pubbliche.
Estremo porto proteso verso l’Oriente, Brindisi fu sede di grandi traffici marittimi quando fu collegata attraverso la ferrovia a tutta l’Europa (1865). L’Inghilterra vi stabilì la sede di passaggio, della famosa «Valigia delle Indie». Albania, Grecia, Egitto ed altri paesi del Medio Oriente transitavano per Brindisi nei loro commerci. La navigazione nel Mediterraneo aveva in Brindisi uno dei suoi porti di buncheraggio, specialmente dopo il taglio dell’Istmo di Suez. La città aveva pochi abitanti, non era capoluogo di provincia e viveva in una discreta prosperità.
Corrispondono a questi periodi i migliori interventi urbanistici ed edilizi. Con la fine dell’Ottocento cominciano le guerre: Eritrea, Libia, Prima Guerra Mondiale, Etiopia, Albania, Seconda Guerra Mondiale. Brindisi diventa un porto militare di notevole importanza. La Marina vi crea un arsenale, requisisce vaste zone per installarvi depositi di carburanti e impianti vari. Nascono attività industriali e commerciali legate alla funzione militare, mentre la popolazione comincia ad aumentare. A questo aumento della popolazione e della spesa dello Stato corrisponde una graduale ed inesorabile diminuzione dei traffici commerciali del porto. La maggiore autonomia delle navi, la diminuzione delle zone di attracco della banchina riservate ai militari, e le varie vicende storiche deviano il traffico internazionale verso altri porti del Mediterraneo.
Nel 1927 Brindisi diventa capoluogo di provincia. Allo stuolo di militari si aggiunge uno stuolo di impiegati civili dipendenti dalle pubbliche amministrazioni. La popolazione continua ad aumentare, si accentua il grave fenomeno della immigrazione interna di disoccupati delle regioni vicine più depresse che vedono in Brindisi un centro di movimento di danaro, ove esiste, per lo meno, un certo numero di persone a reddito fisso (a).
La città incomincia ad espandersi caoticamente seguendo, in maniera episodica, le linee di un Piano di Espansione e Diradamento Edilizio fatto redigere dal Comune nel 1934.
Questo secondo ampliamento della città si svolge oltre la cinta delle vecchie mura aragonesi e dell’anello ferroviario e, mentre la prima espansione fino al perimetro murato, svoltasi nella seconda metà dell’Ottocento ad opera della borghesia più illuminata presenta una certa lungimiranza nelle impostazioni urbanistiche ed un certo livello nelle architetture, che corrispondevano alla autonomia economica ed allo scambio continuo di rapporti con gli altri paesi, questa seconda espansione è caratterizzata dalla estrema povertà della iniziativa privata da una parte e dalla bolsa e cafonesca grossolanità delle realizzazioni degli Enti statali e parastatali, dall’altra.
La borghesia ottocentesca aveva occupato il quadrante sud-est della vecchia cinta murata, ove esistevano un tempo gli orti, costruendo un quartiere omogeneo ed urbanisticamente chiaro: una rete di strade ortogonali a servizio locale confluenti in un sistema di grossi assi di scorrimento.
L’edilizia, certamente di livello commisurato all’entità della città, era estremamente civile ed omogenea. Ripeteva la tipica impostazione della casa dell’Italia meridionale con una corte verde all’interno e piuttosto chiusa verso l’esterno, sulle cui fronti si affacciano i caratteristici balconi che si vedono anche a Napoli, a Bari, ecc.
L’aspetto della città alla fine dell’Ottocento era, quindi, dato dalla compresenza dei nuclei residenziali formati dalle antichissime casette di tipo pugliese coperte a tetto ed a solo piano terra, aggruppate in quartieri omogenei e molto caratteristici (le piccole case affiancate si susseguono in dedali di viuzze che si aprono improvvisamente su grandi piazze quadrate nel centro delle quali vi era il pozzo) con il nuovo sistema viario che congiunge il porto alla ferrovia e col nuovo quartiere residenziale descritto più sopra e che danno all’antico paese il carattere cittadino che ha oggi.

Piazza Cairoli e Teatro Verdi

Corso Umberto

Corso Garibaldi

Il cinema Mazari

A queste realizzazioni seguono le prime espansioni al di là della cinta murata, che chiamiamo «seconda espansione della città».
I privati che costruiscono in questa seconda espansione sono per lo più piccoli proprietari, commercianti ed artigiani che realizzano piccole case a solo piano terra per uso esclusivo della propria famiglia. Forte è pertanto la richiesta di lotti piccolissimi che consentano la costruzione di tre vani e servizi più una scala di accesso ad una ipotetica futura sopraelevazione (b).

Queste abitazioni vengono realizzate in molti casi dagli stessi proprietari nei periodi di tregua dei lavori agricoli, oppure affidate all’opera di capi-mastri che le eseguono su progettini redatti da periti agrari o geometri diplomati nel locale Istituto Tecnico (c). Esse sono costruite con il tufo locale ed hanno un aspetto poverissimo, non solo, ma sono deteriorabilissime nel tempo.
I proprietari di suoli edificatori favoriscono queste tendenze spezzettando il terreno in lotti molto piccoli che gli permettono un maggiore smercio ed un maggior guadagno.
Gli inconvenienti derivanti alla igiene sono gravissimi. I piccoli cortili interni vengono gradatamente occupati da pollai, tettoie e piccole costruzioni accessorie che li chiudono quasi completamente. Le casette affiancate l’una all’altra, spesso con il muro in comune, spesso con un distacco di 60 cm. tra i due muri (per evitare la comproprietà!) creano una continuità edilizia lungo le strade, senza interruzione, con le porte delle camere abitate che danno direttamente sugli stretti marciapiedi.
Questo nella zona periferica. Nel centro, invece, agli sventramenti del periodo fascista che hanno eliminato in alcuni punti le zone di abitazioni piu’ antiche dei ceti più poveri, ha fatto seguito in questo dopoguerra una scarsa attività dei privati (scarsa e di livello sempre bassissimo salvo rare eccezioni) ed una notevole attività dei grossi Enti che hanno costruito in Brindisi le loro sedi provinciali. Queste realizzazioni, opere di anonimi uffici tecnici, anche se improntate ad un certo impiego di materiali costosi, sorgono nella completa ignoranza di una qualsiasi problematica architettonica ed urbanistica.

Non occorre insistere nello spiegare un fenomeno comune a tutta l’Italia, specialmente alle piccole città, dove questi Enti, con i loro interventi massicci deturpano molto spesso l’aspetto antico con irreparabili brutture.

Chiesa dell’Annunziata

A questi interventi, che sono però del tutto esterni ed elargiti dall’alto, corrisponde una completa indifferenza ed insensibilità dei Brindisini alla conservazione ed al miglioramento del loro patrimonio urbanistico ed ambientale: dalla demolizione di edifici di un certo pregio architettonico alla lenta, progressiva ed inesorabile fagocitazione del verde, sia pubblico che privato. Valgano due esempi: La costruzione, nell’unico parco pubblico rimasto alla città del grande palazzo per gli Uffici Finanziari Governativi (1956) e di una cooperativa finanziata dallo Stato che ne hanno praticamente ridotto la superficie ed una entità minima. La demolizione della Torre dell’Orologio, elegante campanile in pietra da taglio di stile neoclassico costruita alla fine del Settecento proprio allo scopo di sorreggere l’orologio sul quale, per oltre un secolo, si è regolata la popolazione.
Questa Torre oltre a rappresentare le vestigia di una civiltà e di un livello architettonico scomparso, portava storiche lapidi commemorative di fatti del Risorgimento Italiano. Sorgeva addossata a vecchie case su di un suolo che il Comune aveva ceduto all’INPS perché vi costruisse la sua sede provinciale. Il Comune stesso si era accollato, nei contratti, la demolizione dei vecchi fabbricati esistenti su tale suolo, tra i quali, ad una estremità e per una superficie di m. 4×4, la sfortunata Torre. Per questa consacrazione contrattuale a nulla sono valse le proteste e le richieste di alcuni cittadini e nostre perché questo Ente parastatale risparmiasse l’antico monumento e studiasse una soluzione architettonica che potesse in parte legarsi alla Torre con un portico o con qualche altra invenzione. Sollevando questioni burocratiche e forte dei suoi rescritti questo Istituto, con maggiore indifferenza di un privato, ne ha preteso la demolizione (1956). Al suo posto sorgerà un insipido fabbricato, testimonianza colossale della insensibilità e della mancanza di ogni cultura che presiede oggi in Italia alle manifestazioni ufficiali nel campo dell’architettura.

Negli sforzi che lo Stato fa per alleviare i problemi economici della città vanno citate le tre principali attività:

  •  L’opera dell’Ente Riforme Puglie e Lucania, che ha un vasto programma in corso di realizzazione tendente allo scorporo e alla ricomposizione particellare delle terre ed alla creazione di aziende agricole modello e di centri di lavorazione del prodotto.
  • Gli interventi nel campo dell’edilizia economica fatti con sovvenzioni e finanziamenti principalmente attraverso l’I.A.C.P. della provincia, che ha in corso un vasto piano di costruzioni per un importo che supera i due miliardi (il solo quartiere coordinato della città, inizio di una direttrice di espansione prevista dal nuovo P.R., ha in progetto un complesso di oltre seimila vani per una spesa che si aggira sui due miliardi).
  •  La istituzione di una zona di punto franco doganale lungo il porto con relativo programma di lavori di banchinaggio e stradali (in gran parte già eseguiti) che dovrebbe far sorgere le industrie di lavorazione di prodotti destinati alla esportazione.

Tutte queste iniziative rivestono certamente una grande importanza, tuttavia ci sembra che non possano essere risolutive per la grave situazione locale.
Sotto certi aspetti esse potrebbero accrescere alcuni inconvenienti aumentando l’inurbamento delle popolazioni dalle più povere regioni circostanti.
Il problema dell’alloggio, ad esempio, è certamente tra i più scottanti per una vita migliore, ma quando è così strettamente unito a quello della disoccupazione esso non è più risolvibile da solo. E’ vero che aprendo tanti cantieri per la costruzione di case, strade e servizi si offrono grandi possibilità di lavoro, ma è anche vero che, finite le costruzioni a questi operai non resterà che abitare quelle case, ricordando i bei tempi nei quali, pur non avendo un appartamento, percepivano però un salario! Ed inoltre del danaro che si porta in quelle regioni solo per una piccola parte, corrispondente ai salari, ricade a beneficio diretto delle maestranze mentre per una aliquota maggiore diventa utile industriale e commerciale di imprese che quasi sempre sono locali.
Tutto ciò sembra paradossale, ma è tristemente vero.
Molte famiglie non possono pagare nemmeno le duemila lire mensili che gli si richiederanno per l’affitto. Esse non saranno in grado di fare una sufficiente manutenzione dei loro appartamenti. Ed ecco che dopo dieci anni questi nuovi quartieri si presenteranno con lo stesso squallore di quelle baracche che oggi hanno sostituito.
Il problema economico, in questo caso, evade dal centro di Brindisi e si sposta in tutta la regione, a Lecce e ad Otranto a tutto il Salento, terre poverissime, ai grandi agglomerati di braccianti agricoli che lavorano soltanto 40 giorni l’anno, come Andria, Cerignola, Barletta, Altamura, Ostuni, Francavilla, Mesagne, ecc: un problema di ammodernamento e di industrializzazione di tutta una regione abitata da un popolo tenace ed intelligente che coltiva da secoli la sua terra liberandola dalle pietre e dai macigni, che vi sono frammisti, con paziente operosità.

Note:

(a) Esaminando, il diagramma dell’aumento della popolazione della città dal 1900 ad oggi si può constatare che la curva ha notevoli incrementi nei periodi corrispondenti alle guerre, mentre ha tangente zero nei periodi di pace. Naturalmente, quando finita una guerra si smobilitavano le truppe, si licenziavano gli operai dagli arsenali, si liquidavano in poche parole quelle super-attività, la popolazione andava incontro a disagi sempre maggiori, dato l’accresciuto numero, e cercava il suo sostentamento soltanto dalle attività connesse con l’agricoltura.
(b) Nel XVIII secolo Brindisi contava appena 5000 abitanti, dei quali una gran parte erano monaci ed ecclesiastici distribuiti in 16 monasteri. Questi ordini religiosi possedevano grandi proprietà immobiliari ed imponevano contratti di affitto indissolubili per evitare che le case rimanessero vuote data la grande scarsità della domanda di alloggio. Per questa ragione è rimasta nella città una grande avversione alle case di affitto e condominiali e si è sviluppata la tendenza alla casa individuale dove la proprietà dell’immobile è divisa verticalmente. Per conseguenza la città ha avuto uno sviluppo a case generalmente ad un solo piano. Nel programma di quelli che edificano, però, rimaneva sempre la riserva di poter sopraelevare in un qualsiasi futuro. Perciò su ogni casa si elevano tronchi di muratura ed aggetti per balconi. Tutto ciò conferisce all’insieme uno strano aspetto di città incompleta.
(c) La Commissione Edilizia comunale ha concesso finora licenze su progetti contrari non solo al regolamento edilizio vigente, ma anche, in alcuni casi al regolamento d’igiene. Se da una parte si può rimproverare al Comune la scarsa severità nell’applicare il R.E., dall’altra non si può ignorare che la realtà economica della città non permette una eccessiva severità che sarebbe assolutamente incompresa dalla popolazione che anzi si sentirebbe lesa nel suo diritto più sacro: quello della casa.

Fine 1^ Parte

L’inchiesta sopra riportata è stata pubblicata sulla Rivista Internazionale di Architettura “Casabella continuità” n. 222 del 1958, da cui sono stati presi testi e fotografie

2^ Parte

Brindisi. Inchiesta edilizia della Rivista Internazionale di Architettura “Casabella” – 1958 (2^ parte)

Bibliografia e sitigrafia:

(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_Lenci

(2) https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Aymonino

(3) http://carloaymonino.blogspot.it/2007/11/opere.html

(4) http://159.122.132.153/new/02_Cartografia_Storica/schede%20storiche%20strumentazione%20urbanistica.pdf

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