Palazzo della Provincia – Brindisi

La città di Brindisi diventa provincia nel 1927, per scorporo dall’antica Terra d’Otranto. Oltre alla città capoluogo oggi comprende 20 comuni. In pari data l’Amministrazione Prov.le cercò di dotarsi di una idonea sede, affidando il progetto all‘ing. T. Tarchioni. Quell’anno stesso fu redatto il programma che prevedeva la costruzione di un edificio sul suolo occupato da vecchie case e dal giardino ad est della Prefettura (era già presente la palazzina della precedente sub-prefettura).

Lo stemma e il gonfalone furono concessi alla nuova provincia dal re Vittorio Emanuele III con decreto del 22 settembre 1927, e descritti in un “solenne documento” del 4 marzo 1928:

«Stemma: d’azzurro, alla testa di cervo al naturale, posta in maestà, accompagnata in punta dalla parola: “BRVN”.

Si sarebbe così formato un unico fabbricato che dalla chiesa di S. Paolo sarebbe arrivato alla futura piazza Santa Teresa.
A causa delle maggiori esigenze manifestate dalla nuova Provincia, nel 1929 e nel 1933 fu varato un piano di modifiche e ampliamenti. E, nel 1934, fu approvato ed eseguito l’abbattimento dell’isolato esistente tra vico Furfo e piazza S. Teresa.

Nella prima foto, di fianco al Palazzo della Provincia  si vede l’angolo di un caseggiato che sarà abbattuto per ingrandire piazza S. Teresa; come ben si vede nella foto successiva (Foto da Archivio di Stato – Br , Brindisi 1927-1943 da Capoluogo a Capitale). La stradina che si vede nel mezzo, via Furfa, non esisterà più.

Al 1937 risale l’ultimo progetto di modifica per la costruzione di un nuovo edificio sul lato di ponente del Palazzo, che avrebbe occupato parte del giardino interno e dei terreni di risulta dalla demolizione delle Sciabiche.

(dal sito provincia.brindisi.it)

Brindisi, al momento della sua costituzione in provincia, affrontò le seguenti variazioni territoriali: Cisternino e Fasano furono staccati dalla provincia di Bari ed aggregati alla nuova provincia costituitasi con tutti i comuni del circondario. A questa furono aggiunti S. Pietro V.co e Cellino S. Marco che, amministrativamente appartenevano a Lecce. Nel 1927 i comuni di Guagnano, Salice Sal. e Veglie furono staccati dalla provincia di Brindisi ed aggregati a quella di Lecce.
I due prospetti principali, affacciati su via De Leo e piazza S. Teresa, si articolano in tre ordini coronati superiormente da balaustre. Non vi è traccia dei fastigi in pietra che avrebbero dovuto coronare l’edificio.

Palazzo della Provincia – prospetto su via A. De Leo

Palazzo della Provincia/Prefettura – prospetto su Piazza S. Teresa

Palazzo della Provincia/Prefettura – prospetto su Piazza S. Teresa – via Ercole Brindisino

Dal sobrio portone d’ingresso si accede al piccolo giardino monumentale.

Qui sono esposte, sul muro che costeggia la facciata, tre stele sepolcrali di epoca romana ritrovate in luogo e data sconosciuti che, la D.ssa Barbara De Nicolò (nella sua pubblicazione “Le iscrizioni romane di Brindisi fino ad età neroniana”, Tesi di dottorato in storia antica, Bari 2007-2008 pp. 249-250) ha così commentato:

1)
Pacilia Rufion(is)
l(iberta) Fausta et
L(ucius) Pacilius Rufio(nis)
l(ibertus) Epaphra fil(ius)
vixit ann(os) XIX m(enses) VIII.
H(ic) s(iti)

Stele in pietra calcarea rotta nell’angolo superiore destro, datazione possibile 20 a.C./30 d.C. per la paleografia e la struttura del testo.
Iscrizione sepolcrale di Pacilia Fausta e L. Pacilius Epaphra, co-liberti di uno stesso patronus, Pacilius Rufio. Noto a Brindisi il gentilizio Pacilius. Diffusi localmente sia il cognome latino della donna, sia quello grecanico dell’uomo. Il patronus è indicato con il solo cognome latino Rufio, non conosciuto nell’epigrafia brindisina.

2)
Ti(berius) Aulius Ti(beri) l(ibertus)
Felicio v(ixit) a(nnis) XXV.
H(ic) s(itus).
Aulia Ti(beri) l(iberta) v(ixit) a(nnis)LXXX,
Gnoste, mater.
H(ic) s(ita).

La stele a timpano presenta una rosa al centro e ai lati fiori di loto, Mutila nella parte inferiore, a destra una profonda scheggiatura.
Iscrizione sepolcrale di Ti. Aulius Felicio e della madre Aulia Gnoste, entrambe liberti di un Tiberius Aulius. La gens Aulia conta ulteriori attestazioni in centro, anche tra la classe dirigente locale; tutti i membri documentati hanno lo stesso prenome Tiberius. Ti. Aulius porta un cognome latino, Felicio, comune nell’onomastica locale; raro, invece, il cognome grecanico della madre Gnoste, attestato nell’ambito della regio II solo in questa iscrizione brindisina.
Datazione proposta: tra l’età augustea e la prima metà del I secolo d.C. per la paleografia e la struttura del testo.

3) Della terza epigrafe, purtroppo, non ci sono notizie disponibili.

Al suo interno, nell’androne vicino alla scala, è esposta una pittura di ambito locale avente ad oggetto la campagna pugliese con i suoi caratteristici trulli e una scultura in legno

Al piano superiore il Salone di Rappresentanza e le stanze con gli uffici del personale.

Nel Salone di Rappresentanza la grande tela di Mario Prayer (Torino 1887-Roma 1959) abbellisce la parete principale. Il quadro, concepito e dipinto in età matura, ha usato numerose immagini simboliche – anche mitologiche – per celebrare la Provincia di Brindisi, e dare un’idea generale e il più possibile completa del territorio provinciale, delle sue attività e i suoi prodotti.

Salone di Rappresentanza

Tela di Mario Prayer raffigurante ” La Provincia di Brindisi” 

(part. lato sx)

(part. lato dx)

(part. al centro)

La donna al centro del quadro, maestosa e riccamente vestita, dal portamento solenne, personifica la Provincia, l’Ente che commissionò l’opera.

È seduta ai piedi di una grande quercia, dai cui rami pendono – come frutti – gli stemmi dei suoi venti Comuni. Regge in mano lo scettro e sul grembo ha lo stemma provinciale, con un libro aperto sulle cui pagine è scritto – in latino – il nome della provincia: BRVNDVSIVM o BRVNDISIVM (i due nomi sono stati usati dagli autori latini alternativamente).
Ai lati del quadro sono i due monumenti-simbolo di Brindisi e, di conseguenza, dell’intera provincia: la colonna romana e il monumento nazionale al Marinaio d’Italia, l’antico e il moderno, entrambi in grado di identificarla con immediatezza. Le acque del porto sono rappresentate in modo diametralmente differente: a sinistra, sotto la colonna, sono calme, azzurre, a indicare la funzione commerciale del nostro porto, al servizio dei passeggeri e delle merci; a destra le acque sono invece agitate, e si intravede la prua di una piccola nave da guerra. Non a caso l’Artista ha qui utilizzato lo sfondo del monumento eretto nel 1933 per ricordare i marinai italiani caduti nella guerra 1915-18, con il profilo dei due cannoni puntati verso il cielo, a indicare la funzione militare del porto e il ruolo da esso svolto in particolare nelle due guerre mondiali, di cui l’ultima terminata solo quattro anni prima dell’esecuzione del quadro.
Le sette figure attorno alla donna dall’aspetto imponente simboleggiano le attività prevalenti sul territorio, e sono rappresentate nell’atto di offrire i loro prodotti nello svolgimento del loro lavoro. La prima figura, all’estrema sinistra, mostra una tessitrice, probabilmente di Carovigno, dove esisteva ancora nel 1949 una discreta tradizione in questo settore; figura che sintetizza tutte le nostre attività artigianali, particolarmente apprezzate.
La seconda figura femminile rappresenta l’agricoltura, altro settore d’importanza fondamentale per la nostra economia, con i due prodotti più diffusi e pregiati, l’uva e le olive. In testa ha una trozzella, la tipica ànfora dei Messapi (di coloro cioè che sono considerati i fondatori della provincia perché costruirono le nostre prime città), caratterizzata dalle alte anse verticali che terminano spesso con quattro o più rotelle, a forma di carrucola, dalla cui voce latina “trochlea” deriva il suo nome; ai suoi piedi due dei vasi in cui ancora, soprattutto nelle famiglie contadine, si conservano molti prodotti agricoli, freschi o lavorati artigianalmente.
La terza figura rappresenta il dio Mercurio, l’Ermes dei Greci, protettore dei commercianti e dei viaggiatori (ai suoi piedi sono la ruota e il bagaglio), a indicare le nostre attività commerciali e la funzione di collegamento di Brindisi, punto d’incontro dell’Europa occidentale con l’Oriente.
Il dio ha piccole ali alle caviglie; altre due ali sporgono dal suo pètaso (copricapo usato dagli antichi viandanti Greci); ancora altre due ali sono alla sommità del caduceo, bastoncino simbolo di pace, intorno al quale sono intrecciate due serpi.
Subito dopo la donna che rappresenta la Provincia, ai suoi piedi vi è Nettuno (il Poseidone dei Greci), fratello di Zeus e dio del mare. Ha nella destra il tridente, emblema del suo potere, e nella sinistra la cornucopia, simbolo della prosperità. Il pescatore che tira la rete completa la rappresentazione della pesca e dei suoi prodotti.
Le due ultime figure, quelle dei maestri d’ascia, i carpentieri specializzati nelle costruzioni navali in legno, alludono alle attività industriali – le costruzioni aeronautiche e navali – prevalenti a Brindisi nei primi decenni del secolo scorso, quando non era stata ancora realizzata l’area di sviluppo industriale.
Nel complesso, la grande tela di Mario Prayer esprime molto bene e in modo chiaro e suggestivo – con un insieme armonico di monumenti, figure, oggetti e colori – la composita realtà della provincia di Brindisi e la sua storia antichissima. (abstract dal sito provincia.brindisi.it)

Nella sala attigua si ha la possibilità di vedere l’Albo dei Presidenti della Provincia che si sono susseguiti nel tempo, a decorrere dalla sua istituzione.

Tela della Pietà – XVII secolo, attribuibile al  pittore Andrea Vaccaro o suo ambito 

Nella stessa stanza è possibile ammirare il bel quadro della Pietà, oggi di proprietà dell’Amm.ne Provinciale, acquistato nel 1974 dal prof. Tullio Wierdis che la attribuì al pittore Andrea Vaccaro (Napoli, 8 maggio 1604 – Napoli, 18 gennaio 1670).
Il prof. Roberto Manni che la esaminò, dichiarò come attesta la delibera di spesa, fosse di scuola napoletana del ‘600.
L’iconografia con le figure disposte secondo uno schema assiale sembra risalire a un modello di ambito romano di scuola michelangiolesca e zuccaresca, ripreso in ambito meridionale dal Pino, dallo Strafella e Santafede. Ad un contesto culturale napoletano sembra invece riconducibile il forte contrasto luministico dopo l’esperienza legata al naturalismo caravaggesco. In tale situazione l’artista si indirizzerà verso una costante ricerca del compromesso. Nella tela in esame la figura del Cristo impostata diagonalmente, lo scorcio della testa abbandonata su una spalla e la mano sinistra adagiata sul grembo, richiamano la Deposizione del Vaccaro alla Quadreria dl Pio Monte della Misericordia a Napoli.
Inoltre, i contrasti luministici che danno risalto al corpo abbandonato del Cristo e al volto e alle mani della Madonna, nuclei della drammatica rappresentazione, l’assenza di elementi paesaggistici e le tonalità spente delle vesti, ricondurrebbero l’opera ad un ambito vaccariano (senza comunque presupporre l’attribuzione all’artista napoletano).

Si ringrazia per il prezioso contributo la Dr.ssa Barbara De Nicolò e la Dr.ssa Fernanda Prete

Abstract: Archivio di Stato – Br + Ordine degli arch. di Brindisi, Brindisi 1927-1943 da Capoluogo a Capitale; G.T. Andriani, Brindisi da capoluogo di provincia a capitale del Regno del Sud;  Autori vari – red. B. Sciarra Bardaro, Dipinti e sculture acquisiti dalla Amm. Provinciale di Brindisi; Barbara De Nicolò, Le iscrizioni romane di Brindisi fino ad età neroniana

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