Palazzo Pignaflores

E’ ubicato nell’attuale via San Benedetto al civico 54 e presenta un esemplare lapideo sul portale attribuito alla famiglia.

Lo stemma che ha forma ovale è “guarnito dalle parti laterali da due mascaroni con lunga barba, come pure il di sotto dello stemma è guarnito da un altro mascarone fra due ornati antichi. Sopra vi appoggia un cimiero con maschera chiuso voltato a destra guarnito da piume. Il campo è diviso in tre parti. Nella parte superiore vedesi due uomini con berrettino in testa che portano un’asta appoggiata nelle spalle, ed in mezzo a quest’asta, vi è legato un grande pino con due frondi. All’altra metà del campo, ossia nella parte inferiore a destra rappresenta un braccio con uno stile in mano di forma antica. A sinistra poi rappresenta tre rosette, e sopra a queste vi è una piccola fascia cui appoggia un giglio. Come pure al di sotto delle dette rosette, vi è una piccola fascia, e sotto questa due gigli.” (1)

“Di proprietà anticamente dei Delle Donne, il palazzo risale quasi sicuramente alla fine del 1500, e passò nel 1614, con regolare vendita, ai Pignaflores la cui dinastia però si estinse con un ecclesiastico alla fine del ’700. Subentrò il notaio Vito D’Aprile che nel 1805 pare lo abbia offerto come regalo di nozze alla figlia Elisabetta per il matrimonio con il giovane di studio Oronzo Nisi.” (2)

“Oronzo Nisi è figura non secondaria della Carboneria brindisina; nel 1821 è segnalato dalla polizia borbonica quale patriota, nel 1827 si considera aderente alla vendita dei Liberi Piacentini, nel 1829 “proprietario, settario [prima del 1820] carbonaro, filadelfo e deciso. Maestro carbonaro e segretario filadelfo. Oltre l’essere stato un antico ed effervescente settario, fu anche legionario, graduato di sergente maggiore”. La sua effervescenza era stata manifesta nel turbolento triennio che segue il ritorno dei Borboni sul trono di Napoli; Oronzo Nisi ” di pieno giorno”, con Stanislao Graziani e Vincenzo De Pace, prese “a fucilate don Giuseppe Tommaso Carrasco, producendogli cinque ferite. Mentre il colpito veniva trasportato in casa al vico Geofilo giunse l’aiutante di piazza il quale sparò contro di loro mentre fuggivano. Saccheggiavano, per conto dei Decisi, Giuseppe e Salvatore Radice di Carovigno, Leonardo Paliero, Mauro Gusman, giovine del magazzino di Giuseppe Nervegna. Si adunavano presso il caffettiere Cicciotto e depositavano scrupolosamente i denari rubati o estorti nella cassa delle prede tenuta da Teodoro Fornaro”.” (3)

“Urgeva infatti in lui il desiderio di libertà e la tensione verso i grandi ideali che vedeva quotidianamente calpestati all’insegna della legalità costituita. Non aveva esitato perciò, in quel difficile inizio di secolo, a mettere a disposizione della setta la propria casa che ben si offriva alle sedute, per i vani al piano terra collegati al giardino con l’uscita sull’altra strada.” (2)

“Le riunioni si erano tenute a ritmo quasi regolare, senza grossi inconvenienti. Ma una notte avvenne un fatto che non avevano previsto, che non avrebbero voluto che si verificasse e che lasciò in loro un segno indelebile.”(..) Quella notte, Oronzo Nisi con gli altri erano riuniti come al solito: correvano sulle loro bocche le grandi aspirazioni ad una condotta politica più equa e rispondente ai bisogni più veri dell’intero popolo, ma anche le piccole miserie della città. Soprattutto si soffermarono a commentare la mascherata politica, organizzata nell’ultimo giorno di Carnevale del 1821.” (2)

“«Ciro Andriaci, quel cugino rinnegato del Sottintendente, era livido, l’avete visto? » risultava il commento più diffuso. Era sfilato infatti per le vie di Brindisi e su iniziativa di Francesco D’Oria, capitano al lazzaretto del Porto e « scalmanato settario », « un convoglio fatale» che rappresentava la condanna a morte del Principe di Metternich, mediante un fantoccio, confortato dal calzolaio Leonardo De Roma, per l’occasione ecclesiastico convinto (*). Al rievocare l’episodio con alcuni particolari salienti da retroscena, scoppiarono tutti in una risata sonora, forse troppo, che si spense però subito nell’echeggiare di decisi colpi di battente sul portone: due forti e tre piccoli e ravvicinati. Era il segnale prestabilito per quella seduta. Un cugino ritardatario? Gli occhi corsero rapidi a controllarsi reciprocamente: c’era qualche assente. Guardingo comunque Oronzo Nisi aprì il portello che per poco non richiuse subito, avendo riconosciuto nel «ritardatario» Giovannino, il giovane sacrestano della dirimpettaia chiesa di S. Benedetto.

« Tu qui, a quest’ora?».

«Don Oronzo perdonatemi l’intrusione. Io… Voglio essere dei vostri. Per me c’è ormai un solo catechismo, quello costituzionale. Voglio lottare anch’io per la libertà e tutte quelle belle idee di cui ho sentito tanto parlare nelle botteghe e in piazza. Iscrivetemi, ve ne prego, alla vostra setta».

«Di quale setta stai parlando?» chiese gelido Oronzo, cercando di prendere tempo. «Non mi nascondete la verità, Don Oronzo. Di me vi potete fidare. Sono sincero credetemi. Li ho visti entrare, ero nel campanile. Potrei anche riconoscerli. Presentatemi a loro, sto dalla vostra parte».

Sincero… sincero… sincero… Questa parola risuonava cupa e forte nella mente di Oronzo, che lo osservava attentamente, scrutando ogni gesto e ogni minima espressione del volto o soltanto inflessione della voce.

Un sospetto però si faceva sempre più strada in lui: e se fosse stato una delle tante spie che si volevano infiltrare per raccogliere prove contro il loro movimento? Non poteva rimandarlo indietro, doveva far partecipi gli altri del fatto, avrebbero deciso loro il da farsi. «Vieni, Giovannino, vieni» disse dunque Oronzo con un gelo nel petto (l’aveva visto crescere quel ragazzo!) «Ti presenterò ai cugini, dovrò bendarti però».

Cosa avvenne poi? Probabilmente un sommario processo. Il verdetto? Non c’è dato saperlo con sicurezza. Una cosa sola è certa: il giorno dopo all’Ave Maria non si sentirono suonare le campane della chiesa di S. Benedetto. I fedeli ne rimasero sconcertati, ma si disse poi, in paese, che Giovannino era inspiegabilmente sparito. Nessuno d’allora lo vide più.” (2)

Note:

(*) Tra i capi più attivi era segnalato il capitano del lazzaretto del porto Francesco D’Oria che fu alla testa di una mascherata politica or­ganizzata in casa del notaio Orazio Nisi, altro acceso carbonaro, e che sfilò l’ultimo giorno di carnevale del 1821. Dalla casa del Nisi uscì il « convoglio fatale », come lo chiama il commissario di polizia, simboleggiante la condanna a morte del principe di Mettermeli, rappresentato da un fantoccio, mentre il calzolaio Leo­nardo De Roma rappresentava un ecclesiastico che confortava il condannato. Secondo un rapporto del sottintendente Andriaci, il Nisi ed il De Roma, che prima di essere carbonari erano appar­tenuti alla setta dei Decisi, erano segnalati come propagandisti delle idee liberali nelle botteghe e nella piazza, spiegando il ca­techismo costituzionale, e come seduttori della gioventù, incitan­dola ad iscriversi alla loro setta.

Bibliografia:

(1) Araldica della città di Brindisi nelle memorie di Giovanni Leanza. A cura di G. Maddalena Capiferro. Martano Ed. – 2005

(2) N. Cavalera, I palazzi di Brindisi. Schena Ed.

(3) G. Carito, Brindisi Nuova Guida. Italgrafica Ed. Oria (Br) – 1994

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