La Chiesa di San Paolo Eremita diventa Museo Diocesano

Trasferimento del Museo “G. Tarantini” 

La chiesa di Santa Teresa ha ospitato fino al 2021 il Museo Diocesano “Giovanni Tarantini”, poi l’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni ha ottenuto il finanziamento per il bando Regione Puglia “Interventi per valorizzazione e fruizione patrimonio culturale appartenente agli Enti ecclesiastici”, con il potenziamento dell’offerta di servizi culturali, attraverso la realizzazione di laboratori e l’adeguamento tecnologico del patrimonio culturale.
Ad oggi il Museo, dopo aver ottenuto i dovuti permessi dalle Soprintendenze che hanno diritto e dovere di tutela sul territorio, è stato trasferito presso la chiesa di San Paolo l’Eremita.
Nelle sale espositive della chiesa sono collocati i diversi pezzi seguendo un percorso sia cronologico sia tematico che si apre con l’esposizione della Platea del 1738 ovvero l’inventario dei beni del convento di San Paolo de’ Minori Conventuali che presenta l’unica pianta esistente del convento.

Platea del 1738

14 giugno 1253. Una pergamena conservata nella Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” di Brindisi riporta un atto di vendita di certe terre. Alla normalità dell’atto una nota a tergo con scrittura trecentesca “Su questa terra fu costruita la chiesa di S. Paolo”. L’Archivio di Stato di Napoli conserva l’atto più antico riferito alla chiesa: un’indizione del 2 marzo del 1284 con cui re Carlo I d’Angiò concesse il comprensorio della Zecca ai padri francescani per l’edificazione del loro convento e della chiesa, la cui costruzione si prolungò fino al 1322 come lo storico brindisino Andrea Della Monaca riportava scolpito in una delle travi dell’edificio, vicino la Porta Maggiore. La dedicazione a San Paolo di Tebe era legata allo spirito dell’eremitaggio francescano, una vita interamente dedicata alla lode di Dio ed al servizio di tutta l’umanità, attraverso la penitenza e la preghiera. Questo è assolutamente presente nella chiesa di San Paolo Eremita in Brindisi: agile ed austera secondo l’ideale francescano, navata unica, abside slanciata, pareti ampie, originariamente ricoperte da affreschi con teorie di santi e scene di pietà cristiana, solcate da lunghi e stretti finestroni. Sugli affreschi parietali, tra i quali spicca l’ultimo appena ritrovato della Dormitio Virginis sono stati sovrapposti gli Altari barocchi policromi od in pietra locale dedicati a San Giuseppe da Copertino, Sant’Antonio da Padova (1632), Santa Maria (1603), Santissimo Crocifisso, Immacolata (1741) e ai Santi Vito, Modesto e Crescenza quest’ultimo realizzato dagli scultori leccesi Agostino de Matteis e Pietro Spongano. Protagonista sempre è la Vergine-Sposa-Madre scelta da Dio, la donna partecipe del comune destino di lotta e di dolore che giunge alla piena glorificazione dopo le prove della vita terrena e passando per il sonno della morte.

Dormitio Virginis

Altare dedicato a Sant’Antonio da Padova

Altare dedicato all’Immacolata Concezione

Altare dedicato all’incoronazione della Madonna del Carmelo e dei Santi Caterina, Paolo Eremita e Diego, e la famiglia Perez Noguerol

Altare dedicato ai Santi Vito, Modesto e Crescenza

Altare dedicato a S. Giuseppe da Copertino (in restauro)

Altare un tempo del SS. Crocifisso, su cui oggi campeggia un affresco di città (forse Brindisi), sormontato dalle sculture del sole e della luna.

Simboli che dopo un percorso iniziale di tradizione pagana entrano nella tradizione grafica cristiana. Presentati insieme, rappresentavano la notte e il giorno, quindi il passare del tempo, confermando l’entità divina del Cristo che è al di sopra del tempo e della storia.

Per varie ragioni la chiesa ha subito vari rifacimenti a partire già dai primi anni del Cinquecento con la sostituzione del soffitto originale in “Gigli pintati“, dei quali restano solo poche tracce, con l’attuale copertura a capriate, poi a causa delle minacce di crolli fra 1825 e 1826 la facciata è stata arretrata di otto metri con la soppressione della prima campata e rimozione di due altari. Nel 1809 il convento fu soppresso e abitato da militari e prima come gendarmeria reale e poi casa di detenzione. Dopo la restaurazione nel 1828 mons. Pietro Consiglio, arcivescovo di Brindisi (1826-1839), cedette l’edificio alla Confraternita dell’Immacolata che ne ha avuto cura e premura.

Una chiesa amata da molti fedeli che nei secoli hanno devoluto i loro beni a partire dal XVI secolo fino ai giorni nostri, come risulta dalla Platea settecentesca dei beni del convento conservata nella Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” e qui esposta.

Una chiesa in cui la devozione popolare si respira profondamente. Nella cappella di San Francesco è posto il Monumento sepolcrale  del figlio del medico storico brindisino Giovanni Maria Moricino (1558-1628), che morì a 16 anni cadendo da un albero di gelso nel giardino del monastero. Sulla tomba il padre fece incidere distici elegiaci in latino. E’ inoltre conservata nella chiesa una macenula, una statua della Vergine Immacolata vestita in corso d’anno con quattro abiti arricchiti da preziosi ricami, detta la Madonna del Terremoto per aver messo in salvo la città di Brindisi dal terremoto del 20 febbraio 1743.

Tra le Tele si ricordano quella della Madonna del Carmine con i santi Caterina, Paolo eremita, Diego attribuita ad Alessandro Fracanzano, quella raffigurante la famiglia Perez Noguerol dipinta nel 1603, della Immacolata Concezione, del Transito di san Giuseppe e l’Annunziata, della Madonna della Concordia dei primi del XVII secolo, la  Visitazione del 1559, opera autografa del pittore brindisino Jacopo de Vanis.

Decorazioni floreali e stemmi nobiliari che potrebbero far individuare i casati che hanno partecipato alla ricostruzione della chiesa

Lapide (1309), con stemma di N. Castaldo e consorte

Cappella di San Francesco e Monumento sepolcrale dei Moricino

Vergine Immacolata (Madonna del Terremoto)

Le esposizioni

L’esposizione parte dal Medioevo con:
Idria di marmo serpentino del sec. VIII, il “vaso dell’Epifania” probabilmente traslata a Brindisi nel XIII secolo, forse con le reliquie di san Teodoro d’Amasea nell’occasione delle nozze,              celebrate     nella basilica Cattedrale il 9 novembre 1225, fra Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, e Federico II di Svevia;

Arca d’argento di san Teodoro d’Amasea, XIII secolo; in occasione delle nozze di Federico II, le reliquie di san Teodoro d’Amasea furono traslate in Brindisi dalla città anatolica di Euchaita       avvolte in uno sciamito e nella città pugliese troveranno collocazione in un’arca le cui quattro facce verticali sono completamente rivestite di lastre d’argento;

Sciamito operato a due trame avrebbe avvolto i resti di san Teodoro all’atto della loro traslazione; il tessuto di seta dal fondo dorato, detto “oro di Cipro”, è ornato di medaglioni polilobati,    disposti in serie ordinate in orizzontale e verticale;

Pergamena del Privilegium Imperatoris Friderici II, del 1219 recante la firma autografa dell’imperatore Federico II, che conferma all’arcivescovo di Brindisi Pellegrino d’Asti (1216-22) le    prerogative patrimoniali e giurisdizionali di cui la sua chiesa godeva ab antiquo.

Quindi si passa agli Argenti tutti settecenteschi di manifattura napoletana presenti anche nelle teche della sacrestia. La raccolta presenta calici, navicelle, cucchiaini, secchielli, aspersori, incensieri, navette, turiboli, ampolle, vassoi, cartegloria, legature di messali, evangeliari, antifonari, la jad di tradizione ebraica, gli ostensori (bellissimo quello della processione del Cavallo parato), le pissidi, i cinquecenteschi piatti per le elemosine in ottone col classico motivo centrale e quello figurato con scene sacre che rappresenta Adamo ed Eva.

Pissidi, argento, argentieri napoletani, sec. XVIII

Anfore per oli santi, argento, peltrista meridionale, 1750

Oggetti liturgici, argentiere napoletano, argento, secc. XVII-XVIII ed altri (ostensorio raggiato, servizio da lavabo e palmatoria di fattura ed epoche diverse)

Calici in argento di varie fatture e località

Nella sezione delle Tele preziose sono oltre quelle già presenti nella chiesa anche l’Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce, da Lucio Galante e Massimo Guastella attribuito ad ambito di Simon Vouet (1590-1649) e l’olio su tela San Lorenzo da Brindisi, sec. fine XVII.

Sul presbiterio si apre la sezione dedicata a San Lorenzo da Brindisi con il leggìo da Lui usato nella chiesa di San Benedetto, il manoscritto mai tradotto del Quadragesimale tertium, i suoi abiti liturgici e alcuni libri di introito ed esito del monastero degli Angeli di Brindisi, da lui fortemente voluto.

Nella sezione dei Paramenti liturgici, sempre sul presbiterio, sono esposte poi una serie di pianete che variano di colore e tessuto, studiate approfonditamente da Maria Pia Pettinau Vescina. Alcuni presentano forme di cornucopie con elementi floreal-vegetali che ricordano funghi, frutti esotici e grandi narcisi.

 

Santi Patroni
La devozione verso i Santi Patroni delle città ha ragioni storiche e teologiche antichissime, inestricabilmente ancorate alla pietà popolare che ha lo scopo di unire gli abitanti ad un determinato luogo in una sorta di “ponte con il Cielo”. Così San Teodoro d’Amasea e San Lorenzo da Brindisi, insieme a San Leucio e San Pelino, rappresentano un tesoro culturale e spirituale per la città di Brindisi.

San Teodoro, dal greco regalo o dono di Dio, è originario dell’Oriente, arruolato nell’esercito romano, viene trasferito ad Amasea (Anatolia) proprio nell’anno della promulgazione dell’editto con il quale si ordina ai soldati di fare sacrifici agli dei. Teodoro convertito al cristianesimo si rifiuta e nonostante il tempo concessogli per pensare non solo non cambia posizione, ma incendia il tempio di Cibele. Ricondotto in tribunale viene torturato e lasciato morire di fame in prigione dove ha visioni celesti. Infine, viene arso vivo ad Amasea e sepolto a Euchaita. Le tracce di San Teodoro si perdono qui per poi apparire secoli e secoli dopo quando nel novembre del 1225, in occasione delle nozze di Federico II di Svevia con Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, celebrate nella Cattedrale di Brindisi, le sue reliquie vengono traslate da Euchaita. Avvolte in un prezioso sciamito rosso operato in due trame in oro con rosette polilobate occupate da grifi addossati, le spoglie vengono riposte in un’arca di legno cipresso completamente rivestita al perimetro di lamine d’argento sbalzato, la cui parte superiore risulta chiusa con due grate, una semplice di ferro, l’altra, d’argento cesellato che rappresentano gli episodi salienti della vita del santo, della sua morte e della traslazione delle sue reliquie. Nel 1899 poi l’amministrazione comunale di Brindisi si fa carico di acquistare una cassa in cristallo di Boemia dove traslare i resti del santo ed è allora che si decide di spostare l’arca nella Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” e poi nel 2012 nel Museo Diocesano “Giovanni Tarantini”.

Arca di San Teodoro del XIII secolo, “Traslazione delle reliquie” con la prima immagine conosciuta delle due colonne romane nel porto

San Lorenzo da Brindisi, al secolo Giulio Cesare Russo, nasce a Brindisi nel 1559, come riportato sul suo atto di battesimo conservato nella Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo”. Nel 1574 si trasferisce a Venezia, dove diviene frate cappuccino l’anno successivo. Da qui parte per le sue missioni apostoliche e quindi giunto a Praga nel 1599, introduce i cappuccini in Boemia e svolge molteplici attività pastorali, culturali, politiche e di governo dell’Ordine. Nonostante i suoi numerosi impegni pastorali al servizio della Chiesa e degli Stati cattolici, san Lorenzo non dimentica mai Brindisi, città nella quale ritornò nel 1604 in qualità di vicario generale. E’ un uomo di grande fede che grazie al suo coraggio e al suo sostegno spirituale contribuisce alla vittoria ad Albareale (in Ungheria) dell’esercito cristiano contro le forze turche. L’ultima sua fatica è un gesto d’amore per la popolazione napoletana: Napoli, allora sotto il dominio spagnolo e in rivolta contro il viceré, lo sceglie come ambasciatore presso il re Filippo III di Spagna. Nell’occasione il santo profetizza la sua morte e quella del re, fatti che avvengono realmente nel 1619 e nel 1621. Nel 1783 fu beatificato da papa Pio VI e nel 1881 canonizzato da papa Leone XIII. Nel 1959 viene proclamato dottore della Chiesa, col titolo “doctor apostolicus” da papa Giovanni XXIII. Nella sua città natale lascia anche la magnifica chiesa seicentesca di Santa Maria degli Angeli, costruita su un suolo di sua proprietà, ed il monastero delle clarisse, distrutto nel 1904 per lasciare il posto alla Scuola Elementare Femminile.

 

In Sagrestia

Portale medievale e Capitello rivelati nel corso dei restauri del 2018

La Sala espositiva

Armadio a muro in legno del 1725

La Visitazione. Tela del brindisino Jacopo De Vanis (1559)

Piatto da parata, Andrea Califano, 1694

Piatti per le elemosine in ottone col classico motivo centrale e quello figurato con scene sacre che rappresenta Adamo ed Eva

Reliquiari

Mitria di Mons. Orazio Semeraro (Veglie 1904-Ostuni 1991)

Ostensorio del Cavallo Parato durante il Corpus Domini, argento, Antonio Alvino, 1706

Legature di libri liturgici (XVIII sec.) e cartegloria (1730-1738 ca)

Legature di libri liturgici, Argentiere napoletano, circa 1747-1750

Dodici rivestimenti in tessuto di teschi delle “Compagne di Sant’Orsola”, su cui poggiano le reliquie, Colonia sec. XVII

(Tutti i testi e le didascalie sono a cura della Biblioteca Pubblica Arcivescovile A. De Leo di Brindisi)

 

1 commento

  1. Grazie per l’articolo che documenta un patrimonio ricchissimo e di grande interesse.

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