L’Angelo con il simbolo della Passione – Ambito Vouet

Il 9 gennaio 2016 abbiamo avuto in città l’importante visita di Arnauld Brejon de Lavergnée, Storico dell’Arte, Cavaliere dell’Ordine Nazionale al Merito di Francia, corrispondente dell’Accademia di Belle Arti (sezione libera Membri), Conservatore e museografo.
Durante la sua carriera ha ricoperto in Francia diversi incarichi, tra i quali i più prestigiosi sono: “Direttore del Museo di Cluny (Parigi), Direttore per 12 anni del Dipartimento di Pittura presso il Museo del Louvre, Direttore del Museo di Belle Arti di Lille, nonché curatore di diverse mostre dedicate al Caravaggio francese (i pittori che si ispiravano al grande pittore italiano erano detti Caravaggeschi) e incaricato della ristrutturazione del castello di Ecouen (Val-d’Oise)” (1). Ha scritto diversi libri quasi tutti incentrati su Rinascimento e Barocco in Europa.
Il suo interesse per la nostra città è derivato dall’esposizione nel Museo Tarantini, presso la Chiesa di S. Teresa, di un quadro: “Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce”, appartenente sicuramente all’ambito di Simon Vouet (pronuncia Vuè), pittore che da sempre lo ha interessato e su cui adesso sta scrivendo un libro. E’ venuto da Parigi solo per vedere il dipinto. Su questa opera non firmata dall’autore si sono fatte molte ipotesi che noi proveremo qui ad esporre.

I Caravaggeschi
“Corre l’anno di grazia 1610. In un caldo giorno di luglio, sulla spiaggia di Porto Ercole, muore il pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio, roso dalle febbri e braccato dalle guardie pontificie. Ha trentanove anni, e lascia dietro di sé decine di dipinti, appesi alle pareti di importanti cappelle gentilizie, ombrose sacrestie e esclusive quadrerie private. Maledetto, omosessuale, violento, irascibile, blasfemo. Di lui la storia ci ha tramandato solo i difetti; eppure, subito dopo la sua morte, Caravaggio è già un mito su scala europea. A Roma, a Napoli, in Sicilia, perfino a Malta le sue tele buie, trapassate da raggi di luce taglienti come lame, attirano decine di artisti provenienti da tutta Europa. Sono i caravaggeschi, pittori che imitano un maestro ribelle per riportare nello sterile panorama artistico dell’epoca, dominato da un manierismo estenuato e consunto la forza esplosiva della realtà. Dalla Francia, dall’Olanda, dalla Spagna frotte di artisti raggiungono Roma per raccogliere l’eredità del grande Caravaggio, e alcuni di loro riescono ad elaborare uno stile personale necessario per emergere tra la folla degli allievi. Uno di questi è il francese Simon Vouet (1590-1649)” (2)
“L’influenza di Caravaggio sulla nuova pittura barocca fu profonda e rivoluzionaria. La resa della realtà attraverso l’uso dei forti contrasti di luce ed ombra, non era mai stata tanto veritiera e vitale. Nei dipinti dei pittori caravaggeschi si ritrova questo grande realismo soprattutto nel riprodurre nature morte ed interni con figure umane, rappresentate queste figure generalmente su sfondi monocromi (spesso scurissimi, dipinti con campiture di bruni bituminosi o di terra d’ombra) ed illuminate da squarci di luce violenta e teatrale.
Caravaggio influenza anche una fitta schiera di artisti francesi, tra i quali: Louis Le Nain, Valentin de Boulogne, Simon Vouet e Georges de La Tour, noto per i notevoli effetti “a luce di candela”. In Spagna sono fortemente condizionati dalla nuova pittura caravaggesca Francisco de Zurbarán, Bartolomé Esteban Murillo e Diego Velázquez.
Nei Paesi Bassi e nelle Fiandre vengono suggestionati da questo nuovo stile pittorico Matthias Stomer, Adam Elsheimer, il giovane Pieter Paul Rubens, ed in seguito in varia misura anche Antoon van Dyck, Rembrandt e Jan Vermeer.
Molti tra i più importanti di questi pittori, soprattutto spagnoli ed olandesi, andranno oltre l’influenza caravaggesca, aprendo in questo solco nuove strade altrettanto importanti ed originali.” (3)

Anonimo, Ritratto di Michelangelo Merisi da Caravaggio, 1617 ca, Accademia di San Luca. www.lacooltura.com

Simon Vouet
“Simon Vouet arriva nella capitale per studiare i grandi: Raffaello e Michelangelo in primis, ma anche i Carracci e Caravaggio. A differenza di molti suoi compaesani, sarà fortunato: è un entusiasta, ha un carattere allegro, sa coltivare le sue relazioni e soprattutto è protetto dal re di Francia. Tutto questo, unito ad una cospicua pensione che arriva da Luigi XIII in persona, favorisce l’ inizio di una brillante carriera di pittore ufficiale. Sotto l’ ala protettrice dei Barberini, Vouet riceve le prime commissioni, ed ecco nascere dal suo valente pennello una serie di capolavori, memori della lezione di Caravaggio: la Natività di Maria (1620) per la chiesa romana di San Francesco a Ripa, la Tentazione di San Francesco (1624) per la cappella Alaleona di San Lorenzo in Lucina, La circoncisione (1618 circa) per la chiesa napoletana di S. Angelo a Segno.

Il versatile pittore non si limita però ai quadri di devozione, ma si impegna con ottimi risultati anche nella ritrattistica e nelle scene di genere, come La buona ventura (Museo di Ottawa). Tornato a Parigi nel 1627, si mette subito a servizio del suo re e apre una grande bottega dove si lavora a ritmi incessanti: dall’atelier escono grandi pale d’altare, raffinate storie mitologiche e disegni preparatori per arazzi e decorazioni, commissionate da celebri personaggi come il cardinale Richelieu e Anna d’ Austria. Nel 1630, Simon Vouet raggiunse la fama che il suo infelice maestro italiano non ebbe mai.” (2)

Ritratto di Simon Vouet – Settemuse.it

Importante per Brindisi è anche ricordare  l’ Apoteosi di S. Teodoro, uno dei santi protettori della nostra città,  dipinta dal Vouet  a Venezia nel 1627 e ora conservato presso la Gemäldegalerie di Dresda:

Apothéose de saint Théodore – – © SLUB (Sächsische Landesbibliothek, Staats- und Universitätsbibliothek) / Deutsche Fotothek, photo: Rudolph Kramer

 

Virginia da Vezzo (moglie di S. Vouet)
“Simon (Vouet) e Virginia si incontrarono attorno al 1623, quando la ragazza aveva sedici o diciassette anni, e il loro matrimonio fu suggellato il 21 aprile di tre anni dopo. Con un maestro di quella levatura come compagno, sarebbe facile pensare che la giovane si facesse aiutare molto, ma i contemporanei sottolinearono da subito le sue autonome virtù.
Delineare la figura di Virginia da Vezzo risulta ostico, ma i plausi che trapelano dalle fonti e i dubbi attributivi che ruotano attorno a questa coppia d’arte rendono appassionante la ricerca. Alcuni storici hanno messo in evidenza che diverse mezze figure, appartenenti al catalogo di Vouet, potrebbero in realtà essere prodotto della mano di Virginia.
Difficile l’attribuzione dei suoi quadri, molti dei quali firmati dal marito, in base agli usi del tempo. Ma chi era questa donna che così giovane venne ammessa all’Accademia di San Luca? Della sua biografia sono state ricomposte le tappe principali, ma allo stato degli studi conosciamo un’unica opera certamente sua, ovvero la Giuditta con la testa di Oloferne, molto probabilmente prova d’ingresso all’accademia.
Nella capitale francese, dove restò fino alla morte nell’ottobre del 1638, Virginia ottenne diversi riconoscimenti e attrasse su di sé la stima di Richelieu e soprattutto quella di Maria de’ Medici.
La Giuditta con la testa di Oloferne dipinta da Virginia da Vezzo è un’opera completa, che manifesta la piena comprensione dello stile di Vouet, un’assimilazione pressoché simbiotica.
Questa tipologia di volto femminile, soprattutto per quanto riguarda la parte inferiore del viso, sembra richiamare da vicino quella degli Angeli della Passione attribuiti a Vouet; infatti, sia nell’Angelo con dadi e tunica di Capodimonte, sia in maggior misura nell’Angelo con la scala della passione di Brindisi, ritroviamo la stessa conformazione del volto, la pronunciata fossetta al centro del mento e un ductus molto simile.” (4)

Virginia da Vezzo, Giuditta con la testa di Oloferne, 1624-1627, olio su tela 98×74,4 cm, Nantes, Musée des Beaux Arts

LA SERIE DEGLI ANGELI CON I SIMBOLI DELLA PASSIONE DI SIMON VOUET
di Paul Bedarìda (6)

“Il dipinto Angelo con la scala della Crocifissione, appena restaurato, proveniente dalla chiesa di Santa Teresa di Brindisi, è stato identificato e riferito brillantemente al pittore francese Simon Vouet (1590-1649) dal professore Lucio Galante, che lo ha pubblicato quattro anni fa con ampia documentazione negli “Itinerari di ricerca storica” dell’Università di Lecce a seguito del ritrovamento, il cui merito spetta al dottor Massimo Guastella.
Si tratta ora di fornire alcune indicazioni complementari emettendo una ipotesi sulla data e sulle circostanze in cui fu dipinta la serie degli Angeli con i simboli della Passione.

Brindisi. Ambito di S. Vouet. Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce. Prima del restauro.

La produzione artistica del giovane Vouet durante i suoi quindici anni di permanenza in Italia all’inizio del Seicento, è stata minuziosamente studiata ed è ben documentata per le opere più importanti, realizzate a Genova e soprattutto a Roma. Ma non è il caso per un ciclo pittorico come quello dei dodici angeli recanti i simboli della Passione di Cristo, di cui si conoscevano da tempo le due splendide figure del museo di Capodimonte: Angelo con la tunica e i dadi e Angelo con la spugna e la lancia, di cui si conoscono ora due tele, acquistate nel 1969 dal museo di Minneapolis, Angelo con la brocca dell’acqua di Pilato e Angelo con la tabella della Croce, e due quadri in collezione privata: Angelo con la borsa dei trenta denari e il capestro di Giuda e Angelo con la scala della Crocifissione, quest’ultimo del tutto simile all’esemplare di Brindisi.
Il tema iconografico di origine medievale degli emblemi della Passione, ritornato in voga al periodo della Controriforma (basta pensare alla sistemazione del Ponte di Sant’Angelo a Roma con i dieci angeli scolpiti o ideati dal Bernini), deve, nel campo della creatività di Simon Vouet, essere messo in relazione con la più prestigiosa delle committenze ricevute durante il periodo romano, quella di affrescare la cappella dei Canonici nella Basilica di San Pietro e di decorare la parete situata sopra la Pietà di Michelangelo.
È lecito immaginare che la serie dei dodici porta emblemi, che ritroviamo poi nell’inventario della collezione del Cardinale Ascanio Filomarino a Napoli, siano stati ordinati in quegli stessi anni direttamente a Vouet dall’allora giovane prelato di Curia, molto legato al clan filofrancese dei Barberini: dodici mezze figure o quadri da camera, simili per argomento ai particolari dell’affresco, angeli, non più in movimento o svolazzanti, ma statici, ritratti di faccia o di profilo di bellissimi giovani, opere “larges et somptueuses’’ di un artista che, avendo ormai raggiunto la maturità del suo stile, riceve le ordinazioni più prestigiose, mentre è sul punto di lasciare Roma per diventare il pittore ufficiale del Re di Francia Luigi XIII.
Per quello che riguarda Vouet, la descrizione particolareggiata dei dodici Angeli con gli strumenti della Passione ammirati nel palazzo Filomarino della Rocca — cioè il palazzo che è diventato nel nostro secolo quello di Benedetto Croce —, eseguita dall’incisore e critico d’arte Charles-Nicolas Cochin, che soggiornò a Napoli insieme al fratello della Pampadour nel 1751, ha portato a confusione gli investigatori, in quanto questi dodici dipinti figurano cinquant’anni prima in un inventario — riesumato poco fa — del palazzo Filomarino della Torre, provenienti direttamente dall’eredità del Cardinale Ascanio che quasi sicuramente li aveva avuti da Vouet stesso.

Non essendoci nessun motivo per questo cambiamento di sede o di proprietario di raccolta, rimaste integre fino alla Rivoluzione, c’è chi ha ipotizzato allora una seconda serie di angeli vouetiani, ossia di copie. Le perplessità continuano col riapparire dei quadri di Vouet nell’Ottocento, in primo luogo gli angeli di Capodimonte acquistati da un illustre sconosciuto dal Regio Museo nel 1829, poi quelli che sono ora a Minneapolis e sono rimasti a lungo in una collezione patrizia, dove erano ancora visibili trent’anni fa, e gli altri due, di collezione privata, finiti in Calabria sin dal secolo scorso.

Museo Tarantini – Brindisi. Ambito di S. Vouet. Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce. Dopo il restauro.

Come mai, infine, due esemplari dello stesso angelo, forse il più bello e il più commovente della serie, finiscono uno sulle sponde dello Ionio e l’altro in riva all’Adriatico? È vero che alla pari dei gioielli di grande pregio, anche le opere d’arte viaggiavano molto già negli anni del passato. Ma nel caso specifico rimane un vuoto e c’è il buio completo su quasi tutto l’Ottocento, dopo la presunta sparizione della raccolta dei duchi Filomarino della Torre nel 1799 e la dispersione della collezione dei principi Filomarino della Rocca pochi anni dopo.
Qualunque siano stati gli itinerari per quello che riguarda la doppia versione dell’Angelo con la scala della Crocifissione le coerenze tra una tela e l’altra sono minime e difficili da riscontrare, in quanto il dipinto di Brindisi, appena restaurato, è tornato a nuova vita e nuovo splendore, mentre l’altro, il quale è compagno di viaggio da molti anni di un secondo angelo considerato ormai della mano di Vouet dalla critica internazionale più autorizzata, necessita di un lavoro di pulitura e di analisi particolareggiata.” (6)

Napoli. Coll. privata. S. Vouet, Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce

L’ANGELO CON IL SIMBOLO DELLA PASSIONE DELLA CHIESA DI S. TERESA A BRINDISI
di Lucio Galante

“Appena tre anni fa, sull’onda dell’entusiasmo che spesso accompagna il ritrovamento di opere di indubbia qualità e di forte impronta stilistica, m’ero convinto a pubblicare il dipinto raffigurante un Angelo con il simbolo della Passione, proveniente dalla chiesa di S. Teresa a Brindisi, assegnandolo senza ombra di dubbio nientemeno che a Simon Vouet, al quale risultavano già assegnati altri quattro dipinti facenti parte di una serie di dodici, raffiguranti tutti Angeli con simboli della Passione. A questa serie erano stati riferiti, ma con dubbi sulla loro paternità, altri due dipinti di collezione privata napoletana.
La mia attribuzione era stata influenzata non solo dalle caratteristiche specifiche del dipinto ma anche da quanto sembrava risultare dai documenti noti e che proprio il dipinto in questione sembrava confermare essendosi rivelato redazione perfettamente identica di uno dei due dipinti di collezione privata napoletana.
Cosa in sostanza risultava dai documenti: che il Vouet aveva eseguito per il cardinale Filomarino detta serie di dipinti; che questi erano passati in eredità ai nipoti del ramo Filomarino della Torre e che sarebbero rimasti nel loro palazzo fino al 1799, quando, con la caduta della Repubblica partenopea, questo fu assaltato, saccheggiato e incendiato e la collezione sarebbe andata distrutta o dispersa. Le fonti francesi, in particolare il Cochin che aveva modo di esprimere un, sia pure sintetico, acuto giudizio, riferivano di aver visto i dodici Angeli in casa dei Filomarino della Rocca, un altro ramo della famiglia. Sembrava inevitabile, prestando fede a documenti e fonti letterarie ed in presenza di due dipinti uguali e quel che più conta con caratteristiche di qualità e di stile inconfondibili, pensare alla esistenza di una replica o meglio copia della serie fatta per il cardinale Filomarino.
Pur ponendomi il problema di quando sarebbe stata eseguita la serie copiata, avevo optato per la soluzione della doppia serie, e, non avendo conoscenza diretta del dipinto di collezione privata napoletana, propendevo, come già detto, per il riconoscimento dell’originale nel dipinto di Brindisi. Va da sè che erano ipotizzabili altre soluzioni, ma la conoscenza diretta del dipinto brindisino mi aveva convinto per quella soluzione. L’occasione del restauro del dipinto si è rivelata utile per ritornare sul problema e per ritornarvi anche alla luce di quanto la recente mostra di Vouet ha potuto chiarire sul pittore. Circostanza oltremodo utile è stata la possibilità di avere uno scambio di vedute sul problema con Paul Bedarida, che allo stesso s’era intanto interessato.
Cosa è emerso innanzitutto dal restauro?

Primo: nessuna smentita circa la qualità del dipinto, proprio quella qualità che mi aveva suggerito di sottolinearne la particolare intonazione espressiva nel contesto della serie — scrivevo allora: “stessa tipizzazione “naturalistica” e “mondana” di un Angelo femmineo, florido e carnoso, con la non insolita fossettina sul mento; stesso fare largo delle pieghe dove la luce di matrice “caravaggesca” indugia a rendere la qualità epidermicamente sontuosa delle stoffe o cade, alternandosi all’ombra, in funzione di una più esatta definizione della forma; stessa attenzione all’intonazione espressiva, dove il gesto elegante della mano sinistra appena accenna ad una mistica meditazione sul sacrificio della croce, tutta affidata com’è al naturale appoggiar del capo reclino sulla mano destra e alla pensosità del volto, cui le palpebre abbassate danno un tono sereno ed assorto; stesso il ductus pittorico, tirato ed essenziale” — (quanto quest’ultima annotazione fosse condizionata dal suo stato di conservazione lo si può verificare bene adesso che il dipinto è stato restaurato); dal punto di vista dell’invenzione iconografica, mi spingevo a dare anche un certo peso alle soluzioni adottate dall’artista nei singoli angeli, in quanto direttamente coinvolte nella caratterizzazione e intonazione espressiva, per cui le versioni di Minneapolis mi erano sembrate più attente agli aspetti esteriori ed illustrativi, gli abiti e la ricca oreficeria, del tema, pretestuosamente rivolti a dar dimostrazione di indubbia bravura e padronanza tecnica più che ad una interpretazione sinceramente sentimentale del tema iconografico.

Museo Tarantini, Brindisi. Ambito di S. Vouet. Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce. (Part.)

In questo senso la loro nota più distintiva è costituita proprio dalla ricchezza dell’abbigliamento fatto di stoffe pregiate e lussuose che meglio si prestavano ai virtuosismi pittorici e che li differenzia dagli altri quattro Angeli che sembrano perciò stilisticamente più omogenei. Una impressione, questa, che mi pare di poter confermare, senza nulla togliere alla qualità e alla esaltante bellezza pittorica dei quadri di Minneapolis; di valutarne la relativa interpretazione pittorica in rapporto al gusto del committente — vedevo allora, infatti, quell’arricchimento dei valori luministico-cromatici rivolto a stemperare l’intonazione devozionale del tema, e nel dare risalto alla sontuosità delle forme il tentativo di dar vita ad una religiosità più aperta e meno vincolata, probabilmente ispirata alla nuova funzione, persuasiva o celebrativa che fosse, che la chiesa andava sempre più riconoscendo all’arte —.

Museo Tarantini, Brindisi. Ambito di S. Vouet. Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce. (Part.)

Secondo: conferma circa le originarie dimensioni — risulta infatti chiaramente decurtato nella parte superiore — un elemento questo già allora non sottovalutato, anzi considerato circostanza probante.

Museo Tarantini, Brindisi. Ambito di S. Vouet. Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce. (Telaio e retro della tela)

Terzo: un pentimento nella mano sinistra dell’Angelo, una prova, certo non di valore assoluto, a favore dell’autografia.

Museo Tarantini, Brindisi. Ambito di S. Vouet. Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce. (Part. della mano sinistra ridipinta)

Quarto: l’esatta identificazione del simbolo della Passione, del tutto illeggibile prima dei restauro, e cioè la scala e non la croce. Tutti elementi che sembrerebbero non risolvere il problema della sua paternità.

Museo Tarantini, Brindisi. Ambito di S. Vouet. Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce.

Ma il confronto di idee con Paul Bedarida, di cui dicevo poc’anzi, mi ha permesso di valutare diversamente alcune caratteristiche. Intanto la possibilità del confronto con una riproduzione più leggibile della versione napoletana del dipinto ha messo in evidenza una certa differenza nel tipo fisionomico della figura femminile, certamente meno vouetiana nella versione brindisina; nonché il carattere delle ombre che, come mi ha fatto notare Bedarida, sembra rivelare proprio una cadenza tipica del copista, più attento a darne una resa più sistematica.

Napoli. Museo di Capodimonte. S. Vouet, Angelo con i simboli della Passione: la tunica e i dadi.

La conclusione — che il dipinto di Brindisi è verosimilmente una copia dell’originale che è in collezione napoletana.
Dunque un declassamento del dipinto di Brindisi? Certamente se lo si considera in rapporto al modello; sicuramente no, se si tien conto della sua qualità che rimane e che rivela un autore che è così vicino al modello, anzi che ha una tale conoscenza del suo stile da confondersi col medesimo. In altre parole sarebbe impensabile un tale dipinto al di fuori dello stretto entourage del Vouet.

Napoli. Museo di Capodimonte. S. Vouet, Angelo con i simboli della Passione: la lancia e la spugna.

Del resto questa ipotesi sembra anche la via più probabile per risolvere il problema della doppia serie. E per tornare ai problemi che i documenti e le fonti hanno posto, certamente si poteva pensare ad esempio ad un passaggio della serie dalla collezione dei Filomarino della Torre a quella dei Filomarino della Rocca prima della distruzione del loro palazzo a seguito degli eventi del 1799; oppure ad un errore del Cochin che avrebbe confuso i Filomarino della Torre con i Della Rocca in fase di stesura delle sue note di viaggio; o ancora alla semplice dispersione della collezione Della Torre conseguente al saccheggio e non alla sua distruzione.

Minneapolis. Institute of Arts. S. Vouet, Angelo con il simbolo della Passione: la brocca dell’acqua di Pilato.

Tutte ipotesi che escluderebbero l’esistenza di una doppia serie e che confermerebbero quella che vede nascere la copia di Brindisi come unicum nell’atelier di Vouet già al tempo del completamento della serie. Una ipotesi che dà particolare risalto alla circostanza che la scelta del copista sia caduta sul dipinto che deve essere avvertito come il più intenso ed espressivo della serie. Una scelta che dimostra nell’autore una tale sensibilità da far diventare ancora più interessante il problema della sua identità.

Minneapolis. Institute of Arts. S. Vouet, Angelo con il simbolo della Passione: la tabella della Croce

La mostra di Vouet ha posto in primo piano tra l’altro il problema critico del suo seguito già al tempo del periodo romano. C’è generale concordanza nel ritenere la serie dei dodici Angeli opera eseguita negli ultimi anni del soggiorno romano del pittore, periodo nel quale gli artisti che fanno capo al suo atelier non sono molti. Il confronto con quanto risulta al loro attivo porta almeno per ora ad escludere che alcuni di essi possano essere i probabili autori del dipinto di Brindisi. Sembra, infatti, che si possano escludere Jacques de Letin, Jacques Lhomme e Jean-Baptiste Mole; dovrebbero essere esclusi anche Jean Francois per quanto si può evincere del carattere della sua pittura dall’unica incisione riferibile ad un suo dipinto, e Charles Mellin, la cui pittura porta sì l’impronta della lezione di Vouet ma ha sicuramente una sua precisa identità. Più vicini al Vouet sono stati considerati i fratelli Muti, dei quali, soprattutto, l’autore dell’Allegoria della Pace della Galleria Nazionale d’Arte Antica a Roma, che è il quadro più vicino al maestro ed è datato 1627, una data non lontana da quella della serie degli angeli.

Napoli. Coll. privata. S. Vouet, Angelo con i simboli della Passione: la borsa dei trenta denari e il capestro di Giuda.

Restano Claude Mellan e la moglie di Vouet Virginia da Vezzo. Per entrambi è ancora aperto il problema della identificazione di loro opere pittoriche, mentre è documentata, per il primo ampiamente, l’attività incisoria. Ora proprio le incisioni del Mellan rispecchiano fedelmente lo stile dei dipinti da cui sono tratte, tanto che non è affatto errato trarre qualche considerazione sugli autori dei dipinti; è in ragione di ciò che è stato osservato che l’unica incisione, riferita ad un dipinto di Virginia da Vezzo, ce la rivelerebbe come pittrice già matura, non solo, ma con caratteri di estrema fedeltà allo stile del marito, sorretta da una indubbia qualità tale anche da giustificare la restituzione alla medesima di disegni che sono ancora sotto il nome di Vouet.

Virginia De Vezzo – pittrice (5)

Non vorrei sottolineare più di tanto questa circostanza, magari facendo rilevare come lo stile che traspare dall’incisione ben s’addica a quello del dipinto di Brindisi — si veda il modo di piegare le stoffe e di lumeggiarle per sottolinearne la preziosità e ricchezza cromatica o ancora il modo di girare le ombre — certo che mi piacerebbe di poter dire che proprio il dipinto in questione è la prima opera pittorica da assegnare a Virginia da Vezzo. Le premesse, per quanto attiene la qualità, nel dipinto non mancano, a future ricerche, tuttavia, il compito di verificare la percorribilità di tale ipotesi.” (6)

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Bibliografia e sitigrafia: “Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica o sitografica.”

(1) http://www.academie-des-beaux-arts.fr/membres/correspondants/libres/brejon.htm
(2) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/04/vouet-un-caravaggio-per-bene.html
(3) https://it.wikipedia.org/wiki/Caravaggismo
(4)http://storiedellarte.com/2015/02/quando-il-matrimonio-e-darte-simon-vouet-virginia-da-vezzo-e-la-sua-giuditta-con-la-testa-di-oloferne.html#jp-carousel-24114
(5) https://ragazzedimezzastagione.wordpress.com/2015/03/17/arte-al-femminile-56/
(6) Per la storia della chiesa di S. Teresa a Brindisi: Il restauro dell’angelo con il simbolo della Passione, di Autori diversi. Rotary Int. Club di Brindisi – Stampa Arti Grafiche Pugliesi – Martina F. 06/1991.

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