Museo delle Arti e Tradizioni di Puglia – Latiano (Br) 2^ Parte

Proseguiamo la nostra visita al Museo delle Arti e Tradizioni (QUI la prima parte) superando agevolmente le rampe di scale che ci separano dalle stanze con gli ambienti di Vivere e Abitare

 

 

 

 

Lo Scalone

L’ambiente artigianale
E’ stato ricostruito in base ad alcune importanti attività; l’artigianato femminile è rappresentato dal grande telaio per la tessitura e da una serie di strumenti necessari alla trasformazione delle fibre tessili. Il ciclo lavorativo parte dal cotone grezzo e, attraverso varie e complesse fasi di lavorazione, si giunge al tessuto.
A questo segmento museale è affiancata la sezione spedale “Tessuti e abbigliamento”, che comprende fasce per il neonato, abbigliamento per la notte, sottovesti, etc… ma non mancano copriletti, merletti, tendine, etc. ed eleganti e vezzosi cappelli femminili.
Nell’ambito delle attività maschili, domina la fucina del fabbro, con forgia in pietra e un antico soffione a mantice ma sono stati ricostruiti anche gli ambienti dell’arrotino e de lu warnamintaru, che realizzava gli ornamenti in cuoio per il cavallo.

Il Salotto

Era di solito il locale di un appartamento, dotato di divani e poltrone, adibito a ricevere gli ospiti e usato come luogo di conversazione; sui tavolini molti oggetti che sarebbero diventati simbolo della civiltà industriale e del consumismo.

Divano con poltrone

Radio
Apparecchio radio dalla forma di parallelepipedo con parte anteriore munita, da un lato, di un altoparlante coperto da rete di tessuto (ora in buona parte sfondato) dalla forma quadrata e, dall’altro, di uno schermo per la ricerca delle stazioni; sempre nella parte anteriore, ma in basso, manopole rotonde disposte affiancate linearmente le une vicino alle altre

Macchine per scrivere
1 – A sinistra, macchina per scrivere meccanica manuale modello M40 della Olivetti con tastiera del tipo Qzerty, interlinee, nastro dattilografico in tessuto, cambio colore regolato da una levetta posta in alto a sinistra sopra la tastiera, interlinee, carrello scorrevole; carrozzeria colore nero.
2 – A destra, mMacchina per scrivere meccanica standard manuale modello lexikon 80 della Olivetti con tastiera del tipo Qzerty con tasti di scrittura, interlinee, tabulatore, nastro dattilografico in tessuto, cambio colore nastro con levetta posta in alto a sinistra sopra la tastiera, carrello scorrevole e carrozzeria metallica di colore beige.

Su questo ripiano oggetti diversi di inizio XX secolo

Telegrafo
Strumento per la comunicazione a distanza mediante trasmissione codificata (il codice più comune è l’alfabeto Morse)

Galvanometro
Strumento usato per misurare correnti elettriche a bassa intensità mediante l’osservazione delle deviazioni impresse ad un ago magnetizzato

Cornetta telefonica

I primi telefoni  fissi erano dotati di una base che conteneva il microfono e di una cornetta che aveva  l’altoparlante; erano collegati con un filo elettrico

La camera da letto

Se il bracciante che lavorava a giornata era un contadino povero e la sua abitazione era costituita solitamente da un unico vano, con annessa stalla ed un piccolo cortile, i contadini proprietari e gli artigiani disponevano di una dimora composta di due o anche tre vani; la “casa ti nanti”, con funzione di ingresso, “la càmmara” la camera da letto, “lu currituru” il corridoio, la cucina e l’ortale.
Nella cammara, il letto originariamente era formato da un saccone di paglia o di cartocci delle pannocchie di mais, posto sui cavalletti, tristieddi, successivamente sostituito da materassi di crine e di lana.
Per riscaldare il letto veniva utilizzata “la monaca” mentre per illuminare bastava un lume a petrolio. Non poteva mancare lu cascioni ti la tota (la cassa del corredo), la naca (culla), i vasi da notte (rinali e cantru) e le immagini della devozione popolare.

Letto matrimoniale con scaldaletto e trabiccolo (in dialetto Monaca)

Sul letto matrimoniale vediamo depositati due attrezzi lo scaldino e il trabiccolo. Il primo formato da un manico di ferro corto e sottile nel quale vi è inserito bastone di legno più lungo e spesso (che funge da prolungamento) e da un contenitore di rame utilizzato per riscaldare il letto ma talvolta anche per stirare gli indumenti, veniva riempito di braci ardenti. Il secondo è una intelaiatura in legno (in dialetto Monaca) al cui centro c’è un piano d’appoggio in lamiera  in cui riporre lo scaldino con le braci.

Vari tipi di Monaca

Comò, comodino (dialetto Culunnetta) e specchio

Il Comò è una parola derivata dal francese (Commode = comoda, agevole), generalmente il legno, quasi una sorta di basso armadio per contenere la biancheria. Utilizzato spesso a fianco del Comodino (Culunnetta) usato per poggiarci un vaso di fiori, la sveglia, un ritratto e, al suo interno il vaso da notte (in dialetto Rinali).

Braciere e piede del braciere

Catino mobile di rame rotondo e concavo con due manici mobili alla base del bordo, uno opposto all’altro, con l’apposito supporto di legno (sempre mobile) a forma di anello, detto cerchio, nel quale era inserito e su cui si poggiavano i piedi.

Immagini devozionali e statuette sacre

L’iconografia presenta raffigurazioni di Gesù, della Vergine e dei Santi per propiziare il soccorso nel momento del bisogno.

Culla (in dialetto Naca)
Lettino a dondolo in legno, utilizzato per  far addormentare il bambino

Cassa per il corredo (dialetto Cascioni) 
Grossa cassa rettangolare con apertura verso l’alto, usata per conservare il corredo nuziale.

Lavabo

Lavabo in ferro battuto la cui struttura poggia su tre piedi, dotata di tre cerchi (uno più ampio per la bacinella, uno inferiore per la brocca e uno al centro per il piattino del sapone). Nella parte posteriore un appendino per l’asciugamano e più in alto un gancio per lo specchio.

Tavolino con piattaia e bugie

Vestimenti antichi e contemporanei

Abito in seta a effetto moireé a righe verticali con rose chiné.

Le maniche sono rifinite con un gallone in seta e con un merletto realizzato a mano. Misure: 145 cm x 140 cm.
Donato dalla signora Rosamunda Caroli di Francavilla Fontana per il tramite dei coniugi Jurlaro-Ditonno.
Il vestito prima del restauro presentava uno strato consistente di particellato incoerente su tutta la superficie con diverse deformazioni dovute ad un’errata conservazione. La seta, molto secca al tatto e fragile, risultava tranciata, consunta con trame e/o orditi slegati e in alcuni punti lacunosa (vita, ascelle).

Restauratrice D.ssa Chiara Marzano

Grembiule cameriera con trina e gonna scozzese in lana. Prima metà del XX secolo

Abito primi Novecento in seta color fumè rifinito con passamaneria in seta gialla e bianca.

Abito databile metà ‘800, a righe verticali in seta, rifinito ulteriormente con una passamaneria a doppia frangia anch’essa in seta.

Alla base: Abito di battesimo ricamato a mano con coprifasce.
Epoca: fine anni quaranta del secolo scorso.
Dono: D.ssa Cristina Pepe.

Abito da sposa con  velo (1938)

Collezione di cappelli e guanti (Secoli XIX-XX)

Borsette

Borsette eleganti, ricamate a mano e decorate con diverso materiale, utilizzate per riporvi piccoli oggetti, generalmente solo il fazzoletto, spesso arricchite da pendenti o frange. Di diversa forma (rotonda, ovale, quadrata, rettangolare) la borsetta veniva portata a mano o appesa alla cintola, a volte collegata alla cintura, al punto da diventarne una parte.

Ornamenti femminili – Sec. XX
Dono D.ssa Cristina Pepe – Taranto

Abbigliamento intimo femminile. Ricamo a rintaglio. (Secolo XX – inizio)

La dote nuziale
Sino alla metà del XX secolo la dote nuziale era un vero e proprio istituto giuridico, regolamentato da leggi, la cui non esistenza per una ragazza poteva comportare il rimanere “zitella”, entrare in convento o “calarsene” (“fuitina” con il ragazzo).
Si tratta di una consuetudine della cultura popolare, fondata sulla trasmissione di beni da parte della famiglia della sposa, all’atto del matrimonio, allo sposo con lo scopo di fornire una rendita nella formazione del nuovo nucleo familiare. Questi beni consistono in oggetti di corredo, di arredamento per la casa, di immobili, ma anche di denaro e gioielli.
Qualche giorno prima delle nozze lo sposo ed i parenti si riunivano in casa della sposa per la stima del corredo; tra le famiglie si sottoscriveva una scrittura pubblica alla presenza del notaio. In caso di decesso della sposa senza eredi, dote e corredo dovevano essere integralmente restituiti alla famiglia di lei (diritto di godimento da parte del marito). Del corredo e della dote ne veniva fatta una stima minuziosa.
Il corredo, alcuni giorni prima del matrimonio, veniva esposto in una o due stanze della casa a simboleggiare lo status economico e sociale della sposa. Ammirato da parenti ed amici, qualche giorno prima del matrimonio, chiuso nel “cascione” (cassa dotale) veniva trasportato in casa dello sposo.
La maggior parte del corredo era frutto del lavoro di tessitrici e ricamatrici del paese o delle stesse ragazze/spose. La preparazione del corredo pesava enormemente sul bilancio economico di una famiglia.

Il sarto e i suoi attrezzi

Macchina da cucire WINSELMANN dotata di tavolo d’appoggio e custodia. La base d’appoggio in legno è spezzata ed in pessime condizioni.
Usata per cucire o rammendare
Misure:diametro ruota inferiore grande 27 diametro ruota superiore piccola 15; larghezza pedale 24; lunghezza pedale 34

Corso di taglio e cucito svoltosi nel giugno 1940

Bottoni
Oggetti d’uso quotidiano, i bottoni hanno svolto e svolgono un ruolo importante nel nostro abbigliamento.
Nati con uno scopo pratico hanno rappresentato nel tempo un’occasione per stabilire i dettami della moda. Molti i materiali utilizzati: avorio, madreperla, metalli, legno, tartaruga, vetro, strass, cuoio, smalti, fili di seta colorati per poi arrivare alla produzione in serie e ai materiali sintetici e alla plastica.
Dietro a questi oggetti c’è una lunga storia fatta del gusto e dei costumi di epoche diverse, ma anche di pezzi di rara bellezza.
Preziosi accessori in grado di dare un tocco di stile all’abbigliamento.

 

Collezione di Bottoni e fibbie – Secolo XX

 

Ferri da stiro (descrizione ferro centrale)

L’oggetto ha la forma di una scatola triangolare di ghisa con fori di areazione per ciascun lato in corrispondenza della base. Nella parte posteriore è presente una sottile apertura per la ventilazione; coperchio con motivi decorativi a voluta e nella parte anteriore piccola maniglia girevole con funzione di sicura; manico con impugnatura in legno è fissato al centro del coperchio

Arte del Telaio, arte del notaio

La cardatura
è un’operazione che precede il processo di filatura. Preceduta dalla battitura delle fibre, per liberarle dai corpi estranei, consiste nel liberare dalle impurità, districare e rendere parallele le fibre tessili, al fine di permettere le successive operazioni di filatura. Questa operazione veniva effettuata attraverso l’uso del “cardaturo” (cardaccio), uno strumento formato da due assicelle di legno dotate di impugnatura irte di chiodi; la sfregatura di una contro l’altra con in mezzo l’ammasso di fibre provvedeva a districare le fibre stesse.

La filatura

La filatura è l’operazione che permette con l’aiuto del fuso di torcere le fibre tessili per formarne un filo. Il fuso è dato da un bastoncino (lungo una spanna) infilato in un tondino forato (largo 4-6 cm). La rotazione impressa al bastoncino, prolungata dall’inerzia del tondino torce le fibre che vengono legate al fuso, che nel girare accumula sul bastoncino iI filo fatto.
Per velocizzare la lavorazione in epoca medievale vennero costruiti dei filatoi a pedale (detti anche arcolai, filerine, filatoi), ossia di apparecchi in legno che il filatore azionava premendo un pedale. Il primo filatoio a pedale risale al 1280.

Telaio a pedale

Telaio di legno orizzontale con quattro colonne montanti. Le colonne anteriori e quelle posteriori sono collegate tra loro da traverse orizzontali che ne costituiscono la struttura portante. Dalle traverse orizzontali laterali sporgono altre quattro colonne che ricevono in alto l’asse di supporto dei bilancini dei licci e l’ asse di supporto per la cassa contenente il pettine. Un arco racchiude in alto il telaio. Il subbio posteriore è bloccato da una lunga stanga regolabile a mano d’arresto, incastrata in un foro all’estremità del subbio e poggiata sul supporto laterale sinistro del montante della struttura superiore. Un ingranaggio laterale destro, formato da una ruota dentata nei cui denti viene inserita una stanghetta a scatto di legno, consente la tensione del subbio anteriore. I fili dell’ordito passano attraverso i licci e successivamente attraverso il pettine che è incastonato nella cassa. I licci sono collegati a un pedale con calcole; tarlo; fenditure del legno.

La ceramica

Nel corridoio troviamo tutta la ceramica utilizzata dalla nostra gente sotto forma di bicchieri, piatti, vasi, anfore ma anche zuppiere, scolapasta ecc.

“Ritrovare la nostra umanità nelle funzioni e nelle forme degli strumenti e oggetti che i nostri padri hanno fabbricati e adoperati” – G.B. Bronzini, 1985.

La produzione ceramica ha costituito sino alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso una risorsa economica e sociale importante nel nostro territorio. La consuetudine in materia di doti nunziali, attribuiva all’uomo l’acquisto delle ceramiche necessarie per il buon andamento della casa. Nella dotazione non potevano mancare i piatti, generalmente piatti minzani o piatti grandi, più raramente i piatti singoli e copputi (fondi), l’ursulu, l’arsola, o lu bucali, o ancora la tajedda. li tiesti o la pignata (vasellame da fuoco), i recipienti per la conservazione delle provviste, (pitari, capase, etc.) o per il trasporto dell’acqua, minzani, ‘mmili, per la conservazione del vino e dell’olio, trufulu, cuccu, capasuni, zirru, baruffo, o ancora per il bucato, cofunu, lemma.
La stragrande maggioranza del vasellame della nostra zona proveniva dalle fornaci di Grottaglie.

Anfora minzana

Recipiente panciuto in terracotta invetriata spesso di color miele o verde, con due manici laterali (l’uno opposto all’altro) e collo lungo cilindrico; usato per trasportare l’acqua dalla fontana o dal pozzo verso l’abitazione.

La brocca
La brocca è un recipiente usato per contenere alimenti liquidi. Tradizionalmente caratterizzata da una forma tondeggiante e panciuta, con un beccuccio per versare e sul lato opposto uno o più manici ad ansa per reggerla.

Ha capacità standard, un quarto, mezzo e un litro, raramente maggiori perché se superiore al litro il peso, contenuto più brocca, diventa difficile da maneggiare. A secondo del liquido e della forma assume nomi diversa URSULU (vino), ARSOLA, BUCALE (acqua) o CIARIA.

Brocca: “Mbivi ci si capaci”
Brocca di terracotta dal collo traforato per impedire di versare i liquidi in modo classico.
Il liquido può uscire solo da un piccolo condotto interno che dal fondo del vaso corre attraverso il manico sino all’imboccatura, dove forma un cordone tondeggiante sormontato da varie protuberanze di cui solo una è forata. Aspirando da questa e chiudendo un foro nascosto sotto il manico si riesce a bere senza rovesciare il contenuto.

Orciolo per spillare il vino
Grande orciolo ad un’ansa, in terracotta ingabbiata e invetriata, con collo quasi verticale ed appena accennato. Utilizzato per spillare il vino dalla botte o dalla giara (capasone) e per questo accoppiato ad un catino.

Orciolo – ‘Mmili
Orciolo di terracotta grezza, forma panciuta, collo stretto; bocca a coppetta; due manici modellati a nastro che partono dalla base della bocca l’una opposta all’altra. Veniva usato nelle campagne per conservare la naturale freschezza dell’acqua.

 

Catino – Lemma
Catino di terracotta grezza esteriormente, con bordo tondo per una buona presa in fase di sollevamento. Internamente invetriato di colore chiaro con schizzi verde ramina. Utilizzato per il risciacquo dei panni.

Capasa
Contenitore utilizzato per conservare e isolare il cibo (sot’olio, sotto aceto e sotto sale). La terracotta permetteva al cibo di non subire sbalzi di temperatura. Di forma lievemente panciuta con piccoli manici o di forma cilindrica privo di collo con imboccatura larga e invetriatura piombifera.
Presenza di un grosso orlo a cordone per far passare un legaccio per fermare il panno usato da copertura e due manici.

Stangatu
Vasellame in terracotta per la conservazione di alimenti con coperchio (conservare fichi secchi, marmellate o conserve). Terracotta invetriata piombifera spesso di colore chiaro o ingobbiatura con bolo marmorizzato a fondo rossastro, con lobo e ramina. Privo del coperchio l’oggetto viene utilizzato per la disidratazione di ortaggi (peperoni o marangiani allu carucu) o acciughe.

Fiasco, Marruffo
Anfora dalla forma panciuta, in terracotta invetriata, generalmente di color miele. Due manici a gomito partono dalla base del collo cilindrico stretto e lungo.
Utilizzato per il trasporto del vino sul posto di lavoro.

Ceramica da fuoco

La ceramica da fuoco è stata, insieme alle pentole di rame (quatari), per lungo tempo l’unico manufatto utilizzato per la cottura dei cibi. Tajeddi, tielle, tiesti, cucume, cicculateri adoperate per la preparazione di pietanze o decotti. In particolare la PIGNATA, nella nostra tradizione, assume un ruolo di primaria importanza per la cottura dei legumi, cereali, stufati, ed innanzitutto per la preparazione della purea di fave che per decenni ha sfamato i nostri antenati.

 

Scolapasta

Borraccia dei suonatori
Borraccia di terracotta smaltata di color miele con striature di colore marrone chiaro e più scuro; forma ad anello, collo lungo e stretto, due manici e piccola bocca per berci direttamente

Vaso ornamentale, Crasta pi li fiuri
Piccolo vaso da fiori con imboccatura larga di terracotta marmorizzata caratterizzata da colorazione a fondo rossastro per ingobbiatura con lobo e presenza di macchie biancastre irregolari; foro sul fondo per drenare l’acqua

Orcio – Pitaru
Contenitore usato per la conservazione dell’olio, oggi per uso decorativo.
Grosso vaso di creta invetriata decorato con motivi antropomorfi, fitomorfi e geometrici (scene legate alla raccolta delle olive), di forma ovoidale con quattro anse vericali l’una opposta all’altra.

Il Museo del Sottosuolo 

Unico in Puglia, fu fondato nel 1977 dal prof. Pietro Parenzan, illustre naturalista e docente universitario di biologia marina, che ha dedicato la sua vita allo studio e alla ricerca delle risorse marine e del sottosuolo.
Il mondo sotterraneo del pianeta Terra si svela attraverso migliaia di reperti di natura biologica, geologica, antropologica e paleontologica che danno vita alle quattro sezioni di Biologia del sottosuolo, Geologia, Paleontologia generale e Paleontologia umana. Una sottosezione del museo è dedicata alla speleologia, ricca di diversi tipi di concrezioni (stalattiti, stalagmiti, cortine, elictiti, latte di monte, pisoliti, etc,).
Il materiale biologico è sicuramente quello di maggiore pregio poiché è costituito da elementi troglofili e troglobi provenienti dalle grotte di tutto il mondo, come il noto anfibio urodelo Proteus anguinus o i pesci ciechi dei pozzi della Somalia, gli insetti e i crostacei cavernicoli della grotta di Zinzulusa e della Cueva del Drach (I. di Maiorca).
La parte dedicata alla geologia raccoglie numerosi tipi mineralogici e campioni di rocce raccolti sia in stazioni locali sia in importati giacimenti del pianeta. La sottosezione del museo, relativa alla speleologia, è dedicata al fenomeno del carsismo con le più tipiche concrezioni di grotta, stalattiti, stalagmiti, pisoliti ed elictiti.
La collezione di paleontologia generale raccoglie numerosi fossili dai più antichi (paleozoico) fino a quelli relativamente più recenti (Neozoico o Quaternario).
La sezione di paleontologia umana racconta la straordinaria evoluzione dell’uomo, dall’Uomo di Neanderthel all’Homo Sapiens moderno, con rarissimi reperti fossili rinvenuti in grotte cultuali di Marina di Camerota o nelle gravine pugliesi.
Molto interessanti sono le attività didattiche e di laboratorio a cui partecipano numerosi cittadini e ragazzi.

Paletnologia

La paletnologia, o archeologia preistorica, è la scienza che studia la cultura delle civiltà umane preistoriche e protostoriche attraverso l’analisi dei reperti materiali. Oggetto della disciplina sono pertanto solo le specie appartenenti al genere homo che abbiano prodotto manufatti (ovvero a partire dall’homo habilis), e forse, allo stato attuale della conoscenza, alcuni Australopithecus.
Origini e sviluppo. La paletnologia è l’etnologia della Preistoria, più esattamente dell’archeologia preistorica, nata da unìdea ottocentesca che promuoveva il collegamento fra le due discipline. Il problema che si pone la materia è di ricostruire l’organizzazione di questi gruppi; l’idea, nata in Italia, è stata riproposta in ambito anglosassone all’inizio degli anni Sessanta con la New Archaeology ossia il rifiuto di un’impostazione tradizionale, tipologica e geografica. Nei primi anni della ricerca archeologica si lavorava principalmente sulla ricostruzione della sequenza stratigrafica, e non era facile confrontare più contesti lontani: Renfrew ha scritto il suo volume nel 1973 (per poi rivederlo nel 1979), epoca in cui già si faceva largo uso delle datazioni al radiocarbonio e si cominciava a calibrarle con la dendrocronologia. I concetti alla base della ricerca archeologica erano la somiglianza tra gli oggetti o i manufatti in genere, la possibilità di stabilire un insieme di associazioni, di individuare la successione delle tipologie (tramite tabelle di associazione) ed infine l’ampiezza della circolazione. Questi dati portavano all’elaborazione del concetto di facies culturale.

L’industria litica

In archeologia preistorica, l’espressione industria litica (dal greco antico lithos, «pietra») indica l’insieme degli oggetti di pietra realizzati dall’uomo, a partire da ciottoli intenzionalmente modificati. Nella pratica questa espressione indica gli utensili finiti, le armi e il complesso dei sottoprodotti legati alla loro fabbricazione.
Le industrie litiche sono state utilizzate per definire i differenti periodi che hanno scandito la preistoria. Per i periodi più antichi (Paleolitico inferiore e medio) i manufatti litici costituiscono gli elementi di definizione essenziali per la posizione cronologica delle varie periodizzazioni e per eventuali datazioni, mentre per periodi più recenti le realizzazioni dell’industria della pietra si affiancano a partire dal Paleolitico superiore ai manufatti ossei e dal Neolitico a quelli ceramici.
Per gli evidenti problemi di conservazione dei materiali organici (quali ossa, legno, cuoio) i manufatti litici sono spesso l’unica testimonianza della cultura materiale preistorica ad essere sopravvissuta fino ai tempi nostri.

Evoluzione umana

Per evoluzione umana, antropogenesi o ominazione si intende il processo di origine ed evoluzione dell’Homo sapiens come specie distinta e la sua diffusione sulla Terra.
Si tratta di una materia interdisciplinare, che include la fisiologia, la primatologia, l’archeologia, la geologia, la linguistica e la genetica. In senso tassonomico riguarda, oltre al genere Homo, tutte le specie dei sette generi della sottotribù degli Hominina, di cui l’uomo è l’unico rappresentante vivente.
Il processo evolutivo riconosciuto e attestato è che la famiglia Hominidae si sia evoluta da una popolazione di primati, progenitori comuni degli scimpanzé, stanziatisi nel Rift africano circa 5-6 milioni di anni fa e che 2,3-2,4 milioni di anni fa il genere Homo si sia differenziato da Australopithecus. Homo erectus si è poi diffuso in tutto il mondo (fenomeno chiamato Out of Africa ) circa 2 milioni di anni fa, creando anche specie locali, come l’Uomo di Neandertal in Europa. L’uomo moderno ha ricalcato queste orme, sviluppandosi in Africa circa 200.000 anni fa e successivamente, 50.000 anni fa, migrando anch’esso nei vari continenti (Out-of-Africa 2) e sostituendo progressivamente Homo erectus in Asia e H. neanderthalensis in Europa. Un’ipotesi alternativa è che Homo erectus, lasciata l’Africa 2.000.000 di anni fa, si sia evoluto in Homo sapiens in diverse parti del mondo.

IL RITROVAMENTO DI LUCY

L’australopiteco Lucy è la”nostra bisnonna”. È l’ominide più famoso mai ritrovato e la sua scoperta – 41 anni fa – è stata fondamentale (ma non risolutiva) per disegnare l’evoluzione della nostra specie Ecco la sua storia.

Il periodo compreso tra il 1973 e il 1977 viene definito da alcuni come il periodo dell’oro della paleoantropologia. Nei giacimenti fossili della regione di Afar, nel bacino dell’Hadar, a una sessantina di chilometri da Addis Abeba in Etiopia, furono portati alla luce migliaia di frammenti fossili di ominidi vissuti 3-4 milioni di anni fa.
Il 24novembre 1974, il paleoantropologo Donald Johanson si mise a controllare un punto già analizzato in diverse occasioni senza particolare fortuna. Si accorse che c’era un fossile di un osso, probabilmente di un braccio, e si mise a scavare con cura. Nelle vicinanze la sua squadra iniziò a trovare altri frammenti, sempre più numerosi. Gli studiosi si trovarono di fronte lo scheletro più completo di un antenato umano antico di oltre 3 milioni di anni: ben 52 ossa tra le quali le ossa degli arti, la mandibola, alcuni frammenti del cranio, costole, vertebre e soprattutto il bacino, che permise di capire che si trattava di una femmina. La sera stessa riuniti intorno al fuoco i paleoantropologi le diedero un nome: la chiamarono Lucy, prendendo spunto da una delle canzoni che nell’accampamento venivano ascoltate di più: Lucy in the sky with diamonds, dei Beatles.
Lo scheletro fossile di Lucy manca delle estremità inferiori, ma le ossa delle gambe e il bacino dimostrano che la stazione eretta era acquisita già 32 milioni di anni fa (è questa la datazione eretta dello scheletro): gli ominidi si muovevano quasi sempre in quella posizione, non solo per alcuni tratti.

Il Carsismo

Il termine carsismo indica l’attività chimica esercitata dall’acqua, soprattutto su rocce calcaree, sia di dissoluzione sia di precipitazione. La parola ha origine dal nome della regione dove inizialmente questo fenomeno è stato studiato: nel Carso Triestino. Questa regione si estende grosso modo dal Golfo di Trieste verso nord-est fino alla valle del fiume Vipacco (Vipavska dolina, Slovenia) e del fiume Isonzo verso sud-est fino a poco oltre la sorgente del torrente Rosandra.

Con il progredire degli studi sul carsismo è diventato evidente che questo tipo di terreno è uno dei più interessanti paesaggi del suolo terrestre. Le varie espressioni del carsismo si distinguono principalmente per il tipo di substrato roccioso sul quale avvengono. In Italia si conoscono principalmente le forme di carsismo su rocce a matrice calcarea e dolomitica, ma altrove esso si manifesta anche in rocce sedimentarie costituite da sale e da gesso.

La Speleologia

La speleologia (dal greco spélaion=caverna e lògos=discorso) è la disciplina che si occupa dell’esplorazione, documentazione, tutela e divulgazione della conoscenza del mondo sotterraneo. La speleologia interessa diverse branche della conoscenza e può avere varianti fra le quali le più diffuse sono la speleologia in cavità artificiali e la speleosubacquea. Può essere definita come una particolare la scienza che studia i fenomeni carsici ovvero le grotte – propriamente distinte in”cavità naturali” e”cavità artificiali” -, la loro genesi e la loro natura.

In quest’ambito, essa si inserisce tra le scienze che studiano fenomeni legati all’ambiente e alla sua evoluzione ed in particolare i fenomeni naturali che avvengono nel sottosuolo, tra cui il movimento delle acque sotterranee (idrologia ed idrogeologia) e la biologia del sottosuolo (biospeleologia). Al di là della sua veste prettamente scientifica, la speleologia offre un modo per conoscere diversi aspetti del mondo ipogeo, attraverso l’osservazione di aspetti evidenti come le concrezioni fino a quelli impercettibili come i cambiamenti climatici interni alle grotte.

Coloro che la praticano con un obiettivo (conoscitivo, esplorativo, documentativo) che non sia esclusivamente ludico o sportivo vengono definiti speleologi.

Vita sotterranea

La biospeleologia è la scienza che studia la vita nelle grotte. Scienza recente, spesso trascurata, talvolta ingiustamente relegata a mera curiosità o ritenuta campo esclusivo degli “specialisti”. In realtà l’Uomo ha da sempre creduto che nell’oscurità delle grotte ci possa essere vita. Una vita nel buio, pertanto in una dimensione che sfugge alla percezione degli esseri umani, abituati a valutare l’ambiente con l’ausilio della vista. Un ambiente sconosciuto, da sempre ritenuto dimora di esseri fantastici, spesso crudeli e che solo di notte, quando appunto fa buio, potevano uscire dalle loro caverne. Le tradizioni di tutte le regioni del mondo sono ricche di leggende popolate da streghe, draghi, fantasmi, orchi ed altri personaggi fantasiosi.

Vivere al Buio

La vita degli organismi cavernicoli è influenzata nettamente da numerosi fattori ecologici, trai quali i più importanti sono l’assenza di luce, la costanza della temperatura, l’umidità elevata e la scarsità di nutrimento.
La luce. Sicuramente il fattore che più colpisce quando si visita una grotta è l’assenza di luce ad essa consegue il fatto che, oltre una certa distanza dall’ingresso, mancano le piante verdi e pertanto l’ecosistema cavernicolo dipende, per la sua sopravvivenza, dall’apporto di materiale dall’esterno (spesso detrito di origine vegetale e, in minor misura, animale).
Temperatura. Normalmente la temperatura di una grotta corrisponde alla media annua della temperatura esterna: è un parametro strettamente legato alla latitudine ed all’altitudine alla quale si apre la cavità e presenta limitatissime variazioni nel corso dell’anno nelle parti più interne della grotta.
Umidità. Nelle grotte l’umidità è spesso vicina ai valori di saturazione (umidità relativa pari al 95-100%), e questo sembra essere uno dei fettori limitanti più importanti per i cavernicoli terrestri.
Abbondanza di nutrimento. Si ritiene in genere che la quantità di nutrimento sia molto bassa nelle grotte e che questo condizioni la sopravvivenza delle specie cavernicole. Questo però non è sempre vero. In base alla disponibilità di risorse nutritive, le grotte possono essere classificate in varie categorie. Adottando una semplificazione, possiamo suddividere le grotte (o loro parti) in: oligotrofìche, con scarse risorse alimentari (scarsissime nelle grotte di montagna); eutrofiche, con ampia disponibilità di nutrimento, in genere costituita da accumuli di materiale organico, ad esempio il guano dei pipistrelli, o i cumuli di detrito vegetale veicolato dalle acque attraverso gli inghiottitoi; mesotrofiche, cioè con quantità di nutrimento intermedie tra le categorìe precedenti (la maggior parte delle grotte prealpine).

I fossili
La fossilizzazione è l’insieme dei processi biologici ed ambientali che modificano i resti degli esseri viventi, impedendone il disfacimento, e li trasformano nel prodotto chiamato fossile. Più genericamente, il termine si applica all’intera storia di tali resti fino al loro ritrovamento.

Il requisito fondamentale per la conservazione allo stato fossile delle spoglie è che vengano sottratte più rapidamente possibile a tutta una serie di agenti biologici, chimici, fisici e meccanici che tendono a distruggerle o decomporle.
In genere, le spoglie vengono preservate da un rapido seppellimento, che le sottrae all’ossidazione e putrefazione aerobica; ciò avviene meglio nel fango o in acqua (mare, laghi, paludi ecc.), dove la sedimentazione è più veloce della decomposizione. Le spoglie possono essere sottratte all’aria anche in altri modi, ad esempio per inglobamento nella resina, poi trasformatasi in ambra fossile; o per il rivestimento con le ceneri derivanti dalle eruzioni vulcaniche.
Le componenti dure, sia quelle mineralizzate, come denti, ossa e gusci, sia quelle non mineralizzate, come chitina e lignina, hanno maggiori probabilità di superare l’intervallo di tempo critico tra la morte e l’inclusione nel sedimento rispetto alle componenti molli quali muscoli e grassi. Per tale ragione, la fossilizzazione preserva questi ultimi solo raramente.

Il Museo di Storia della Farmacia

Il museo nasce intorno al nucleo di raccolte private delle famiglie Pepe e Pierri di Taranto, farmacisti da antiche generazioni, ed è un esempio brillante di sinergia tra pubblico e privato. L’obiettivo è quello di documentare questa arte antichissima attraverso l’esposizione di oggetti, strumenti, albarelli, ricette e medicinali conservati nel corso degli anni.

Gli oggetti, provenienti da donazioni private, si collocano tra il XVIII e il XX secolo e tracciano un excursus storico della storia della medicina e dell’arte farmaceutica sin dai tempi di Ippocrate, il primo ad usare in modo razionale erbe e medicamenti. E’ interessante scoprire che molte piante medicinali, utilizzate nel Salento sin dai tempi dei Greci, costituiscono ancora oggi un importante rimedio. Annessa alla raccolta di reperti di storia della farmacia è la biblioteca specialistica, con volumi a tema e volumi rari sull’alchimia.
Questo museo sottolinea l’importanza della professione farmaceutica che oggi sembra aver perso la propria identità professionale; il farmaco, infatti, non è più considerato un bene essenziale ed esistenziale ma una mercanzia di ampio consumo.
La riscoperta delle radici dell’arte farmaceutica è un momento di riflessione finalizzato al recupero dell’identità professionale del farmacista e dei valori che sono alla base della sua professione. Nucleo essenziale del percorso di conoscenza sono gli itinerari didattici per scolari e studenti, le attività di ricerca per universitari attraverso convenzioni con l’Università di Bari, gli stage e i tirocini formativi per giovani studiosi.
Le mostre temporanee e tematiche intorno a “Manifesti pubblicitari dell’800 e ‘900 su prodotti medicinali e farmaceutici”, “La farmacia degli ultimi 150 anni: l’unificazione dell’Italia attraverso la farmacia”, “L’arte farmaceutica nella Magna Grecia” consentono di recuperare aspetti inediti di questa antica professione. Tutte le attività si svolgono in collaborazione con associazioni di livello nazionale ed internazionale: Accademia Italiana di Storia della Farmacia, Società Italiana di Storia della Medicina, Ordine dei Farmacisti di Brindisi, Ordine dei Farmacisti di Taranto, Ordine interprovinciale dei Farmacisti di Bari, Barletta-Andria-Trani, Institute for the Preservation of Medicai Traditions: History of Pharmacy dello Smithsonian Institution di Washington.

La prima parte del nostro lavoro:

Museo delle Arti e Tradizioni di Puglia – Latiano (Br) 1^ Parte

Si ringrazia:

Il Presidente della locale Pro Loco prof. Mino Galasso  e l’amico Mario Carlucci

Bibliografia e sitigrafia:

http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/MenuPrincipale/Ministero/index.html

Polo Museale – Città di Latiano, Convento dei Domenicani e Torre del Solise; settore servizi culturali: Rita Caforio, Giovanna Carrino, Margherita Rubino, Francesca Tauro. Stampato nel 2016

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