Dalla carrozza all’automobile: le reazioni della città agli inizi del secolo scorso

Pubblichiamo questo articolo tratto dall’Annuario Vademecum 1973 “QUIBRINDISI” di D. Altavilla e D. Amodio, gentilmente fornitoci dall’amico Mario Carlucci, in cui viene fatta, anche se in modo ironico ed a tratti esilarante, un’attenta analisi della società brindisina attraverso fatti e nomi dei suoi personaggi più rappresentativi, nel momento in cui dovette affrontare il trauma dell’incontro con il nuovo mezzo a motore destinato a sostituire il più fedele destriero.

A cavallo del motore – Album di ricordi dai «primi passi» ai 100 all’ora

Quando nei primi anni del Novecento l’automobile cominciò a circolare per Brindisi, oltre a nuvoloni di polvere, sollevò curiosità e polemiche, seminando panico tra uomini e animali.

Gli animali specialmente ne fecero le prime spese, perché cani, galline e pecore finivano con una certa frequenza sotto le ruote. Da questi incidenti nascevano tra gli arroganti chauffeurs ed i proprietari delle vittime chiassosi litigi che potevano portare diritto in Pretura se non ti facevano passare prima dall’ospedale.

Ma la vera vittima dell’automobilismo fu il cavallo. Da millenni, col cavallo, si erano fatte le guerre, i trasporti, le semine. Ed ecco ora il gran tradimento: l’uomo cominciava a preferirgli una “vettura automobile”, una carrozza senza cavalli.Solo l’asino sembrò rassegnato, senza capire che nel polverone che si lasciava dietro la nuova autovettura c’era anche per lui l’inizio della parola ”fine”. Ma l’asino, si sa, è stato sempre un asino. Il cavallo invece seppe covare a lungo il suo rancore. Forse in preda ad una crisi di sconforto, nel giugno del 1909, un cavallo più sensibile degli altri tentò il suicidio gettandosi in mare dalle parti di Fiume Grande. Ma una volta in acqua dovette ripensarci e si dette da fare per riguadagnare terra. Sbagliò direzione e raggiunse, a nuoto, l’isola del Faro Pedagne dove il fanalista si affrettò ad estrarlo dall’acqua denunciando il caso all’ufficio di Polizia Municipale. Nel giugno del 1910 le cronache cittadine si interessavano ancora delle gesta di un cavallo che dal rione dell’Addolorata veniva in città a corsa precipitosa. Fortunatamente, mentre stava per imboccare il corso, venne coraggiosamente fermato dal Dottor Giuseppe Antonelli, ”il quale corse serio pericolo di rimanere contuso”.

A distanza di un anno si registrava un altro moto insurrezionale, questa volta da parte del cavallo del signor Marcello Scazzeri. L’animale aveva ”preso la mano” al padrone e si era dato a fuga precipitosa lungo le viuzze del centro gettando il panico tra la gente. Chissà come sarebbe finita se non fosse intervenuto, rischiando la propria vita, il signor Paolo Minarchi, guardia municipale. La riconoscenza per il valoroso fu grande con una solenne cerimonia l’assessore alla Polizia Municipale Dott. Alfredo Lazzarini, ”dopo aver pronunziato acconce parole d’occasione” consegnò alla guardia una medaglia di bronzo al valor civile.

Qualche anno prima una coppia di cavalli attaccati ad un pesantissimo carro a quattro ruote erano stati fermati dal giovane Davide Cafiero di Giovanni sul Corso Garibaldi. Come si vede, i cavalli non si davano per vinti. “Incrociarli sulle strade fuori città — ricorda l’autista degli Anni Venti, Giacomino Santoro — erano guai. Per fortuna, il più delle volte, interveniva lo stesso carrettiere, che, conoscendo il carattere della sua bestia, nel vederci arrivare, si sbracciava fin da lontano per fermarci. Potevamo proseguire solo dopo che il carrettiere aveva provveduto a coprire con un panno la testa del cavallo”. Tra carrozze con cavalli e quelle senza, la vita cominciò a diventar sempre più scomoda.

Luglio 1923. Ferruccio Libardo alla guida di una Fiat 503 di Serafino Giannelli

Si cominciava a parlar di incidenti stradali.
Il 3 dicembre 1911 “La città di Brindisi” dà notizia che “giorni or sono, mentre dalla via Bartolomeo Pignatelli transitava un carro Automobile governativo furono da questo investiti e feriti l’ufficiale postale signor A. Mannucci ed una sua figliola che non poterono scansarsi, stante la ristrettezza della strada medesima”. Già in precedenza una vettura “civile” del Principe Dentice di Frasso si era fatta ammirare più volte per via Lata e in via Maestra.

1924 circa. Fiat 501 della famiglia di don Peppino Ribezzi. Al volante Giacomino Santoro; dietro, Gigetto Passante e Mario Ribezzi

Un’ altra vettura “civile” era stata posseduta dal Cav. Spiro G. Cocotò, greco, cavaliere, console inglese a Brindisi. Cocotò fu il primo a interessarsi all’automobile, non solo per mantenere ”à la page” la sua figura di diplomatico quanto anche per secondare il suo temperamento vivace. Tirava di scherma, ed era considerato un esperto spadaccino, nonché un pericoloso duellante. Possedeva anche un canotto-automobile che veniva pilotato da un esperto e fidato motorista brindisino, Angelo Napolitano. A venti anni, nel 1911, Angelo si era già messo in luce per la sua competenza in fatto di motori, la qual cosa spinse Cocotò ad affidargli la nuova automobile fatta venire da Milano. Si trattava di un’Isotta Fraschini che Angelo imparò a “cavalcare” dopo un breve ma arduo periodo di apprendistato che lo consacrò primo ”chauffeur” di Brindisi. La macchina era bella, scintillante, terribile. La lunga tromba a serpentina annunciava il suo arrivo richiamando regolarmente una moltitudine di curiosi che le andavano dietro in corteo, toccandola con prudenza. I bambini più intrepidi si appollaiavano sul cofano e sui parafanghi. Per frenare quell’invadente curiosità Napolitano e Cocotò applicarono sui parafanghi un’asse di legno irto di chiodi aguzzi. Ma per liberarsi definitivamente dalle nidiate di monelli escogitarono un machiavello più efficace applicando sul posteriore della macchina un congegno che distribuiva scosse elettriche.

Maggio 1927. Alfa Romeo R.M. della Contrada “Argiano” nei pressi di Mesagne. La Vettura, che costò 60 mila lire, era del podestà Serafino Giannelli. L’autista è Ferruccio Libardo

Tanta curiosità è comprensibile giacché l’unica trazione che si conoscesse a quei tempi era quella umana ed animale. Brindisi era costituita da un intricato mucchietto di case bianche e basse e qualche palazzotto padronale; per le vie del centro passeggiavano le pecore con i pecorai che vendevano latte e ”pampanella”. Di sera lungo le strade principali e secondarie stazionava un gran numero di traini che, secondo “l’Indipendente”, rappresentavano altrettanti nascondigli per i malviventi. I signori avevano le carrozze, i contadini i carretti. Le carrozze erano a uno, a due cavalli; i cavalli erano neri, bianchi, belli, superbi, viziati, ricoperti di finimenti eleganti e pregiati; erano bestie di lusso, ben nutrite e addestrate da cocchieri fedeli e servizievoli. Le carrozze dicevano il resto sui natali e sulle fortune delle famiglie, una ventina che, portavano a spasso, con la carrozza, i segni di un invidiato benessere. C’erano poi i cavalli poveri, più numerosi e sfortunati, utili anche da morti, al macello.

Anche allora gli abitanti di Brindisi si sentivano angustiati dai problemi del traffico. La Polizia Municipale faceva il possibile per regolare la corsa delle carrozze che lanciavano i cavalli al gran galoppo e costituivano un vero pericolo pubblico. Tra i più spericolati cocchieri è rimasto negli annali un certo Lo Noce, che stava al servizio di Cesare Basile. Per quanto riguarda le strade, la situazione era drammatica. Le vie principali erano deteriorate dal tempo e dall’uso; le altre, inghiaiate, mostravano i segni di una corrosione implacabile. Alcune vie lastricate in epoche remotissime, come le vie Sciabiche, Salita Montenegro, Via S. Francesco (a ridosso della Dogana), erano ridotte a uno stato comatoso. Per tutte si invocavano urgenti riparazioni ma in genere l’opera di soccorso si limitava ad una rapida e superficiale catramatura. Le strade provinciali erano ridotte ancor peggio.

22 Novembre 1931. L’arrivo al porto del re Vittorio Emanuele III in occasione della inaugurazione del Monumento ai Caduti. La macchina è una Fiat 521

”Chi non ha mai frequentato fuori Porta Mesagne — si lagnavano i giornali dell’epoca — non può credere che essa sia completamente ricoperta di uno strato fangoso che raggiunge perfino, senza tema di esagerare, l’altezza di dieci centimetri. E il fango vi rimane depositato per tutti i mesi invernali finché il sole non supplisce alla mancata opera dell’uomo, prosciugando piano piano quegli interminabili strati di lurida poltiglia”. Fuori Porta Lecce, sulla via del cimitero, la situazione era altrettanto grave, come del resto sulla provinciale per Bari. Solo Dio sa le sofferenze patite dai nostri primi automobilisti in viaggio per queste strade. Quando le ruote finivano nei solchi delle carreggiate bisognava fermarsi o rallentare per uscirne di traverso. Polverone d’estate e fango d’inverno erano il consueto condimento di ogni viaggio.

Dei pneumatici non ci si poteva fidare affatto. Perfino una gitarella di poche ore comportava sempre la noia di numerosi sgonfi. La qual cosa obbligava a fermarsi per smontare e rattoppare seduta stante la gomma forata. Per quanto riguarda la velocità, si potevano già raggiungere, teoricamente, 70-80 Km/h; cosa praticamente impossibile per la precaria stabilità della macchina in balìa delle buche, del fango, della polvere, della ghiaia, e di mille altri pericoli di natura umana o animale. Per fortuna c’era l’obbligo, secondo il regolamento entrato in vigore nel 1904, di non superare i dodici chilometri orari (trotto del cavallo) negli abitati, benché si ammettesse che chi restava in ”panne” si metteva militarescamente in piedi sulla macchina ordinando: “popolo, spingetemi!”. Non sappiamo come rispondesse il popolo. E’ certo però che in mancanza di qualche buon volenteroso bisognava vedersela da soli. E qualche volta toccava proprio al vecchio cavallo di rimorchiare la nuova macchina. Questi accidenti non erano rari; oltre a mandare a monte una gita, procuravano un travaso di bile al proprietario, che, il più delle volte, completamente digiuno di motori, non sapeva nemmeno da che parte cominciare.

Questa situazione comportò la necessità di corredare la vettura di un autista-meccanico che a quel tempo rappresentava un bene assai raro. Molti cocchieri tentarono di adattarsi al nuovo ruolo di autista, ma pochissimi vi riuscirono.

L’ultima carrozza a cavallo. Il cocchiere è Andrea Bianchi (51 anni di mestiere). Il cavallo si chiama “Barone”

Emerse inoltre l’esigenza di disporre di un’officina meccanica in loco, senza ricorrere ogni volta a Bari per le riparazioni. Ma anche per questo bisognò attendere. L’ officina sorse dopo la 1^ Guerra Mondiale per opera di Alcide Fiori, un bolognese che comandava la batteria di Torre Cavallo, e che, congedato, si sposò e si fermò a Brindisi. In quell’officina cominciarono ad impratichirsi Giacomo Santoro, Ferruccio Libardo, Ventura.

La 1^ Guerra Mondiale decretò la vittoria dell’Italia e dell’automobile. Proprio durante la guerra quest’ultima s’era fatta le ossa. Brindisi, importante base strategica, vide circolare diversi tipi di carri-automobile. C’è ancora chi ricorda i gloriosi Fiat ” 15 ter” e ”18P-BL-BLR”. Su quei mezzi si formarono gli autisti-meccanici che, dopo la guerra, passarono al servizio dei più ricchi borghesi per guidarne le autovetture. Sono gli anni in cui Giovanni Agnelli lancia il “modernissimo” modello ”501”, addirittura rivoluzionario per l’avviamento elettrico, pur mantenendo di riserva la manovella. Anche i camion lasciarono l’uniforme per vestire abiti borghesi.

Teodoro Titi ne possedeva alcuni che trasportavano grano dal porto ai depositi di S. Vito e di Via Saponea. Nel 1920 un omnibus a cavalli che collegava Brindisi a S. Vito fu sostituito da un ”18P Fiat”, nato camion e trasformato in pullman. Gli autocarri di Titi stavano li a dimostrare quanto fossero utili le nuove macchine anche per scopi commerciali. Tuttavia gli automezzi in circolazione nella nostra provincia rimanevano assai scarsi. I pochi esemplari appartenevano pur sempre alle famiglie più facoltose; gli altri si consolavano pensando che, tutto sommato, le vecchie carrozze tenevano meglio la strada e che i cavalli costavano meno, non avevano bisogno di un meccanico, non foravano, e la biada costava meno della benzina (che si comprava in lattine dal droghiere). Rispondevano le case automobilistiche che un’automobile costava solo quando era in funzione, non costringeva a fastidiose e quotidiane pulizie ed evitava di pagare il conto al veterinario. Pubblicità pressoché inutile a Brindisi perché il nostro mercato sbadigliava per la miseria. Figurarsi se si poteva pensare al “lusso” di un’automobile. Ecco perché quando se ne vedeva qualcuna diventava subito oggetto di attenzione, ed intorno ad essa e al proprietario s’intrecciavano storie vere e false, comiche e tragiche.

In una luminosa domenica dell’anno 1921 i brindisini furono colpiti da una lussuosa vettura Lancia guidata dal marchese Ripa. Accanto a lui sedeva un’affascinante signora bionda che piacque più della macchina. Dopo qualche ora fu nuovamente incontrato il marchese Ripa, solo, a piedi: aveva venduto per contanti la macchina e la donna. Fu un baratto non condiviso, di cui si chiacchierò a lungo nei caffè. Come quella volta che Nino Poli e Antonio Gioia tentarono la discesa della scalinata delle Colonne Romane su una Fiat 501 tipo ”spinto”. La scalinata la fecero, e bene; solo che finirono diritti in mare con tutta la macchina. L’impresa fu ripetuta tempo dopo dal solo Nino Poli che si fermò felicemente dopo l’ultimo gradino, risparmiandosi un altro bagno ed accrescendo la sua già larga fama di spericolato automobilista.

Era anche di moda, a quel tempo, che le famiglie più in vista facessero partecipare le loro vetture ai concorsi, alla guida dei loro ”chauffeurs” e dei loro meccanici. Altri preferivano concorrere di persona. I corsi fioriti erano le occasioni mondane più attese, specie dalle signore, che potevano sfoggiare la nuova moda ricca di veli, creata appunto per le automobili. Famosa è rimasta una gara di fiori tenuta a Brindisi nel 1927 e abbinata alla tradizionale festa di S. Teodoro. Il 1° premio fu vinto da Michele Brugnola a bordo di una Fiat 501 di proprietà del Cav. Uff. Giuseppe Ribezzi. Sull’auto era stato montato un cigno ricoperto di 1500 camelie bianche fatte venire apposta dall’Olanda. Alla fine del 1928 circolavano in Italia poco più di 50.000 autovetture. Nella provincia di Brindisi, secondo il Registro Automobilistico, risultavano immatricolate 298 autovetture, 20 autobus, 82 autocarri, 28 moto pesanti e 14 trattrici.

Corso fiorito 1927. Questa è l’auto che vinse il primo premio. Apparteneva al cav. uff. Giuseppe Ribezzi. Alla guida Michele Brugnola

La “numero uno” di Brindisi fu una ”Fiat torpedo” acquistata per 25.000 lire dall’Amministrazione Provinciale di Brindisi e guidata da Giacomino Santoro. La macchina stava entrando nell’uso corrente. Nella mentalità c’era ormai entrata, ed aveva anzi fatto sorgere in molti il desiderio prima, e il bisogno poi, di possederne una appena possibile. Ma le macchine costavano care, specialmente quelle americane, che erano le più ammirate.

All’inizio degli anni trenta la situazione automobilistica appariva avviata verso un prestigioso avvenire. La Fiat aveva cominciato a consegnare la 514, la 522, la 524. Lancia produceva l’Artena e l’Astura. La Società Nicola Romeo aveva mutato ragione sociale in quella di Società Anonima Alfa Romeo. Nel 1931 la benzina costava L. 1,72 al litro. L’accademico Massimo Bontempelli, sollecitato dalla Confederazione dei Sindacati Fascisti, introduceva il nuovo vocabolo “autista” in sostituzione della parola ”chauffeur”.

Nel 1932 la Fiat presentava la nuova Balilla 508, messa in vendita al prezzo di L. 10.800 nella versione berlina. Questa macchina ebbe il merito di accostarsi al ceto medio e di aprire la strada all’automobilismo popolare. I concessionari ebbero il loro bel da fare. A Brindisi la Fiat aveva praticamente assorbito la maggior parte degli acquirenti lasciandosi dietro di molte lunghezze le altre due più importanti Case italiane, la Lancia e l’Alfa. La concessione Fiat era passata da Pasquale Oliva ad Antonio Bellocchi e quindi a Pietro Anglani, poi a Bertone, ed infine a Don Ciccio Apruzzi che l’ha tenuta per oltre trent’anni. Dopo la sua recente scomparsa è passata ai figli.

Alla vigilia della 1^ Guerra Mondiale il nostro parco automobilistico si aggirava intorno alle tremila unità sparse per l’intera provincia. Brindisi era ancora tutta in un bicchiere : non c’erano la Commenda, il Paradiso, il Casale, la zona industriale. I bombardamenti portarono allo sfollamento. Si videro circolare sempre più numerosi gli automezzi militari tedeschi, sostituiti nel’43 dalle ”jeeps” alleate e dai camion che portavano farina, zucchero, caffè, patate, coperte di lana. Dopoguerra di fame e macerie, mentre ogni famiglia si piangeva i suoi morti. Poi, molto lentamente iniziò la ricostruzione. Ricomparvero anche le autovetture private legate ancora ai vecchi nomi, a cui se ne aggiungevano di nuovi. L’automobile cominciava già a segnare una svolta nella mentalità e nel costume.

1 Novembre 1953. Primo circuito “Città di Brindisi”; da sin. il comm. Antonio Spampinato, don Ciccio Apruzzi e il sindaco di allora don Ciccio Lazzaro

Colelli fu il primo ad aprire una scuola-guida, mentre Don Ciccio Apruzzi dimostrava con le sue gare automobilistiche che l’automobile era anche uno sport che richiedeva nervi saldi e grande coraggio. E man mano che il ricordo dell’ultima guerra si affievoliva, la gente cominciava a scoprire la gioia di rivivere anche nel rischio delle grandi velocità.
Gli anni volano sugli ottani del motore. Comincia la motorizzazione di massa: le macchine dilagano, ci avvelenano, ci imprigionano. Le nuove generazioni sanno tutto su di esse. Del cavallo sanno quel po’ che riescono ad insegnargli a scuola, se non sono proprio dei somari.

Le prime dieci immatricolazioni in Provincia di Brindisi

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A Palazzo Granafei-Nervegna è stata esposta finchè, recentemente, non è andata in restauro, la “Lancia Aurelia della Fondazione M. Rosaria Giannelli. Realizzata nel 1952 ed immatricolata l’anno successivo, acquistata dal podestà Serafino Giannelli per lire 2.770.000”.

 

2 commenti

  1. Sempre di Dario Amodio e Domenico Altavilla sarebbe molto interessante pubblicare “Brindisi a Pedate”, che ripercorre con molte foto la storia del calcio brindisino dal 1910-12 agli anni ’60.

  2. Non sarò al Nazionale ma li farò, grazie

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