Londra – I capolavori della Wallace Collection

Il museo, ospitato in un magnifico edificio del XVIII secolo in Manchester Square a Londra, aprì al pubblico nel 1900 e conserva opere prodotte fra il XV e il XIX secolo. La collezione è stata raccolta nei secoli XVIII e XIX dai primi quattro marchesi di Hertford e da Sir Richard Wallace (1818-1890).

Quest’ultimo, figlio illegittimo del quarto marchese di Hertford, Sir Richard Seymour-Conway (1800-1870), nonché ultimo proprietario della collezione, non fu mai riconosciuto e assunse pertanto il cognome della madre. Furono loro, il padre prima ed in seguito il figlio, a incrementare la collezione in maniera rilevante portandola agli attuali 5.000 oggetti, tutti di inestimabile valore.

La collezione fu donata al Regno Unito nel 1897, per volontà di Sir Richard Wallace, dalla vedova Lady Wallace. Ci piace sottolineare che l’ingresso è gratuito.

 

La Wallace possiede grandi tesori artistici, come i dipinti di Tiziano, Rembrandt, Rubens, Van Dyck, Velázquez e Canaletto, oltre a un’eccellente raccolta d’armi e armature, sculture medievali e del Rinascimento, ed alcuni oggetti in vetro, bronzo e oro esposti nel percorso delle sue 25 gallerie.

Le Sale espositive

Le Opere e gli Artisti

Bottega di Andrea della Robbia (1435 – 1525)
La Vergine e il Bambino (1500)
Il nostro rilievo fu probabilmente realizzato nella bottega di Andrea della Robbia (1435-1525), nipote di Luca (1400-82), il pioniere della produzione di questo tipo di scultura.

Il tema della Vergine con il Bambino in piedi deve essere stato molto popolare, come testimoniano i numerosi esemplari superstiti. È questa una composizione di grande successo, che si concentra sull’amore tra madre e figlio, chiaramente espresso dalla tenerezza con cui le due teste si toccano e nel modo affettuoso in cui la Vergine sostiene il giovane Cristo, che a sua volta pone la sua mano destra sulla sinistra di sua madre.

Altri due esempi di questo tipo di composizione sono ancora oggi nei tabernacoli di strada a Firenze. In particolare, quello in Piazza dell’Unità è tra le pochissime opere attribuite con una certa certezza ad Andrea stesso e sembra risalire al 1490-1500 permettendoci di riferire il nostro rilievo all’incirca nello stesso periodo.

Artista italiano sconosciuto

La Vergine e il Bambino (1521)

Questa insolito piatto a muro è sorprendentemente arcaico per il 1521, data iscritta accanto alla testa della Vergine. La raffigurazione della Vergine che allatta Cristo bambino  è tratta da una anonima xilografia tedesca  del XV secolo.La pittura maiolicata ha impreziosito le figure con l’aggiunta di un rotolo scritto in caratteri gotici con una frase usata nel Medioevo per proteggere dal fuoco e dai fulmini. La madre e il bambino sono posti frontalmente all’interno del rotolo bianco, che vuole sembrare una finestra. La Vergine si sporge fuori dalla cornice, suggerendo, forse, l’impegno con il mondo più ampio anche durante questo momento di intimità.

Geert van Egen (attivo tra: 1591 – 1600)

Federico II re di Danimarca,1591

Questo ritratto equestre di alabastro raffigura Federico II di Danimarca e Norvegia (1534-88) in rilievo e reca un’iscrizione eccentrica che può essere tradotta “Credo in un solo Dio/ Wilpret è il mio credo/Re dei danesi per grazia di Dio”. Wilpret altro non era che il cane preferito di Federico. La scultura potrebbe essere di Geert van Egen (attivo nel 1591-1600), uno dei tantissimi scultori olandesi che lavorarono in Germania e Scandinavia nel XVI e XVII secolo.  Geert van Egen è l’artista che ha scolpito la tomba di Federico II nella cattedrale di Roskilde (1594-8).

Artista sconosciuto

La resurrezione, Nottingham (Inghilterra)

La produzione di pannelli scolpiti in alabastro fiorì a Nottingham e nelle aree circostanti nel XV secolo. La maggior parte di essi raffigurano scene della Passione di Cristo, la Vita della Vergine o Santi e Martiri. Erano dipinti e poi dorati, e solitamente collocati all’interno di una struttura di legno, singolarmente o in serie, per formare pale d’altare. Il soggetto della Risurrezione di Cristo (Matteo 28: 3) è tra i più comuni per gli alabastri di Nottingham. Questo in particolare  è degno di nota per il buono stato di conservazione della sua superficie dipinta e dorata.

Vincenzo Foppa (1427 – 1515) 

Fanciullo che legge Cicerone (1464)

Si tratta dell’unico affresco superstite del Banco Mediceo di Milano. Nel 1455 Francesco Sforza donò il palazzo a Cosimo de ‘Medici, che ne progettò una grandiosa ristrutturazione. Foppa, il principale maestro lombardo del periodo quattrocentesco, fu incaricato di affrescare il cortile. Il “Fanciullo che legge Cicerone” potrebbe essere stato pensato per accompagnare le Virtù come simbolo della Retorica, una delle arti liberali. Posizionato nel cortile all’aperto per quattrocento anni, l’affresco fu rimosso nel 1863 circa, incorniciato e ampiamente ritoccato, il che spiegherebbe alcune delle evidenti incoerenze compositive. L’opera è un tributo allo spirito del Rinascimento.

 

Vincenzo Foppa  – Fanciullo che legge Cicerone (1464)

Niccolò Pisano (1470 – 1538)

Dafni e Cloe (1500 – 01)

Il romanzo pastorale Dafni e Cloe dello  scrittore greco Longo Sofista (III – IV secolo a. C.) racconta l’amore bucolico e sensuale sbocciato tra il capraio Dafni e la pecoraia Cloe. I due ragazzi sono praticamente cresciuti assieme, allevati da due pastori che li avevano ritrovati entrambi neonati, abbandonati, a distanza di due anni, nella stessa boscaglia. L’episodio qui illustrato descrive il momento in cui Dafni nota la bellezza della sua ex compagna di giochi addormentata e per la prima volta prova una passione da adulto per lei. L’artista trasmette la gioventù della coppia nei loro corpi pallidi e magri, e la meraviglia e il desiderio del protagonista con l’uso di un gesto sobrio ma drammatico.

Scuola francese 

Madame de Ventadour con Luigi XIV e i suoi eredi – Francia (1715 – 1720)

Quest quadro è stata dipinto per celebrare il ruolo della duchessa de Ventadour nel garantire la continuazione della dinastia dei Borbone. Viene rappresentata accanto al duca d’Angiò, il futuro Luigi XV (1710-1774), da lei salvato durante l’epidemia di morbillo del 1712. Intorno gli antenati: Enrico IV (1553-1610) rappresentato in un busto a sinistra; Luigi XIII (1601-43) in un busto a destra; Luigi XIV (1638-1715) siede al centro dell’immagine; Luigi, il Gran Delfino di Francia (1661-1711), si erge appoggiato alla sedia del padre; e sulla destra sta il nipote di Luigi XIV e padre del duca d’Angiò, Luigi, duca di Borgogna (1682-1712).

Il gruppo è in un immaginario ambiente sontuoso che evoca l’apollineo di Luigi XIV. Altrettanto immaginaria è la combinazione dei personaggi: i ritratti di tutti i membri della famiglia reale sono stati tratti da ritratti ufficiali esistenti. L’età dei partecipanti non corrisponde a un momento preciso e possibile nel tempo. I ritratti invece sono organizzati per creare un’allegoria della stirpe reale che era stata in grave pericolo dopo la morte del Grande Delfino e del duca di Borgogna. Il giovane Luigi XV aveva solo cinque anni quando Luigi XIV morì, portando al periodo di reggenza fino al 1723.

Il fatto che molti diversi modelli siano stati usati per il dipinto ha reso difficile la sua attribuzione. Data la stretta collaborazione di Ventadour con la famiglia reale, è probabile che sia stato prodotto nel cosiddetto Gabinetto del Re, un laboratorio di Versailles che produceva ritratti reali per uso politico con modelli consolidati. Esistono altre versioni del dipinto.

Agnolo Bronzino (1503 – 1572)

Eleonora di Toledo (1562- 72)

Il matrimonio di Cosimo de’ Medici con Eleonora di Toledo (1522-62), figlia unica di Don Pedro de Toledo, marchese di Villafranca e viceré di Napoli, gli procurò gran parte della ricchezza e dell’influenza che lo aiutarono poi a diventare il Granduca di Toscana nel 1569. La coppia ebbe otto figli. Il ritratto della Wallace Collection deriva dal magistrale ritratto del Bronzino di Eleonora di Toledo con il  figlio Francesco (1545, Firenze, Uffizi) nel quale il sontuoso abito in broccato monopolizza l’attenzione quasi quanto la modella stessa. Il quadro della Wallace Collection è probabilmente una replica postuma in studio, come sottinteso dall’iscrizione latina, una frase usata nella messa per una santa donna. Anche in questo dipinto assume grande rilevanza il sontuoso abito in broccato spagnolo. Il vaso visto sullo sfondo è stato variamente interpretato come un’urna funeraria o come emblema di virtù o bellezza.

Frans Hals 

Il cavaliere sorridente (1624)

E’ questo uno dei capolavori del barocco fiammingo realizzato dal pittore olandese Frans Hals. Si tratta del ritratto di un giovane di 26 anni che indossa un abito dai bellissimi colori vivaci. La posa sicura, con la mano sinistra sul fianco, il cappello e i baffi rovesciati, conferiscono al ritratto una vitalità unica che ha ispirato persino le avventure della celeberrima Primula Rossa, create dalla baronessa ungherese Orczy quasi tre secoli dopo.

Arriva alla Wallace Collection nel 1865, acquistato dal marchese Richard Seymour-Conway (1800-1870), ricco esponente dell’aristocrazia londinese. Quando la prestigiosa collezione  divenne un rinomato museo aperto al pubblico, offrendo gratuitamente i propri capolavori  al mondo,  questo raffinato dipinto diventa un’attrazione ricercatissima dai visitatori, colpiti dall’estrema naturalezza del soggetto, dai suoi vivaci abiti colorati, ma soprattutto dal suo sorriso malizioso e beffardo. La straordinaria eleganza del ritratto eseguito da Hals – realizzato nel 1624, come indicato da una breve dedica latina sulla destra della tela (“Aetatis Sua 26, Anno 1624″),  lo rende praticamente unico nel panorama della pittura olandese del XVII secolo, conferendogli una maturità stilistica e psicologica raramente eguagliata da altri artisti dello stesso periodo (Rembrandt, de Hooch, Vermeer).

Più prosaicamente anche il birrificio scozzese McEwan’s ha adottato l’immagine del misterioso cavaliere olandese per le proprie bottiglie, diffondendone ulteriormente la fama praticamente in tutto il mondo.

Tiziano (1485 – 1576)

Perseo e Andromeda (1554 – 56)

Perseo e Andromeda facevano parte di una serie di sei grandi dipinti mitologici, commissionati a Tiziano dal re Filippo II di Spagna, che rappresentavano ciascuno una scena di Le Metamorfosi, il popolare poema epico  del poeta romano Ovidio. Filippo II in realtà non aveva  prescritto quali soggetti scegliere, lasciando totale libertà a Tiziano. Questa commissione fu una pietra miliare nella carriera di Tiziano che era consapevole di aver creato qualcosa senza precedenti. Definì la serie “Poesie”, perché voleva che questi quadri fossero l’equivalente visivo della poesia. Perseo e Andromeda è forse l’opera più drammatica di tutta la serie. Andromeda è raffigurata incatenata a una roccia come sacrificio per placare il mostro marino che era stato inviato da Nettuno per punire sua madre per aver affermato che lei e Andromeda erano più belle delle Nereidi. L’eroe Perseo piomba nella scena per salvarla: la sua potente, vertiginosa discesa contrasta vividamente con la vulnerabilità passiva di Andromeda. Tiziano dimostra la sua abilità come pittore di nudo femminile: Andromeda è posta frontalmente e la sua nudità forma una forte antitesi visiva con il corpo leggermente corazzato di Perseo. Tiziano ha apportato alcuni importanti cambiamenti alla composizione durante il processo di pittura: la figura di Andromeda, per esempio, era originariamente posta sulla destra. L’immagine fu probabilmente dipinta tra il 1554 e il 56 e potrebbe essere stata inviata a Filippo II nel 1556. Non è chiaro in che modo il dipinto lasciò la collezione reale spagnola ma in seguito appartenne allo scultore Pompeo Leoni (che aveva lavorato per i re di Spagna a Madrid dal 1556, inizialmente aiutando suo padre, Leone Leoni) e poi a Van Dyck, che lo portò a Londra. Dopo aver attraversato una serie di importanti collezioni francesi, fu acquistato dal terzo Marchese di Hertford nel 1815. Le condizioni del dipinto già dal XVI secolo mostravano importanti cenni di sofferenza, anche se la grandiosità della concezione originale ha ancora il potere di impressionare chi la guarda.

Venere e Cupido (1510 – 15)

Gli Idilli di Teocrito (XIX) e le Odi di Anacreote (XL) raccontano come il  piccolo Cupido infantile sia stato punto da un’ape mentre rubava il miele. Corse allora verso sua madre, Venere, per essere confortato, ma ricevette da lei poca compassione perchè Venere gli ricordò che proprio lui infliggeva ferite molto più profonde agli altri con il suo arco e le sue frecce. Le cattive condizioni del quadro rendono difficile attribuirlo con certezza, ma si tratta evidentemente di una composizione veneziana originaria, legata alla prima fase giorgionesca di Tiziano, c.1510-15.

Il ratto di Europa

Questo quadro è una copia ridotta di un originale di Tiziano (ora all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston). L’originale più grande fu dipinto nel 1562 come pendant di Perseo e Andromeda  per la serie di sei Poesie, dipinti mitologici basati sulle Metamorfosi di Ovidio, commissionati dal re Filippo II di Spagna. Ovidio nelle Metamorfosi raccontava dello stupro di Europa, figlia di Agenore, re di Tiro, che fu rapita da Giove trasformatosi in un bianco toro. Il quadro è immerso in una luce livida, fredda e lo sfondo non definito ricorda i paesaggi leonardeschi. Appartiene già all’ultimo Tiziano quando dipinge con pennellate sporche e che spesso non definiscono bene i dettagli. Tale tecnica conferisce molta espressività alla tela. Quando l’opera fu messa in vendita, nel 1857, l’agente del quarto marchese di Hertford, Samuel Mawson, affermò che questo dipinto “è molto più bello del quadro finito.” Lord Hertford acconsentì al suo acquisto scrivendo che “questo di  Tiziano è solo uno studio, ma oserei dire molto desiderabile”.

Pieter Pourbus (1523 – 1584) 

Una Allegoria del vero amore (1547)

Questo capolavoro di Pourbus raffigura un gruppo di personaggi mitologici e allegorici. Al centro dell’immagine un uomo più anziano, Sapiens (Saggezza), abbraccia Fidutia (Fedeltà) mostrando l’amore spirituale santificato dal matrimonio cristiano, mentre le altre figure avvertono lo spettatore della follia dell’amore carnale. Il tema complesso riflette il coinvolgimento di Pourbus con i circoli eruditi delle Camere di Retorica di Bruges, mentre le eleganti figure rivelano l’influenza del manierismo italiano. Lo sfondo vivace del paesaggio e i dettagli naturalistici dimostrano chiaramente lo sviluppo del naturalismo nella pittura nei Paesi Bassi meridionali.

François Boucher (1703 – 1770) 

Il ratto di Europa (1732 – 35)

Le Metamorfosi di Ovidio (II, 835-75) narrano del rapimento di Europa da parte di Giove, travestito da toro. Affascinata dalla  natura del toro, Europa si arrampicò sulla sua schiena, ma lui la rapì portandola tra le onde fino all’isola di Creta. La resa ironica di Boucher si concentra sugli aspetti galanti della scena, evitando ogni riferimento alla violenza intrinseca della storia. Il dipinto faceva parte di un gruppo di sei opere, dipinto gratuitamente  per l’avvocato Derbais tra il 1731 e il 1735 circa, ed è rimasto appeso per lungo tempo nella sua  sala da biliardo. A quel tempo, Boucher mirava a costruirsi una buona reputazione con potenziali clienti dopo la sua permanenza in Italia. Le tele impressionarono molto i contemporanei, facendo del giovane artista uno dei principali pittori della storia della Parigi del diciottesimo secolo. La tela offre una gamma completa delle sue qualità, dalla capacità compositiva, alla competenza della pittura di paesaggi, a una conoscenza approfondita della pittura veneziana. Una panoramica insomma delle nuove abilità acquisite da Boucher.

Il sorgere del sole e il Tramonto del sole (1752)

Il “Sorgere del sole” forma una coppia con il “Tramonto del sole” che fu dipinto per primo e finito nel 1752. Entrambi furono commissionati da Madame de Pompadour come modelli per la manifattura degli arazzi Gobelin parte di una commissione privata. Gli arazzi, terminati rispettivamente nel 1754 e nel 1755, abbellirono la camera da letto del re nel castello di Bellevue, situato tra Parigi e Versailles vicino a Sèvres, una casa di campagna costruita dalla Pompadour come ritiro per Luigi XV dove poter organizzare importanti incontri politici e di corte. Nel 1750, Pompadour assunse il ruolo di consigliere politico e quasi primo ministro di Luigi XV, un ruolo che si esprime anche nei dipinti e negli arazzi. La ninfa Teti viene raffigurata mentre assiste Apollo che si avvia sul carro del sole e lo accoglie dopo una giornata di lavoro, riflettendo la richiesta della Pompadour di un ruolo politico importante a corte. Secondo Ovidio, il dio del sole Apollo guidava il suo carro attraverso i cieli durante il giorno, portando luce al mondo, affondando poi sotto le onde alla sera, un’immagine che era già stata ampiamente usata da Luigi XIV come un’allegoria del suo regno. La Pompadour fece riferire Boucher a modelli del regno di Luigi XIV dello scultore Girardon e del pittore Jouvenet in particolare per collegare il ruolo di Luigi XV con quello del suo predecessore e la sua posizione con quella di Madame de Maintenon, amante e moglie segreta di Luigi XIV. I dipinti furono mostrati al Salon nel 1753. Un’incisione di Gabriel de Saint-Aubin mostra chiaramente che il ‘Levante’ era mostrato a sinistra, il ‘Ponente’ sulla destra. Non sappiamo come esattamente gli arazzi sono stati sistemati nella camera da letto del re, ma devono essere stati installati negli angoli su entrambi i lati del letto. Le reazioni alla mostra nel Salone sono state contrastanti, ma molto più positive di quanto si dice di solito. Pompadour conservava i dipinti in  una disposizione molto insolita, in quanto i cartoni erano solitamente conservati dai Gobelins, ma lei li espose nella stanza delle guardie al piano terra di Bellevue. Le composizioni sono famose come alcuni dei più grandi dipinti della metà del diciottesimo secolo in tutta Europa. Le loro elaborate composizioni fondono senza sforzo figure, acqua, nuvole e luce. Riflettono direttamente le idee del critico d’arte francese Roger de Piles, che ha descritto la prima impressione generale dei dipinti come particolarmente importante. Le sue idee erano state cruciali per l’ascesa del Rococò.

Salvator Rosa (1615 – 1673) 

Paesaggio con Apollo e la Sibilla Cumana (1657-58)

Le Metamorfosi di Ovidio (XIV, 129-53) raccontano come Apollo innamorato offrisse alla Sibilla Cumana tutto ciò che desiderava.  Nel dipinto viene mostrata mentre chiede  tanti anni di vita quanti sono i granelli di polvere nelle sue mani. Ma nonostante Apollo avesse esaudito il suo desiderio, lei gli rifiutò comunque i suoi favori. Per punizione lui gli negò allora l’eterna giovinezza facendola vivere per oltre settecento anni in sempre maggiore miseria. La pennellata espressiva del Rosa, i toni scuri e i drammatici chiaroscuri drammatico, insieme alla caratterizzazione del paesaggio selvaggio di rocce e alberi, creano un senso di presagio e mistero in armonia con la storia malinconica in questa che è sicuramente una delle opere più alte del Rosa.

Diego Velazquez (1599 – 1660)

Dama con ventaglio (1640)

Come pittore di corte del re Filippo IV di Spagna, Diego Velázquez ha dipinto molti ritratti della famiglia reale spagnola e dell’alta nobiltà. La “Dama con ventaglio”  è uno dei suoi ritratti più famosi ed enigmatici. Si è a lungo creduto rappresentasse una donna spagnola, ma studi recenti hanno suggerito che potrebbe trattarsi di una francese e non di una spagnola. L’unica donna francese nota per essere stata dipinta da Velázquez è stata la duchessa di Chevreuse, intima amica della regina di Francia di origine spagnola, Anna d’Austria. La sua cospirazione politica le aveva procurato l’inimicizia del potente cardinale Richelieu che, nel 1637, la costrinse a fuggire in Spagna. Nella Devonshire Collection a Chatsworth si trova un altro ritratto della stessa donna, probabilmente un pò più giovane, con una posa molto più modesta e un abito chiaramente spagnolo. Il dipinto venne stato acquistato dal quarto marchese di Hertford nel 1847 per 15.000 franchi (circa 600 sterline).

Diego Velazquez – Dama con ventaglio (1640)

Il principe Baltasar Carlos a cavallo (1640 – 45)

Questo ritratto equestre molto originale mostra il principe Baltasar Carlos (1629-1646), l’erede al trono spagnolo, raffigurato come un abile cavaliere. La maestria nel montare a cavallo del Principe predice la sua forte capacità di dominio. La scena si svolge davanti agli appartamenti del Principe nel Buen Retiro Palace, subito fuori Madrid. Il dipinto ci porta nel cuore della corte, mostrandoci aree non comuni nella pittura: l’ambientazione è un cortile in cui il principe si allenava a cavallo. Le figure nella tribuna di osservazione sullo sfondo riflettono gli spettacoli cortigiani che si svolgevano attorno a un simile addestramento reale. La paternità di questo dipinto è stata messa in discussione così come il suo rapporto con un’altra versione della composizione dipinta da Velázquez nel 1636, oggi in una collezione privata. Ci auguriamo che il restauro, la conservazione e l’analisi tecnica possano risolvere i misteri che circondano questaopera. Samuel Mawson acquistò il dipinto per il quarto marchese di Hertford nel 1856, per la somma di 1.210 ghinee.

Michiel J. van Mierevelt (1567 – 1641)

Ritratto di una dama (1628)

Van Mierevelt fu uno dei principali ritrattisti di Delft all’inizio del XVII secolo e ricevette commissioni da numerose famiglie nobili della Repubblica olandese. Questo ritratto mostra lo stile preciso e lineare per il quale l’artista è diventato famoso. L’abito scuro, il corpetto riccamente ricamato e il grande collo sono tipici dell’abbigliamento nobiliare olandese del XVII secolo.

Rembrandt (1606-1669)

Jean Pellicorne con suo figlio Caspar (1632)
Jean Pellicorne, un ricco mercante di Amsterdam, sposò Susanna van Collen nel 1626, e i loro figli, Anna e Caspar, nacquero rispettivamente nel dicembre 1626 e nel giugno del 1628. Il ritratto mostra Caspar che porta a suo padre un sacco pieno di soldi, a simboleggiare il suo dovere di erede di agire in futuro come protettore della famiglia e di provvedere ad essa. Questa immagine di responsabilità sociale e pietà è ulteriormente enfatizzata dall’immagine (appena riconoscibile) sul muro dietro i soggetti, che mostra il giovane Samuele che prega al Signore (Samuele I, I, 27-8). In entrambi i ritratti, la luce artificiale fortemente diretta anima i soggetti in particolare illuminando i loro volti e le mani che sono ulteriormente ravvivati dal senso di movimento bloccato, come se interrotto dalla presenza dello spettatore.

Susanna van Collen, moglie di Jean Pellicorne con la figlia Anna (1632)
Jean Pellicorne, un ricco mercante di Amsterdam, sposò Susanna van Collen nel 1626, e i loro figli, Anna e Caspar, nacquero rispettivamente nel dicembre 1626 e nel giugno del 1628. Anna Pellicorne viene mostrata mentre riceve denaro da sua madre in previsione della dote che le sarà data più tardi dai genitori per il suo matrimonio. Il suo ruolo sociale è ulteriormente definito dal paniere d’uva, che implica la sua futura fecondità all’interno del matrimonio.

Bottega di Rembrandt – Il centurione Cornelio (Il servo spietato)
Nel diciannovesimo secolo si riteneva che questo dipinto fosse opera di Rembrandt, ed era di gran lunga il più costoso della collezione di dipinti di Lord Hertford attribuita all’artista. Nel 1935, fu invece riattribuito ad un allievo o seguace di Rembrandt, e l’identità esatta dell’autore rimane oggetto di disputa fino ad oggi.

Anche l’argomento rimane oggetto di dibattito: a volte è stato identificato come la parabola del Servo spietato, presa dal Nuovo Testamento, in cui un re perdona i debiti di un servitore, per poi scoprire che il servitore rifiuta tale clemenza a un compagno di servizio. Una lettura alternativa è un’illustrazione della storia del Centurione Cornelio, anch’essa del Nuovo Testamento. Cornelio ebbe una visione di un angelo, che lo istruì a mandare degli uomini a prendere l’apostolo Pietro da Ioppe. Cornelio, qui raffigurato come il signore della sua famiglia piuttosto che come un comandante militare, fece come gli disse l’angelo. Convocò “due dei suoi domestici e un soldato devoto”, una descrizione che si accorda con l’aspetto degli uomini che stanno in pose attente sulla destra.

Bottega di Rembrandt – Un ragazzo con costume fantasioso
Questo piccolo dipinto su pannello è un “tronie”, termine olandese per la pittura di una singola figura in formato di testa o a mezza altezza. Questo tipo di pittura è stato sviluppato da Rembrandt e Jan Lievens nel loro studio a Leiden, e spesso sono stati dipinti dai loro allievi in una fase avanzata del loro apprendimento, probabilmente come esercizio di ritrattistica. I modelli di studio, spesso parenti del maestro o membri della sua famiglia, posavano in costumi stravaganti. Il personaggio del quadro ricorre in altri “tronies” associati allo studio di Rembrandt. Indossa un orecchino di perle, un cappello di velluto rosso piumato e un mantello marrone rossiccio ricamato in oro su una tunica grigio-blu. I “tronies” divennero popolari tra i clienti di Rembrandt. Questo dipinto, con firma e data falsi di Rembrandt (1633), potrebbe essere opera dell’allievo Govaert Flinck (1615-1660) quando lavorò ad Amsterdam intorno al 1636.

Titus, il figlio dell’artista
Titus van Rijn (1641-68) fu l’unico dei quattro figli di Rembrandt avuti dalla sua prima moglie Saskia a sopravvivere all’infanzia. Un ritratto di Tito che alza lo sguardo dalla sua scrivania, datato 1655, si trova nel Museo Boijmans-van-Beuningen, a Rotterdam. In questo dipinto, Tito sembra essere più vecchio di due anni, quindi potrebbe essere datato al 1657 circa. L’anno 1657 fu un periodo travagliato per Rembrandt e la sua famiglia. L’anno precedente l’artista era stato dichiarato fallito e il quindicenne Titus e la sua matrigna Hendrickje Stoffels furono costretti a gestire la vendita dei quadri di Rembrandt e la produzione delle sue acqueforti seguendo i vincoli legali imposti al pittore dalla Gilda. Rembrandt cattura con simpatia lo sguardo serio del giovane, uno sguardo molto diverso da quello infantile visto nell’immagine di Rotterdam. Titus continuò a studiare pittura con suo padre, ma morì tristemente nell’anno del suo matrimonio, il 1668, prima della nascita di sua figlia, Titia. Rembrandt stesso morì l’anno seguente e fu sepolto nel Westerkerk, ad Amsterdam.

Il ritratto di Tito fu acquistato dal 4° marchese di Hertford alla vendita all’asta di Willem II d’Olanda a L’Aia nel 1850 per 6.000 fiorini. Dei dodici Rembrandt che si credevano essere nella Collezione quando fu lasciata in eredità alla Nazione nel 1897, questa è l’unica opera che ha mantenuto la sua piena attribuzione a Rembrandt senza essere contestata.

Autoritratto con berretto nero
Rembrandt ha dipinto un certo numero di autoritratti durante la sua carriera. L’immagine presente, che rappresenta l’artista mentre indossa un berretto nero e un mantello di pelliccia, è stata dipinta su un pannello dello stesso albero di un autoritratto dell’artista del 1634 (Berlino, Gemäldegalerie). Sotto la composizione attuale c’è un ritratto a mezzo busto incompiuto di una signora. Il pannello fu tagliato pesantemente dopo che il ritratto fu dipinto, probabilmente intorno al 1837 quando fu montato in una cornice con un piano semicircolare. In origine era probabilmente rettangolare e poteva essere stato fino a 10 cm più alto e più largo di 6 cm rispetto ad adesso. La figura era circondata da molto più spazio di oggi.

L’attribuzione del dipinto è cambiata più volte negli ultimi decenni. Dopo un periodo di dubbi sull’autore di Rembrandt, ora è nuovamente considerato un lavoro autografo del maestro. La firma non è interamente caratteristica dell’artista e sembra essere stata aggiunta da un membro del suo studio. L’immagine è paragonabile a un altro ritratto di Rembrandt, talvolta attribuito a Flinck (Sao Paolo, Museu de Arte). Può essere datato intorno al 1637 poiché la sua esecuzione richiama la tecnica di Rembrandt nel costume dell’uomo in polacco (1637, Washington, National Gallery of Art).

Canaletto (1697 – 1768)

Venezia: il Bacino di San Marco visto dal Canale della Giudecca (1735-1744 ca)
Sebbene le vedute del Canaletto sono in genere molto accurate dal punto di vista topografico, talvolta questo pittore usò una licenza artistica per rendere le sue composizioni più attraenti per i turisti,  idealizzando la sua città natale con fantasiose prospettive che a volte superavano la realtà includendo il maggior numero possibile di siti turistici. E’ il caso di questo dipinto, in cui l’artista include la Dogana in primo piano a sinistra e cambia la posizione della Biblioteca per comprendere entrambi nella stessa composizione.

Questo dipinto, insieme al suo gemello, forma una coppia di due grandi vedute che mostrano il Bacino di San Marco da punti di vista opposti; Canaletto spesso raffigurava luoghi famosi a Venezia da punti di vista opposti. La prima veduta guarda verso la Chiesa di San Giorgio Maggiore, in lontananza sulla destra, con la Riva degli Schiavoni sullo sfondo. In primo piano a sinistra è la Dogana da Mar, la dogana. La sua torre bassa è coronata da una scultura in bronzo di due nudi maschili che sostengono un globo dorato, sormontato da una figura allegorica della Fortuna che regge una vela che riflette il commercio marittimo di Venezia.

Sia il presente dipinto che il gemello furono acquistati dal 1° marchese di Hertford in una data sconosciuta, probabilmente come ricordo del Grand Tour intrapreso nel 1738-9. Il restauro del dipinto  è stato resa possibile nel 2017, grazie al generoso sostegno della Bank of America Art Conservation Project.

Venezia: il Bacino di San Marco visto da San Giorgio Maggiore (1735-1744 ca)

Questo dipinto, che integra il gemello, sembra essere una raffigurazione fedele del Bacino di San Marco con la chiesa di Santa Maria della Salute, dai gradini della Chiesa di San Giorgio Maggiore. È comunque un’intelligente immagine composita di diversi punti di vista all’interno del cortile di quella chiesa, e include diversi campanili (torri campanarie) di chiese che non possono essere viste da quel punto di osservazione. Le figure in primo piano rappresentano diversi livelli della società veneziana, dal mendicante seduto a sinistra, i mercanti nel centro, e il prete e l’avvocato impegnati in una conversazione a destra. Nell’immagine è presente il consueto assortimento di navi marittime, tra cui un burchiello o nave passeggeri, che viene trainato nella terra di mezzo. Questo è un superbo esempio dell’attenzione di Canaletto alla composizione. Il triangolo della terrazza in primo piano – incorniciato dal burchiello temporaneamente ancorato con il dettaglio dei passeggeri che si imbarcano – è abbinato alla barca nel mezzo del dipinto. I suoi due alberi sono a loro volta replicati nella verticale del Campanile di San Marco e nella cupola di Santa Maria della Salute. Le barche si bilanciano dolcemente nella laguna e l’intera composizione è nuovamente incorniciata, sul lato sinistro, dal profilo di una nave con la vela che spinge verso la città. La Torre campanaria della chiesa di Santa Maria della Carità è visibile dietro il globo dorato della Dogana al centro sinistra. La torre crollò nel marzo del 1744: le due immagini possono quindi essere datate c. 1735-1744.

È una vista attraente e chiaramente identificabile, attentamente calcolata per attrarre i turisti del Grand Tour, con elementi pittoreschi di colore locale che rafforzano l’idea di Venezia come eccitante centro cosmopolita. Acquistato in data sconosciuta dal 1 ° marchese di Hertford, che partecipò al Grand Tour (fu registrato a Roma nel 1738 e Genova nel 1739).

Il suo restauro è stato reso possibile nel 2017 grazie al generoso sostegno della Bank of America Art Conservation Project.

Bartolomé-Esteban Murillo (1617 – 1682)

Giuseppe e i suoi fratelli (1665-1670 ca)
Il soggetto di questo dipinto è diverso dagli altri di Murillo nella Collezione Wallace, sia come scena dell’Antico Testamento che come rappresentazione di forti emozioni. Secondo il Libro della Genesi, Giuseppe era il figlio prediletto di suo padre Giacobbe e per questo molto invidiato dai fratelli maggiori. Quando apparve ai suoi fratelli con un mantello nuovo di molti colori regalatogli dal padre, questi decisero di ucciderlo. Murillo descrive il momento in cui il fratello di Giuseppe, Reuben, persuase gli altri ad attenuare il crimine limitandosi ad abbandonare il ragazzo in un pozzo vuoto.

Il mercante genovese Giovanni Bielato portò questo dipinto, insieme ad altre opere di Murillo, tra cui l’Adorazione dei pastori e San Tommaso di Villanueva, nella sua città natale nel 1670 circa. Dopo la sua morte le opere passarono all’ordine dei cappuccini nella città, da cui furono successivamente acquisiti nel XIX secolo da un mercante inglese.

A causa del soggetto inquietante, il 4° Marchese di Hertford fu incerto se comprarlo, scrivendo al suo agente Samuel Mawson: “Mi piacciono solo le immagini positive e il soggetto del quadro in questione potrebbe non essere del tutto adatto ai miei gusti”. Tuttavia, l’entusiasmo di Mawson sembrò averlo conquistato, dato che lo comprò nel 1854 per 1.680 ghinee.

Vergine e Bambino con Santi (1665-1670 ca)

Questo è uno schizzo preparatorio per una grande composizione, probabilmente per la Chiesa dei Cappuccini a Siviglia. Santa Giusta e Santa Ruffina sono le Sante patrone di Siviglia. Erano sorelle che producevano raffinate ceramiche di terracotta che rifiutarono di vendere per rituali pagani. Furono martirizzate nell’anno 304. Nel 1504, la torre della Cattedrale di Siviglia si salvò dalla distruzione durante un temporale e le sante furono venerate come sue salvatrici. Murillo ritrae le due sorelle inginocchiate accanto alla loro ceramica, tenendo le palme del martirio. Modifiche alla composizione hanno rivelato che erano state originariamente dipinte tenendo in mano un piccolo modello della torre. Con San Francesco d’Assisi e San Giovanni Battista, adorano la visione della Vergine col Bambino, circondati da uno stuolo di angeli celesti. Le oscure presenze della terra, associate alla miseria e al martirio terreno, si dissolvono nella gloriosa luce bianca della divinità.

Il dipinto è stato acquistato dal 4 marchese di Hertford nel 1843.

L’adorazione dei pastori (1665-1670 ca)
Maria mostra Cristo bambino, permettendo ai pastori di essere i primi a conoscere il Figlio di Dio. Portano colombe, l’offerta tradizionale per la purificazione dopo la nascita e un agnello legato. Quest’ultimo simboleggia il successivo sacrificio di Cristo, che il Bambino già contempla nella visione celeste di una croce nella parte superiore del dipinto. Dettagli realistici, come la natura morta del cuscino e il cappello di paglia e il piede sporco del pastore in primo piano, conferiscono all’immagine una sensazione di immediatezza e intimità che rende il suo messaggio ancora più convincente.

Il mercante genovese Giovanni Bielato ha portato questo dipinto, insieme ad altre opere di Murillo tra cui Giuseppe e i suoi fratelli e San Tommaso di Villanueva della Collezione Wallace, nella sua città natale nel 1670 circa. Dopo la sua morte passarono all’Ordine dei Cappuccini nella città, da cui furono successivamente acquisiti nel XIX secolo da un mercante inglese.

Questo dipinto è stato acquistato dal 4° marchese di Hertford nel 1846.

La Sacra famiglia con San Giovannino (1670 ca)

Il soggetto di questo dipinto della Sacra Famiglia deriva dalle Meditazioni Francescane sulla vita di Cristo. Al centro, il bambino Gesù mostra a sua madre una pergamena riferendosi a se stesso come “L’agnello di Dio” (“Ecce Agn [us Dei]”). Gli agnelli erano simboli di innocenza e umiltà, attributi tradizionalmente associati a Cristo stesso e a San Giovanni Battista. Erano anche animali sacrificali, quindi la presenza dell’agnello in questo dipinto predice la Passione di Cristo e il martirio di suo cugino San Giovanni Battista. Il bastone cruciforme del bambino Giovanni rafforza l’emozione del messaggio.

Databile al 1670 circa, il dipinto è appeso nella Sagrestia della Cappella de la Antigua nella Cattedrale di Siviglia. Nonostante gli sforzi per nascondere il dipinto, fu rimosso dal maresciallo generale Soult, comandante in capo delle truppe francesi in Spagna, che aveva preso la città di Siviglia nel 1810. Successivamente fu di proprietà di W. Williams Hope alla cui vendita 1849 fu acquistato dal 4° marchese di Hertford.

La carità di San Tommaso di Villanueva, (1665-1670 ca)
San Tommaso da Villanueva (1488-1555), un frate agostiniano che divenne arcivescovo di Valencia nel 1544, fu canonizzato nel 1658, durante la Controriforma spagnola. Era famoso per le sue opere caritative e viene mostrato qui dare elemosine ai poveri. Murillo dipinse almeno altre cinque scene della vita del santo. L’attuale immagine può essere datata intorno al 1665-70 per lo stile, ed è notevole per il modo in cui l’artista combina una composizione religiosa monumentale con un eccezionale grado di naturalismo. Conformemente agli insegnamenti della Controriforma, il gesto pietoso del mendicante seminudo ha lo scopo di suscitare compassione in chi guarda, come accade nel Santo. A sua volta, l’atto di carità di San Tommaso è similmente calcolato per ispirare ammirazione ed emulazione nello spettatore.

Il mercante genovese Giovanni Bielato portò questo dipinto, insieme a una serie di altre opere di Murillo della Wallace Collection tra cui “Giuseppe e i suoi fratelli” e “L’adorazione dei pastori”, nella sua città natale nel 1670 circa. Dopo la sua morte passarono all’Ordine dei Cappuccini della città, da cui furono successivamente acquisiti nel XIX secolo da un mercante inglese.

Questo dipinto è stato acquistato dal 4 marchese di Hertford nel 1846.

La Vergine e il bambino (1665 – 1670 ca)
La giovane e bella Vergine è raffigurata seduta, tenendo sulle ginocchia il Cristo Bambino. Il loro abbraccio sottolinea l’intimo legame emotivo tra madre e figlio e quindi la loro umanità. Non si guardano l’un l’altro ma il loro sguardo è rivolto verso lo spettatore, ispirando compassione e devozione. Lo sguardo della Vergine è allo stesso tempo tenero e triste, rivelando la sua consapevolezza della futura Passione del Figlio. Il Cristo Bambino, nudo ma parzialmente coperto da un pezzo di stoffa tenuto da sua madre, emana luce. La sua espressione animata e la sua posa dinamica portano un movimento all’immagine controbilanciato dall’immobilità della madre creando così un senso di decorosa serenità.

Le figure sono riprodotte a mezza lunghezza su uno sfondo neutro di un grigio caldo. La fittizia cornice ovale che li circonda crea l’effetto di un dipinto all’interno di un dipinto. Tale dispositivo compositivo veniva usato occasionalmente nella ritrattistica sivigliana dal 1655 ca, come ad esempio nell’Autoritratto di Murillo alla National Gallery. Era anche stato usato dal pittore fiammingo Rubens per incorniciare le icone devozionali della Madonna col Bambino, solitamente adornate con elaborate ghirlande di fiori. Fu acquistato nel 1849 dal 4° marchese di Hertford.

La Vergine e il bambino con un rosario (1670-1680 ca)
Murillo ha trattato il tema della Vergine del Rosario in diverse occasioni: la prima è un’opera dipinta intorno al 1649-50 (Castres, Museo Goya), che può essere collegata all’associazione di Murillo dal 1644 con la Confraternita della Vergine del Rosario. In questa versione, il Cristo Bambino si trova sulle ginocchia della Vergine con in mano un rosario, come aiuto alla devozione. La tenerezza tra madre e figlio si esprime nell’inclinazione, l’un verso l’altro, delle teste, mentre entrambi guardano all’esterno per incontrare il nostro sguardo. Sebbene l’attribuzione a Murillo sia stata messa in discussione nel passato, la composizione e la pennellata sono di una qualità così alta da poter essere attribuita a Murillo . Fu acquistato dal 4° marchese di Hertford in data sconosciuta.

Rubens, Peter Paul (1577 – 1640)

L’adorazione dei Magi (1624)

Questo dipinto mostra i Magi, tradizionalmente astrologi ma in seguito ridefiniti come re, rendere omaggio al Cristo Bambino. Gaspare, il più anziano, viene raffigurato inginocchiato davanti al Cristo bambino offrendogli il suo dono di oro, in omaggio alla regalità di Cristo. Dietro di lui è chino Melchiorre, che porta l’incenso, mentre la figura centrale col turbante è Baldassarre, con in mano la mirra. L’immagine è il modello (il disegno è stato mostrato a un committente per l’approvazione della composizione) per la grande pala d’altare di Rubens per l’abbazia di San Michele, ad Anversa (ora nel Museo Koninklijk voor Schone Kunsten, Anversa), dipinto nel 1624. La composizione finale esibisce un certo numero di variazioni compositive ed è ancora più grande e più monumentale nella concezione.

La sconfitta e la morte di Massenzio (1622 ca)

Costantino il Grande (2480-337 dC), il primo imperatore cristiano di Roma, divenne l’unico imperatore nel 312 d.C. dopo aver sconfitto il suo co-imperatore Massenzio nella battaglia del ponte Milvio sul Tevere, un evento tradizionalmente considerato come un punto di svolta per il cristianesimo all’interno dell’impero romano. Massenzio, che si dice abbia sabotato il ponte, morì quando crollò sotto il peso del suo esercito in fuga. Questa è una delle dodici scene disegnate per gli arazzi che illustrano la vita di Costantino. La serie, celebrativa di un eroe cristiano, fu probabilmente ideata da Rubens per impressionare Luigi XIII di Francia – un re borbonico di Francia – in un’epoca in cui Rubens era spesso a Parigi a lavorare per la madre del re, Maria de’ Médici.

Il trionfo di Enrico IV (1628)

Questo bozzetto, insieme a “La nascita di Enrico IV” e “L’unione di Enrico IV e Maria de’ Medici” fa parte di una serie preparata da Rubens per un ciclo di dipinti al Palazzo del Lussemburgo a Parigi che illustra la vita di Henri IV. Enrico di Bourbon (1553-1610) divenne Enrico IV di Francia nel 1589. Nel 1600 sposò la figlia di Francesco, Granduca di Toscana, Maria de’ Medici, dalla quale ebbe un figlio, il futuro Luigi XIII. Protestante di nascita, si convertì al cattolicesimo nel 1594 e unì la Francia come regno cattolico, ponendo fine a quarant’anni di guerra civile. L’attuale bozza ha una composizione a fregio, con Enrico IV vestito in abito militare classico che regge la palma della vittoria, disegnato su un carro “alla maniera dei trionfi dei Romani”.

La nascita di Enrico IV (1628)

Questo è uno dei tre modelli della collezione Wallace relativi al ciclo previsto da Rubens per illustrare la vita di Enrico IV (1553-1610), destinati al palazzo del Lussemburgo a Parigi. La serie di ventiquattro dipinti, raffiguranti tutte le battaglie, icombattimenti, le conquiste e i trionfi di Enrico IV “alla maniera dei trionfi dei Romani” come specificato nel contratto firmato da Rubens nel 1622, fu commissionata da Maria de’ Medici e destinata a completare una serie simile che mostrava la “vita illustre e gli atti eroici” della sua vita (completato nel 1625). Rubens completò i modelli (gli schizzi furono mostrati al cliente per l’approvazione della composizione) nel 1628. Non completò mai i dipinti finali, i cui progressi furono ostacolati da dispute riguardanti le loro dimensioni e infine interrotti dall’esilio forzato del suo mecenate nel 1631. Questo disegno e “Il matrimonio di Enrico IV e Maria de ‘Medici” furono entrambi progettati per affiancare “Il trionfo di Enrico IV”. Qui è illustrata una descrizione allegorica della nascita di Enrico IV, avvenuta il 14 dicembre 1553 nel castello di Pau, nel sud della Francia. Il piccolo Enrico IV è cullato da una donna che simboleggia la città di Pau, mentre Marte, dio della guerra, consegna al bambino una spada come emblema della sua futura prodezza militare.

L’adorazione dei Magi (1633)

Nel 1609, Rubens divenne pittore di corte per i governatori spagnoli dei Paesi Bassi, gli Arciduchi Albert e Isabella. Da questo momento fino al 1622 ricevette molte commissioni per le chiese a Bruxelles e ad Anversa, parte del consistente programma di costruzione e restauro di chiese intrapreso durante la tregua di 12 anni nella guerra tra Spagna e Paesi Bassi, 1609-21. Più intimo rispetto all’altro trattamento dello stesso soggetto da parte di Rubens nella Wallace Collection, questo dipinto è il modello per la pala d’altare dipinta da Rubens per il convento delle Dame Bianche a Louvain, ora nella Cappella al King’s College , a Cambridge. L’immagine fu commissionata dalla priora, Anna van Zevendonck, e pagata nel 1634.

 La Sacra Famiglia con Santa Elisabetta e San Giovanni Battista (1614 – 1615)

Il dipinto, opera relativamente agli inizi dell’attività di Rubens, fu eseguito per l’arciduca Alberto, il governatore dei Paesi Bassi spagnoli, e appeso nel suo oratorio privato al Palazzo Ducale di Bruxelles. Rubens ricevette 300 fiorini per la pittura nel 1615. L’argomento è tratto dalle Meditazioni sulla vita di Cristo, una fonte popolare per gli artisti cattolici del Seicento. In questa immagine, il bambino San Giovanni Battista è identificato dalla pelle di animale che avrebbe indossato in seguito mentre predicava nel deserto. Durante il XVIII secolo il dipinto apparteneva all’imperatore austriaco Giuseppe II. Fu acquistato dal 4° marchese di Hertford nel 1846 per l’enorme somma di 2.660 ghinee, a dimostrazione dell’elevata considerazione in cui la storia e le tele religiose di Rubens erano tenute nel diciannovesimo secolo.

 

Cristo consegna le chiavi a Pietro (1616)

In questa pala d’altare, Rubens fonde un episodio del Vangelo di San Giovanni, quando Cristo disse al suo discepolo Pietro “Pasci le mie pecore”, con il racconto nel vangelo di san Matteo della promessa di Cristo di presentare Pietro con le Chiavi del Regno dei Cieli. Il soggetto era raro, sebbene fosse stato usato da Raffaello per gli arazzi della Cappella Sistina a San Pietro, a Roma. Il dipinto fu commissionato per la tomba di Nicholas Damant (1531-1616) nella chiesa di St Gudule, a Bruxelles. L’argomento suscitò una particolare risonanza per il cliente di Rubens, perché il padre di Damant, chiamato anche Pietro, era stato sepolto davanti allo stesso altare. Damant, come San Pietro, si era distinto come un fedele servitore cattolico; sia nel suo ruolo di presidente del corpo giudiziario del Consiglio delle Fiandre e sia come consigliere degli arciduchi Alberto e Isabella dalla fine del XVI secolo. Il dipinto rimase a St Gudule a Bruxelles fino alla vendita della chiesa nel 1800. Il 4° marchese di Hertford acquistò successivamente il dipinto alla vendita di Guglielmo II d’Olanda all’Aia nel 1850.

Domenico Zampieri detto Domenichino (1581 – 1641)

Una Sibilla (inizio anni ’20)
Le immagini delle Sibille godevano di grande favore nell’arte barocca italiana, poiché fornivano agli artisti una scusa legittima per ritrarre giovani belle donne in abiti esotici. L’artista bolognese Domenichino è noto per aver dipinto almeno altre due Sibille: una con un simbolo musicale e un’altra con una pergamena greca (entrambe a Roma, nella Pinacoteca Capitolina e nella Galleria Borghese). Le tre opere strettamente correlate raffigurano donne con ricchi costumi ed elaborati copricapo. L’immagine della Wallace Collection mostra una maggiore libertà di tocco ed è generalmente considerata precedente alle altre, databile a circa il 1620.

L’immagine apparteneva al reggente di Francia, Philippe duca d’Orléans (1674-1723), e in seguito al suo discendente Philippe-Égalité, duc d’Orléans (1747 – 93). Il quadro fu acquistato dal 4° marchese di Hertford, “sia per la cornice che per il dipinto”, quando fu venduto dal 2° duca di Buckingham nel 1848.

Anthony van Dyck (1599 – 1641)

Philippe Le Roy 1630
Riconosciuto a lungo come uno dei più grandi lavori di Van Dyck e uno dei ritratti più belli sopravvissuti del suo secondo periodo di Anversa (1627-1632), questo lavoro dimostra la capacità dell’artista di catturare non solo i tratti dei suoi modelli ma le loro aspirazioni. Philippe Le Roy (1596-1679) era il nipote illegittimo di un famoso industriale di Anversa. A dimostrazione del suo acume finanziario, Philippe fu in grado di acquisire la terra e i diritti feudali nei villaggi di Ravels e Eel, e il diritto di esser chiamato ‘Lord di Ravels’. Nel 1631 sposò Marie de Raet (1614-62), figlia di François de Raet, monaco di Anversa, signore di Couwenstyn. Segnò questa unione commissionando l’attuale coppia di ritratti a Van Dyck. Il ritratto di Le Roy fu dipinto, probabilmente per celebrare il suo fidanzamento, nel 1630. Commissionando un costoso ritratto a figura intera, il soggetto manifestò chiaramente il suo desiderio di essere ritratto in modo grandioso.

I ritratti furono acquisiti dal 4° marchese nel 1850.

Marie de Raet, 1631
A lungo riconosciuti come due dei più grandi lavori di Van Dyck, questi dipinti sono i migliori ritratti del suo secondo periodo di Anversa (1627 – 32). Philippe Le Roy (1596 – 1679) era il nipote di un industriale di successo nella produzione di polvere da sparo ad Anversa e il suo acume finanziario gli permise l’ascesa nel mondo dell’epoca. Nel 1631, sposò Marie de Raet (1614 – 62), la figlia sedicenne di François de Raet.

Probabilmente Le Roy commissionò questa coppia di ritratti a Van Dyck per celebrare questa unione; il suo ritratto celebrava il fidanzamento con Marie de Raet nel 1630. Commissionando un costoso ritratto a figura intera, il soggetto chiarì fin dall’inizio il suo desiderio di essere ritratto in maniera grandiosa. Van Dyck riuscì trionfalmente a creare un’immagine che corrispondesse alla grande ambizione di Le Roy, mentre incarnava gli ideali di corte contemporanei.

Il dipinto è una delle poche opere a cui Van Dyck ha aggiunto la sua firma. Marie de Raet fu dipinta l’anno seguente per celebrare il matrimonio della coppia. Lei è raffigurata nelle trappole della nobiltà, incarnando la ricchezza e il gusto del suo nuovo marito, ed è tanto più incantevole per la sua aria di innocenza e vulnerabilità, che traspare attraverso lo sfarzo. I ritratti furono acquisiti dal 4° marchese nel 1850.

Ritratto di Isabella Waerbeke, 1628 ca.
Isabella Waerbeke era la moglie del pittore di animali Paul de Vos e la coppia era membro di spicco della comunità artistica di Anversa nel diciassettesimo secolo. Il fratello di Paul era il ritrattista Cornelis De Vos. Rubens fece il padrino al figliolo di Paul e Isabella: Peter Paul. Van Dyck era anche un amico di famiglia; dipinse questo ritratto di Isabella Waerbeke nel 1628 circa. In origine, l’immagine aveva come compagno un ritratto del marito e i dipinti vennero appesi insieme in una stanza al piano terra della casa di De Vos ad Anversa e furono lasciati al loro figlio, Peter Paul, nel 1675. Entrambi i quadri furono acquistati dal 3° Marchese di Hertford alla vendita ad Hope del 1816, per 100 ghinee. Lord Hertford successivamente vendette il ritratto di Paul de Vos, che fu successivamente distrutto in un incendio al Palazzo di Laeken, a Bruxelles, nel 1890-1.

Willem van de Velde the Younger (1633 – 1707)

The Burning of the Andrew nella battaglia di Scheveningen (1653 – 1654 ca)
Questa immagine illustra un episodio della battaglia di Scheveningen, che ebbe luogo tra il 31 luglio e il 10 agosto 1654 e costituì l’ultimo impegno della prima guerra anglo-olandese (1652-4). In primo piano la nave da guerra olandese, il Fortuin (Fortuna) sta per speronare l’Andrew, comandato dal contrammiraglio inglese Thomas Graves. Le navi da fuoco funzionavano come bombe galleggianti. Erano piene di materiale combustibile e venivano attrezzate per esplodere simultaneamente. Sebbene l’Andrew sia sopravvissuto all’urto, gli olandesi, in una sconfitta altrimenti schiacciante, hanno affermato che era stato l’unico successo.

Calma: navi olandesi che arrivano ad Anchor (1655 ca)
Il maestoso paesaggio marino dell’olandese Willem van de Velde Younger, descritto in “Calma: navi olandesi che arrivano ad Anchor”, è una delle opere più importanti prodotte dalla bottega Van de Velde durante il suo periodo olandese, prima che la famiglia si trasferisse in Inghilterra nel 1671-2. La nave in primo piano a sinistra fa sventolare la bandiera e il vessillo del comandante in capo della flotta olandese, e fu identificata come il Liefde comandato da Cornelis Tromp, che fu per un breve periodo Comandante della Flotta nel 1665. All’estrema destra veleggia il Leeuwarden e in lontananza si può distinguere la torre di Brandaris sull’isola di Terschelling. In considerazione del soggetto, questo dipinto potrebbe essere stato commissionato da Tromp nel 1665 o subito dopo, per commemorare il suo breve comando. Fornisce un meraviglioso contrappunto visivo alla vivace visione di Rubens del paesaggio fiammingo sulla parete opposta. In The Rainbow Landscape, Rubens celebra la ricchezza agraria delle Fiandre, mentre Van de Velde in questo dipinto commemora le prodezze marinare degli olandesi nel diciassettesimo secolo.

Fu acquistato dal 4° marchese di Hertford nel 1846.

Bartolomeus van der Helst (1613 – 1670) 

Jochem van Aras con sua moglie e sua figlia (1654)
In questo vivace ritratto, firmato e datato 1654, Bartholomeus van der Helst dipinse Jochem van Aras, un benestante fornaio e mercante di Amsterdam, con la moglie Elisabeth Claes Loenen e la figlia Maria van Aras. Il dipinto celebra la ricchezza della coppia nei loro bei vestiti, mentre uno scorcio di quella che probabilmente è la loro casa di campagna e tenuta (vicino a Haarlem) è visibile nel paesaggio sulla destra.

La lepre che la donna mostra con orgoglio non solo celebra l’abilità di caccia di suo marito, ma è un riferimento all’estensione del diritto di cacciare, fino a poco tempo prima privilegio esclusivo dell’aristocrazia, ai ricchi borghesi. Dipinto durante il periodo in cui la reputazione di Van der Helst come ritrattista aveva eclissato quella di Rembrandt, l’immagine mostra le figure ben modellate, un’attenta cura del personaggio e del costume, la finitura liscia e il colore chiaro che lo hanno reso l’artista favorito della prospera élite in Amsterdam e città circostanti. I cani e la frutta erano tradizionalmente attribuiti a Jan Baptist Weenix.

Il dipinto è stato acquistato dal 4° marchese di Hertford nel 1862.

Antoine Watteau (1684 – 1721)

Festa galante in un paesaggio boscoso (1719 – 1721 ca)
Questa Festa galante è una versione su larga scala di “Les Champs Elisées” anch’essa alla Collezione Wallace. I loro diversi stili e alcune osservazioni tecniche suggeriscono che la grande ‘Festa galante’ è probabilmente anteriore al piccolo pannello. Il villaggio sullo sfondo qui è settentrionale, non italiano come su “Les Champs Elisées”. La scultura della donna seduta è un’allegoria dell’opportunità – su “Les Champs-Elisées” viene mostrato un nudo femminile reclinato non specificato. La donna seduta è mostrata con i capelli lunghi che cadono solo da un lato, che mostra che l’opportunità può essere afferrata solo al momento giusto. Il 4° marchese di Hertford acquisì solo la “Festa galante in un paesaggio boscoso” per 1.050 ghinee nel 1848 e riunì i gemelli nel 1865. Entrambi i dipinti sono tra le più grandi opere di Watteau.

Bibliografia

The Wallace Collection – Scala Art, 2014

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