La tela della Visitazione nella Chiesa matrice di Mesagne

Nella Chiesa matrice di Mesagne sotto il titolo di tutti i Santi, nel transetto di sinistra, nella parte postergale di quello che era l’altare intitolato alla Visitazione della B. V. Maria è collocata la tela di grandi dimensioni della Visitazione con i santi Nicola ed Eligio.
Il recente restauro, ha messo in evidenza l’ottima fattura dell’opera, sia che si consideri l’aspetto iconografico, sia che si guardi l’aspetto figurativo.
Il dipinto al suo interno è diviso in due registri. In quello superiore, al di sopra di una sontuosa architettura, si svolge l’episodio evangelico della Visitazione della Vergine Maria a Santa Elisabetta. L’anziana cugina di Maria, sul pianerottolo coperto da una volta a botte racchiuso da una balaustra, accoglie e abbraccia la giovane Maria che si appresta a salire la rampa di scale. L’abbraccio, scambio affettivo e momento centrale dell’episodio, è narrato in maniera intensa e questo grazie alla luminosità, che avvolge i due soggetti e che modella i corpi, contribuendo a far emergere la naturalezza dello status emotivo delle due donne.
Altre figure assistono al momento. A destra, alle spalle di sant’Elisabetta, due donne osservano dalla balaustra. In secondo piano, rispetto a sant’Elisabetta, c’è san Zaccaria. L’uomo è in procinto di togliersi il cappello in segno di rispetto per colei che avrebbe dato alla luce il Messia.
In basso alla rampa di scale, invece, sono collocate due figure maschili. E’ riconoscibile un anziano sorretto da un bastone: potrebbe trattarsi di san Giuseppe. Una particolarità importante è la differenza dei costumi, le due donne sono coperte con abiti di età classica, mentre le figure poste ai margini vestono secondo la moda tardo secentesca. Questo particolare evidenza la volontà di voler attualizzare nel tempo l’episodio sacro.
Il registro inferiore è più movimentato. A sinistra è raffigurato san Nicola di Myra, mentre a destra c’è sant’Eligio. Entrambi sono raffigurati con le relative caratteristiche iconografiche.

Il Santo “taumaturgo” è raffigurato secondo l’iconografia canonica e cioè di carnagione scura, benedicente, con il pastorale vescovile e veste paramenti liturgici tradizionali tipici del rito greco. E’ circondato da alcune figure che rimandano a ben noti episodi della vita del santo. Alla sua destra troviamo due uomini, uno dei quali tiene in mano i libri con sopra le tre palle, che simboleggiano le borse della sua elemosina. In primo piano all’interno di un tino di legno sono inseriti tre bambini. Allusione all’episodio in cui San Nicola resuscitò i tre bambini fatti a pezzi e messi in salamoia. A sinistra invece è rappresentato un giovane con un vassoio con sopra una caraffa. Anche questo è un miracolo del santo, il famoso “miracolo di Adeodato”.
Sant’Eligio, segnalato in maniera esatta di recente, in quanto in una precedente pubblicazione lo associavano alla figura di sant’Agostino, è raffigurato con le insegne vescovili ed è circondato da alcune persone. In primo piano è collocato un uomo con un cavallo, richiamo questo ad un episodio della sua vita.
Alcuni particolari presenti all’interno dell’opera mettono in luce la bravura e lo spirito di ricerca del pittore nel guardare maestri salentini del passato come ad esempio Giovanm Andrea Coppola (1597-1659) e pittori di ambito giordanesco come Paolo De Matteis (1662-1728) e Andrea Miglionico (1662-1711), Nicola Malinconico (1663-1726) e Giovan Battista Lama (1673-1748).
Una prima ipotesi di attribuzione, con alla base la sola formazione salentina, fu data da Massimo Guastella, associando lo stile a quello del pittore di Lequile Oronzo Miccoli (secc. XVII-XVIII), nonché figlio dell’architetto Salvatore Miccoli, mastro ricostruttore della Chiesa Matrice nel XVII secolo.
Alcune osservazioni però ci aiutano a compiere un ulteriore passo in avanti sulla paternità dell’opera, soprattutto sull’ambito di realizzazione e sul periodo. All’interno della tela sono numerosi i richiami a pittori napoletani operanti fra fine Seicento e inizi Settecento. Il primo esempio è presente nel gruppo centrale della tela, cioè l’incontro fra le due donne. L’accoglienza così pronunciata di sant’Elisabetta è presente nell’omonima tela di Andrea Miglionico conservata nella Cattedrale di Irsina.
Questo particolare della tela della Chiesa Matrice è poi stato ripreso da Domenico Pinca nella tela della Visitazione realizzata nel sec. XVIII, un tempo nella Chiesa Matrice, oggi conservata nella Chiesa della Ss. Annunziata a Mesagne. Anche l’imponente figura di sant’Eligio ricorda molto un san Nicola di Myra di Nicola Malinconico.
Pittori nostrani, attivi nella prima metà Settecento, che mostrarono interesse per le novità pittoriche napoletane, divenendo a loro volta divulgatori di tali originalità in Terra d’Otranto furono del resto i fratelli Diego Oronzo Bianchi (1683-1767) e Matteo Bianchi (1695-1777), pittori di Manduria molto richiesti dalla committenza. Essi appresero la lezione di Luca Giordano attraverso la mano di Paolo De Matteis, di cui furono principali copisti, senza tralasciare l’attenta osservazione verso altri maestri di questa scuola Andrea Miglionico e Nicola Malinconico. E’ bene segnalare che il fenomeno del “giordanismo” si diffuse in Puglia fra fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo.
Dei Bianchi, Diego Oronzo operò molto in area brindisina e leccese, lasciando diverse opere, nel particolare quelle realizzate negli anni Trenta del Settecento. C’è, dunque, un arco temporale ancora poco noto che va dal finire degli anni Dieci del Settecento — l’Ultima Cena della Cattedrale di Brindisi fu realizzata nel 1715 — agli anni Trenta. Di Matteo Bianchi, invece, si conosce parte della formazione, avvenuta fra Roma e Napoli, ma soprattutto gran parte del corpus delle opere resta ancora nell’ombra.
Quindi la tela della Visitazione che ci occupa la si potrebbe inserire nell ‘ambito pittorico dei Bianchi, perché se osserviamo il Dio Padre presente nell’Annunciazione conservata nella Chiesa di sant’Antonio a Latiano e attribuita da chi scrive a Diego Oronzo Bianchi e, se lo confrontiamo al San Biagio presente nella tela San Biagio, Sant’Antonio Abate e San Lorenzo, realizzata dal pittore manduriano per la Chiesa di san Domenico a Gravina di Puglia, possiamo riscontrare analogie con il sant’Eligio presente nella Visitazione di Mesagne. Anche il giovane con il vassoio e la brocca ricorda un analogo giovane presente nella “Circoncisione” di Matteo Bianchi conservata a Manduria nella Chiesa del Carmine. All’interno della stessa tela anche la brocca posta in primo piano è decorata, proprio come quella presente nella tela di Mesagne,
L’ipotesi di collegare la tela che ci occupa alla cerchia del Bianchi è avvalorata dal fatto che Diego Oronzo Bianchi ha avuto modo di lavorare in Mesagne nella prima metà del Settecento per il cantore della Collegiata don Diego Baccone, per il quale realizzò l’Immacolata Concezione conservata nel Museo d’arte sacra.
Ulteriori particolari presenti all’interno della tela sono il luminismo, l’accurata elaborazione del panneggio delle vesti e, soprattutto, la plasticità dei corpi data dal gioco di luci ed ombre e dalla leggera gradazione del colore, particolari questi presenti nelle opere dei pittori manduriani.
Dal punto di vista documentale invece la tela è menzionata nell’Apprezzo del Feudo di Mesagne eseguito dal Regio Tavolario Pietro Vinaccia nel 1731: “A man sinistra vi è la cappella sotto il titolo della Visitazione con quadro ad olio jus patronato della famiglia Tabetta”. Mentre il solo altare su cui è collocata, vale a dire quello della Visitazione, è riportato in due documenti, il primo è la Relazione di don Antonio Moranza del 1744, in cui è scritto: …l’altare della Visitazione della Vergine è de iure Patronatus della famiglia Simone, quale possiedono oggi gli Eredi Profilo che hanno il carico d’ornarla”; il secondo è il Rivelo del Reverendo Capitolo di Mesagne, redatto dal canonico Cosimo De Marinis nel 1752, in cui è riportato: “nell’altro lato vi è l’Altare della Visitazione Patronimica della famiglia Tabetta…”. È bene sottolineare che solo nel documento del 1744 si legge del patronato della famiglia Simone, mentre nei documenti del 1731 e 1752 il patronato è della famiglia Tabetta. Non ci resta che ipotizzare che fosse stata la famiglia Tabetta a commissionare l’opera.
Fra i componenti di questa famiglia veniamo a conoscenza di don Patrizio Tabetta, sacerdote capitolare vivente nel 1738 e morto nel 1753, di Nicola Tabetta, fratello di don Patrizio, residente a Mesagne nel 1760. È da ipotizzare che fossero loro i committenti della tela, anche perché, la scelta di raffigurare san Nicola di Myra è collegabile al nome di uno dei membri della famiglia: Nicola, appunto, fratello di don Patrizio.

Domenico Blè – articolo pubblicato su Parola e Storia a. XIII n. 2/2019. Rivista della Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo”,  Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni

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