Masseria Incantalupi – San Vito dei Normanni (Br)

“Ubicata a cinque chilometri dal mare e a 12 da Brindisi, in una zona completamente pianeggiante, l’azienda agricola Incantalupi, estesa complessivamente 160 ettari, gode di un microclima particolarmente adatto ad ogni coltura orticola ed arborea tipica del bacino mediterraneo.
Agli alberi da frutta, quali il pesco, il melo, il melograno, il susino, l’olivo, il mandorlo, gli agrumi, perciò, si affiancano i vigneti e diverse colture dell’orto, cerealicole e foraggiere che, stanti le grandi dimensioni dell’azienda, vengono realizzate secondo una rotazione che consente di ottimizzare il livello della produzione.

La tradizione vuole che Incantalupi risalga al periodo della dominazione di Federico II di Svevia.” (1)

“L’edificio, infatti, offre l’esempio di una domus, cioè di una residenza e di un casino di caccia, più semplice nella struttura e nell’arredamento rispetto ad altre costruzioni realizzate dell’Imperatore che, nei punti panoramicamente più belli, laddove la vista spaziava, face sorgere castelli e dimore adibiti a vari scopi: sede di guarnigione, fortificazione militare, residenza, dimora di caccia. Incantalupi, perciò, costituì uno di quei luoghi che Egli definiva locus solatiorum, luogo dei ristori. Ciò che oggi da un’impressione di sobrietà, allora era arredo sontuoso, come rivelano il portale, il terrazzo, i soffitti a crociera, gli affreschi, gli altri camini. In epoca post-fridericiana, Incantalupi ha vissuto le crudeli e cruenti rivalità tra Angioini e Aragonesi. Successivamente ha subito le incursioni e saccheggi dei Turchi, le angherie e i soprusi di francesi e spagnoli, e, in epoca più vicina e noi, l’esplosione rabbiosa e disperate del brigantaggio, che qui ebbe le sue vittime ed ha i suoi epigoni.” (1)

La strada

La Masseria

“La masseria (di cui fanno parte anche il maneggio e l’allevamento di cavalli) disposta a corte chiusa, è in ottimo stato di conservazione. È caratterizzata da un grande corpo centrale inglobante l’antica torre, sul quale si apre l’accesso, con balcone sorretto da mensoloni e logge ad alcova. Vi si svolgono attività agricole e zootecniche; d’interesse la presenza di vacche podoliche (*) e asini di Martina Franca, razze indigene reintrodotte dall’attuale proprietario.
La masseria, con funzione anche di residenza padronale, è inserita negli itinerari agro turistici.” (2)

Lato sinistro

Centro

 

Lato destro

L’antica chiesa

La facciata

“Notevole l’ex chiesa che presenta in facciata lo stemma dei Falces; all’interno e nell’ex sagrestia sono pitture murali raffiguranti, fra l’altro, la Veronica e Cristo crocefisso fra la Vergine e San Giovanni.” (1)

I primi riferimenti scritti riportano: “Stefano e Daniele Geonfali, fratelli di Mesagne nel 1627, come eredi dei quondam Francisco Geonfalo e d. Vittorio Piccigallo. (..) Successivamente la masseria passò ai Falces; l’1 maggio del 1723 l’arcivescovo di Brindisi Paolo De Vilana Perlas partì per Salerno da Cantalupi, di proprietà dell’arcidiacono Pietro Falces. Il 22 ottobre 1727 l’arcivescovo Maddalena, ospite dello stesso arcidiacono Falces, sostò alla masseria perché, secondo quel che si diceva, non voleva fare il pontificale il giorno d’Ognissanti. Dalla masseria stessa Maddalena partì il 29 dello stesso mese per Gallipoli.” (2)

L’incisione evidenziata reca: Anno Domini 1717 – Fabbricata nell’Anno del Signore 1717

Stemma attribuito all’Arcivescovo Giovanni Falces . Variante araldica. (Raccolta Leanza-Guadalupi)
Araldica della città di Brindisi nelle memorie di Giovanni Leanza (disegno di G. Leanza). A cura di G. Maddalena Capiferro. Martano Ed.

L’interno

In un piccolo vano sul retro

Pittura murale raffigurante Cristo crocefisso fra la Vergine e San Giovanni

Pittura murale raffigurante la Santa Veronica

Il grande Cortile

 

I Giardini

Il Piccolo Museo della Civiltà Contadina

Al suo interno viene ospitato anche un piccolo Museo della Civiltà Contadina che contiene gli attrezzi della Masseria di fine ‘800 e inizi del ‘900, e quelli donati dalla famiglia Di Giulio di Brindisi, proprietaria di tutta l’attrezzatura di un’officina specializzata nel fare botti dell’ultimo bottaio brindisino Giovanni Di Giulio.

A tal proposito vorremmo aprire una parentesi sull’attività della Famiglia Di Giulio non tanto per desiderio di ringraziare il figlio di Giovanni e nostro accompagnatore Nicola, quanto per far conoscere ai più giovani un mestiere ormai estinto.

Nicola Di Giulio, ultimo bottaio di Brindisi
Nicola Di Giulio al lavoro per sistemare una vecchia botte

La Famiglia Di Giulio
“La presenza a Brindisi dei maestri bottai Di Giulio è testimoniata in atti notarili almeno dalla fine del 1600; due ne compaiono nel catasto onciario del 1745.
Le prime botteghe dei Di Giulio erano situate in prossimità del porto, nel quartiere delle Sciabiche, dove era più facile sia l’approvvigionamento del legname che il trasporto delle botti finite all’imbarco sui bastimenti.
Alla fine dell’800 l’impianto della ferrovia convinse i figli di Giovanni Di Giulio – ultimo bottaio ad avere, con il fratello Cosimo, bottega alle Sciabiche – a trasferire l’attività nella via di circonvallazione per Lecce (ora via Bastioni Carlo V), nei pressi della stazione ferroviaria.

La «Casa Fondata nel 1888», come recita l’intestazione delle fatture degli anni Trenta, nel censimento degli opifici ed imprese industriali del 1911 risulta infatti intestata ai fratelli Di Giulio, con 15 lavoranti.
Nel 1914 il maggiore dei fratelli, Giuseppe, per dissidi familiari emigrò in Argentina dove impiantò una sua bottega, mentre l’impresa brindisina assunse la nuova denominazione di ‘Ditta Raffaele Di Giulio e fratelli’.

Risale al 1921 il trasferimento nei locali già sede dello stabilimento vinicolo di Gaston Giran, in via Appia. In quegli anni la produzione arrivò ad 80 botti al giorno, ed il numero degli operai impiegati salì a 150; le botti di rovere e castagno, i bordolesi, i barili, i tini da fermentazione trovavano mercato sia in Italia che all’estero, specie in Grecia e in Germania. A testimonianza dell’alta qualità della produzione stanno i numerosi riconoscimenti conferiti all’impresa – già premiata con medaglia d’oro alla Fiera Campionaria di Milano del 1900 – in tutte le manifestazioni fieristiche cui fu invitata a partecipare.” (3)


La fabbrica, con momenti di crisi dovuti al calo di richiesta greca nei primi anni Trenta o alla difficoltà di approvvigionamento di materiali nel periodo bellico, continuò a produrre fino agli inizi degli anni Sessanta, quando l’avvento della plastica segnò il crollo definitivo delle ordinazioni.

Il cortile della fabbrica di botti ‘Raffaele Di Giulio e F.lli’, con il deposito del legname e gli operai al lavoro (Biblioteca Arcivescovile ‘A. De Leo’, Fototeca Briamo, n. 14/133)

Per inattività si chiuse nel 1971 e le strutture dello stabilimento furono abbattute nel 2006.

Note:

(*) http://www.fondazioneterradotranto.it/2011/10/27/la-mucca-podolica-pugliese/

Si ringraziano: Pierrick Gould per il video e Mario Carlucci per la collaborazione

Bibliografia e sitigrafia:

(1) http://www.incantalupi.it/la-nostra-storia/

(2) Le masserie dell’agro di Brindisi dal latifondo alla riforma. Ed, Amici della “A. De Leo”- Brindisi. Stampato da Arti Grafiche Pugliesi – Martina Franca 1993

(3) “Qui…dove la terra finisce e il mare comincia” memoria e immagine dell’impresa, catalogo della mostra AdS Brindisi. Stampato ed. Promos – anno 2011

 

 

2 commenti

  1. Come sempre leggo con entusiasmo i Vostri interventi, coinvolgenti nella lettura, rigorosi e interessanti nei contenuti. Bellissime le fotografie e i video. Bravissimi e complimenti.

    1. Grazie infinite.
      Francesco Guadalupi

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