Paradisi Perduti 7 – Spiaggia di Marimisti

Insieme alla spiaggia di Cala Fontanelle, da cui era separata dal molo di Caprarelle, erano i lidi che il Ministero della Difesa aveva riservato ai propri dipendenti, nella parte ovest dell’avanporto. Nonostante ciò, le acque erano pulite, avendo sulla destra gli hangar dell’aeroporto e, sulla riva di fronte, non si era ancora installato il polo chimico.

I due arenili rappresentavano qualcosa di unico nel panorama delle spiagge brindisine; entrambe erano collegate al porto da una motobarca che veniva chiamata il “Mezzo”, guidata da due dipendenti della Difesa. Si entrava esibendo i tesserini, e ogni famiglia aveva la sua cabina.
Oltre alle cabine, che erano alle spalle della rotonda, Marimisti aveva un pontile per l’attracco del mezzo.

Proprio vicino al pontile, da un certo punto in poi, furono segnate le corsie con dei galleggianti, come avviene in piscina, perchè divenne sede di allenamenti e di gare di nuoto e pallanuoto. Era un piccolo mondo che sembrava non dovesse mai mutare. Con l’acqua pulita i pesci venivano a riva e le mamme raccoglievano le vongole nella sabbia; spesso i pescatori scendevano in spiaggia a tirare le loro reti. Erano un classico la mellonata a Ferragosto e i giochi di spiaggia.
Lo sviluppo del polo chimico nel porto rese incompatibile la convivenza con le spiagge  che purtroppo furono presto chiuse.


Siamo andati a trovare Marimisti oggi e le nostre foto mostrano come della vecchia spiaggia non sia  rimasto più niente. Non  abbiamo potuto fare a meno di notare come il luogo sia rimasto incantevole, con il Castello Alfonsino che si vede in lontananza, nonostante la ingombrante presenza di un vecchio relitto abbandonato, che rappresenta un’ombra di cui sembra difficile sbarazzarsi.


Eppure quel relitto ha una sua storia; ha segnato la nascita di una delle imprese cittadine più importanti, quella dei fratelli Domenico e Giovanni Barretta. I due, all’epoca palombari, a dispetto di ogni avversità, riuscirono a creare l’Azienda dal nulla vincendo una sfida.


Raccontano sul loro sito:

“L’avventura inizia con il recupero del relitto della nave frigorifera “Asmara” affondata da un sommergibile Inglese nel 1941 durante la seconda guerra mondiale; tale operazione venne eseguita tramite l’acquisto del pontone “TENAX”, di 70 tonnellate, avvenuto grazie ad un finanziatore del nord tale Sig. Cucchi titolare di una acciaieria a Brescia che, all’epoca, credette nel progetto dei fratelli Barretta anticipando loro una cifra che all’epoca sembrava iperbolica di 40.000.000 di lire. In cambio il Cucchi pretese dai Barretta il ferro recuperato dal relitto della nave Asmara fino alla concorrenza della somma prestata. I Barretta lavorarono come palombari per 18 ore al giorno per recuperare quanto più ferro possibile dall’Asmara rischiando in continuazione le loro vite e con il timore di non poter estinguere il debito nei confronti del finanziatore.
Accadde però una circostanza fortunata: nell’estate del 1950 scoppiò la guerra in Corea ed il prezzo del ferro schizzò alle stelle; fu così che i Barretta poterono estinguere il loro debito nei confronti del Sig. Cucchi in appena un mese.
Parte del ricavato derivante dalla suddetta operazione venne destinato all’acquisto, (1948) del primo Rimorchiatore, il “VIGOR”.

Coronato da successo il recupero dell’Asmara, la prospettiva si allargò con l’inizio di una nuova e collaterale attività: l’assistenza ed il salvataggio delle navi.” (http://www.fratellibarretta.it/la-storia.html).
Quando il pontone divenne vecchio e obsoleto fu messo in disarmo, agli inizi del 1991, e “ceduto alla ditta Fiume perché procedesse alla sua regolare demolizione. Fu così che le Officine Fiume ottennero dalla Capitaneria di Porto, la quale prima della istituzione dell’Autorità Portuale, nel 1994, aveva competenza specifica in materia, una concessione demaniale marittima di quattro mesi, estesa poi di altri tre mesi, della zona Marimisti, affianco agli ex cantieri di demolizioni navali Fercomit, perché si potesse fare a pezzi, con tutti i crismi di legge, il Tenax.
Quando il pontone fu avvicinato a riva per cominciare i lavori, si arenò, per l’acqua troppo bassa (in effetti si trattava di una spiaggia e non certo di un’aerea idonea per la cantieristica navale), a 50 metri dalla battigia, esattamente dove è ancora adesso a distanza di quasi trent’anni.
Un bel pò di anni addietro, l’allora presidente dell’Autorità Portuale Mario Ravedati, nel periodo in cui si stava provvedendo ad ultimare la rottamazione degli scafi albanesi, provò ad inserire anche il Tenax, il cui destino e le cui responsabilità ricadevano ormai nella competenza dell’ente portuale, nel calderone di quelli che dovevano essere demoliti. Allorchè i tecnici del cantiere navale esaminarono lo scafo, pare che rilevarono che oltre alle lacerazioni – oggi ancora più evidenti – nella lamiera, qualcuno aveva occultato al suo interno olii esausti ed anche altro, per cui ci si rese conto che un tentativo di spostamento verso il vicino cantiere avrebbe potuto significare un disastro ecologico, in quanto se lo scafo avesse ceduto, vi sarebbe stato sversamento in mare di liquidi tossici e forse anche corrosivi. Da allora sono passati vent’anni e tutto, come da inveterata tradizione brindisina, è rimasto così com’era, lasciando al tempo che scorre il ruolo di peggiorare la situazione.” (Senzacolonnenews.it – articolo di A. Caiulo)

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