Francesco Hayez alla Pinacoteca di Brera – Milano

Francesco Hayez: Il Maestro del Romanticismo Italiano

Nel vasto panorama dell’arte italiana del XIX secolo, pochi nomi brillano con la stessa intensità di quello di Francesco Hayez.  Nato a Venezia nel 1791, Hayez è considerato uno dei più grandi pittori del Romanticismo italiano, celebrato per la sua maestria tecnica, la profondità emotiva delle sue opere e la sua capacità di catturare l’essenza della vita e dei sentimenti umani.

La formazione di Hayez è stata forgiata dall’eclettismo della sua città natale, Venezia, un crocevia culturale che ha certo alimentato la sua curiosità e la sua creatività. In gioventù, Hayez studiò presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove sviluppò una predilezione per la pittura storica e la ritrattistica. Le opere dei maestri rinascimentali veneziani, come Tiziano e Tintoretto, esercitarono un’influenza profonda sul suo stile, contribuendo a plasmare la sua padronanza del colore, della luce e della composizione.

Ma fu a Milano che si svolse principalmente la sua carriera artistica, svolgendo un ruolo significativo nel contesto politico e culturale dell’epoca, riflettendo le tensioni e gli ideali del movimento risorgimentale italiano e diventando simbolo artistico dell’Unità d’Italia. Di lui si dice che sia stato in pittura quello che Alessandro Manzoni, che peraltro ritrasse, fu in letteratura.  Nel XIX secolo, Milano era infatti un importante centro culturale e politico, non solo per la Lombardia, ma per l’intera Italia. La città era il fulcro dell’attivismo risorgimentale, un movimento che mirava all’unificazione delle varie regioni italiane sotto un’unica bandiera nazionale. Questo fervore nazionalista ispirò molti artisti e intellettuali dell’epoca, compreso Hayez che si impegnò attivamente nel contesto politico del suo tempo, sostenendo i valori e gli ideali del Risorgimento italiano attraverso la sua arte. Le sue opere riflettevano spesso temi di libertà, giustizia e identità nazionale.

Il periodo di Hayez a Milano coincise con un periodo tumultuoso nella storia italiana, segnato da rivolte, repressioni e conflitti. Alla fine, Hayez lasciò Milano, ma il suo impegno politico e il suo contributo artistico rimasero parte integrante del movimento risorgimentale e del panorama culturale italiano.

Vi mostriamo di seguito le sue opere da noi fotografate presso la Pinacoteca di Brera a Milano, cominciando da quella che è la più rappresentativa e la più nota, Il bacio, una delle immagini simbolo della Pinacoteca e forse il dipinto più riprodotto di tutto l’Ottocento italiano.

 Il bacio, Francesco Hayez, 1859

La tela fu presentata all’Esposizione di Brera del 1859, che a pochi mesi di distanza dall’ingresso di Vittorio Emanuele II e di Napoleone III a Milano celebrava il successo delle lotte risorgimentali, ma entrò in Pinacoteca solo nel 1886 grazie al legato di Alfonso Maria Visconti, che l’aveva commissionata.
L’opera certamente nacque dall’intento di Hayez di simboleggiare l’amore di patria e il desiderio di vita della giovane nazione che usciva dalla seconda guerra di indipendenza e che tante speranze poneva nei nuovi governanti. Ebbe immediatamente uno strepitoso successo sia per le sue valenze patriottiche sia per l’ispirazione medievale del soggetto, esemplare del gusto romantico del tempo; il pubblico si entusiasmò per l’audacia del bacio, ma riconobbe anche il messaggio patriottico dei colori: le calze rosse e il risvolto verde del mantello, accostati alla veste azzurra e bianca evocano le bandiere d’Italia e Francia.
Hayez ne realizzò altre versioni, oggi conservate in diverse raccolte europee.

Nella stessa sala espositiva

Autoritratto a 57 anni, Francesco Hayez, 1848

L’opera rappresenta l’autoritratto del pittore all’epoca del suo cinquantasettesimo anno di età. Nel 1883 venne donato da Angiolina Rossi Hayez all’Accademia di Belle Arti di Brera. Il dipinto è ispirato all’Autoritratto di Palma il Giovane, conservato in Pinacoteca, opera che fu fonte di ispirazione per l’artista così come tutta la tradizione pittorica veneta, della quale Hayez, veneziano d’origine, si riteneva erede (emblematica la firma apposta sul retro del quadro con la dicitura “Italiano della città di Venezia”).
L’opera rimase nello studio dell’artista sino alla sua morte. Insieme ed altre opere del maestro fu inviata all’Esposizione Universale di Parigi che ne confermerà la fama.

Ritratto di Massimo D’Azeglio, Francesco Hayez, 1864

Tratto dallo scatto del 1859 del celebre fotografo Charles Disderi, il dipinto fa parte dei ritratti della famiglia Manzoni e dei suoi amici perché il personaggio era genero di Alessandro Manzoni, avendone sposato la figlia Giulia. D’Azeglio inventò il genere pittorico del “paesaggio istoriato” cioè paesaggi studiati dal vero uniti a episodi storici; fu romanziere, ma ricoprì anche incarichi politici di prestigio negli anni cruciali del Regno di Sardegna e della nascente nazione italiana.

Gli ultimi momenti del doge Marin Faliero sulla scala detta del piombo, Francesco Hayez, 1867

E’ l’ultima tela di soggetto storico dipinta da Hayez che, rassegnato ad abbandonare questo genere pittorico di impegno politico, prestò il proprio volto a Marin Faliero, il doge condannato alla decapitazione con l’accusa di aver complottato contro l’egemonia del patriziato per instaurare a Venezia la signoria. Alle mostre internazionali di Monaco e di Vienna l’opera ottenne lodi entusiastiche e ne fu riconosciuto il messaggio simbolico, allusivo al disinganno di molti intellettuali italiani dopo l’unità.

In altre sale

Ritratto della famiglia Borri Stampa, Francesco Hayez, 1822

La giovane dama in nero è Teresa Borri Stampa vedova del conte Stefano Decio Stampa con accanto la madre Marianna, il fratello Giuseppe e il figlio Stefano.  La tipologia della “scena di conversazione” familiare all’aperto, non troppo consueta nella pittura romantica italiana, rimane un fatto isolato nell’esperienza di Hayez e riflette la raffinata cultura della contessa, che alla fine del secondo decennio dell’Ottocento aveva soggiornato per lungo tempo col marito a Parigi, rimanendo influenzata dalla ritrattistica francese. Il dipinto tuttavia non le piacque. Si lamentò di essere stata ritratta con un gozzo vistoso e rifiutò l’urna con il profilo del marito posta sulla colonna. La tela rimase per tre decenni presso il pittore, fino a quando questi coprì il vaso ampliando il paesaggio.

Ritratto di Alessandro Manzoni, Francesco Hayez, 1841

Come il Ritratto di Teresa Manzoni Stampa, con cui fa pendant, il dipinto fu donato a Brera nel 1900 da Stefano Stampa, figliastro di Manzoni e uomo dalle molte passioni artistiche. Fu commissionato all’artista dalla seconda moglie di Manzoni, Teresa. Si tratta del ritratto più noto dello scrittore milanese, una delle “icone” della civiltà romantica e della società di quel tempo realizzate da Hayez e un insuperato esempio di sottile scavo psicologico: l’attenzione è tutta sulla figura mentre l’ambiente è ridotto ai minimi dettagli.
Manzoni non amava farsi ritrarre, ma per Hayez fece un’eccezione. Si recò di persona nel suo studio per quindici sedute: tre per abbozzare il ritratto, dieci per dipingerlo accuratamente dal vero, copiando anche la sua tabacchiera rotonda, e due per ritoccarlo. L’artista vi si dedicò con grande passione, nell’intento di realizzare un’effigie naturale e immediata, che fosse al contempo emblematica della personalità nonché dell’etica religiosa e sociale del protagonista.
Una replica più tarda è esposta alla Galleria d’Arte Moderna di Milano.

Ritratto di Teresa Manzoni Stampa Borri, Francesco Hayez, 1847 – 1849

Teresa Borri Stampa nel 1837 si unì in seconde nozze con Alessandro Manzoni, anch’egli vedovo, per il quale fu una preziosa consigliera. Suo fu il suggerimento di pubblicare i “Promessi Sposi” a fascicoli e illustrati da incisioni, una novità editoriale che accrebbe la popolarità del romanzo. L’opera giunse a Brera nel 1900 grazie al lascito di Stefano Stampa, figlio di Teresa. Il ritratto, che fa pendant con quello di Alessandro Manzoni, era stato commissionato dallo stesso Stefano Stampa nel 1847 ed era poi rimasto per altri due anni nello studio del pittore, che vi appose la firma di ispirazione patriottica.
Il ritrattista più amato dalla committenza aristocratica e liberale della Milano del primo Ottocento realizza qui un’opera di destinazione privata, che trae spunto, per l’iconografia, l’abbigliamento e l’atmosfera, dalla dimensione domestica e quotidiana della protagonista: la destinazione strettamente privata è sottolineata dal flacon d’odeur, che Teresa, malaticcia, aveva sempre con sé.

Pietro Rossi, Francesco Hayez, 1818 – 1820

Il titolo completo, lungo e articolato, come era d’uso all’epoca, recita: Pietro Rossi, signore di Parma, spogliato dei suoi domini dagli Scaligeri, signori di Verona, mentre è invitato nel castello di Pontremoli, di cui stava a difensore, ad assumere il comando dell’esercito veneto, il quale doveva muoversi contro i di lui propri nemici, viene scongiurato con lagrime dalla moglie e da due figlie a non accettare l’impresa. Hayez presentò questo dipinto all’annuale esposizione di Brera nel 1820 ed ebbe subito una vasta eco presso i contemporanei; il soggetto è ispirato alla Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo del Sismondi (1817-1819), testo determinante per la cultura democratica del tempo, anche se l’episodio specifico si rifà più precisamente all’Histoire de la République de Venise di Laugier (1758). L’accento posto sui sentimenti e sulla manifestazione degli affetti, nonchè la celebrazione del sacrificio, in un episodio realmente avvenuto della storia italiana, fece immediatamente considerare quest’opera come il manifesto della pittura romantica.
Il dipinto è entrato nelle collezioni braidensi nel 2000 per acquisto voluto dall’allora Soprintendente Bruno Contardi.

Odalisca, Francesco Hayez, 1839

Nel XIX secolo le odalische, segregate negli harem e per questo inaccessibili, furono motivo di sogni proibiti e fortunato soggetto artistico dell’arte europea: l’Oriente e la sua cultura a quel tempo erano conosciuti perlopiù tramite i racconti dei rari viaggiatori. Hayez per questo tema combinò il nudo di impostazione accademica e studiato dal vero con gli esempi di Raffaello e di Tiziano, mentre per i costumi orientali si servì delle riproduzioni di incisioni veneziane del Cinquecento.

Malinconia, Francesco Hayez, 1841 – 1842

L’opera, eseguita tra il 1840 e il 1842, è intessuta di riferimenti coltissimi della tradizione pittorica italiana ed europea: dalle riflessioni sulla pittura veneta del Cinquecento esemplificate dalla trattazione della veste, che riporta agli effetti materici di Savoldo e Tiziano, alla citazione delle nature morte fiamminghe.
Dipinta per il marchese Filippo Ala Ponzoni, mecenate, patriota e seguace di Giuseppe Mazzini, l’opera divenne popolare per la fstraordinaria qualità pittorica e per il valore emblematico che l’ha resa il simbolo dell’inquietudine del Romanticismo. Il soggetto rientra nella tipologia delle mezze figure, ispirate alle Sibille e alle Cleopatre della pittura emiliana del Seicento, che Hayez rielabora dando maggiore risalto agli stati d’animo: anche i fiori appassiti ricordano lo sfiorire delle cose umane.
Il dipinto giunse a Brera nel 1889 per donazione testamentaria del marchese Ala Ponzoni.

Il doge Francesco Foscari destituito,  Francesco Hayez, 1844

E’ l’epilogo del dramma di Byron I due Foscari. Il doge, ingannato da false accuse, aveva condannato all’esilio il figlio e questi muore prima che sia scoperto l’intrigo. Il padre ne apprende la notizia mentre la fazione nemica pronuncia la sua destituzione e, per il dolore, si accascia senza vita. Hayex si ritrae empaticamente nel doge, come in altri personaggi dal destino funesto: il dipinto, per l’intensità della rappresentazione, fu di ispirazione a Giuseppe Verdi per la sua opera lirica.

Betsabea al bagno, Francesco Hayez, 1841 -1842

Questo soggetto, che trova anche nell’arte del passato celebri esempi, si pensi a Rembrandt, è interpretato con successo da Hayez, il quale affronta il nudo femminile con una resa naturalistica, meditata sui modelli di Guido Reni, Cagnacci, Domenichino. Il tema è tratto dal Vecchio Testamento, ma diventa il pretesto per una immagine di forte impatto erotico. La tavola fu realizzata su commissione del marchese Ala Ponzoni, ricco collezionista d’arte e patriota.
Il dipinto è entrato in Accademia con il legato del marchese Filippo Ala Ponzoni del 1889, per poi passare alla Pinacoteca. L’opera è una replica conforme, ma in dimensioni minori eseguita verso il 1845, della tela del 1834 in origine in collezione Uboldo, poi in quella Malinverni di Lugo Vicentino. Il prototipo è un quadro, dello stesso soggetto, realizzato nel 1827 su commissione del re di Württemberg.

Vaso di fiori sulla finestra di un hare, Francesco Hayez, 1881

Il dipinto fu eseguito nel 1881 e destinato a Brera per testamento in seguito alla morte dell’artista, avvenuta l’anno successivo. L’immagine, fortemente scorciata, costituisce un esempio di virtuosismo prospettico, mentre  il soggetto orientaleggiante ed esotico è unito nella descrizione dei fiori al richiamo delle nature morte fiamminghe. Il dipinto ritrae Giuseppina Bina Hayez, nipote della figlia adottiva Angiolina Rossi, modello particolarmente amato per la bellezza delle sue mani, scorciate suggestivamente l’una sulla superficie bianca del vaso e l’altra sul fondo scuro.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Le didascalie sono tratte da  Pinacoteca di Brera, Milano

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